Kennedy, nutella e figurine di Filippo Ceccarelli

Kennedy, nutella e figurine Una filosofìa costruita sull'immagine, segno di un'Italia che sta cambiando Kennedy, nutella e figurine CROMA AMICIE americane, nostalgia, creme di nocciola e cacao, presidenti americani, romanzi inglesi, voglia di tenerezza, album e figurine di calciatori, dietologi-cantanti, film di cassetta e sogni nel cassetto, necrologi ispirati, bandiera gialla, frati francescani, vecchi dischi a 45 giri, «mi ricordo montagne verdi» e non si spezza una storia, ovviamente, né s'interrompe un'emozione... D'accordo. Ma poi c'è qualcosa di più affollato e di affastellato - anche del «veltronismo»? C'è qualche altro leader politico, per caso, che al solo nominarlo evochi, all'istante, una tale sarabanda di ricordi generazionali, programmi tv, canzoni rimosse, oggetti d'uso quotidiano, sentimenti appassiti e personaggi i più vari? Palmiro Togliatti, per dire, insieme a James Dean. I Beatles a fianco a Pasolini. Nanni Moretti, invitato nelle liste del Pei nel 1989, e il Re Leone, recensito con entusiasmo e consigliato a grandi e piccini. Omar Sivori, infine, che determinò la prima «adesione militante» del prossimo segretario Ds alla Juve e papa Wojtyla a cui Veltroni presentò un'edizione dei Vangeli distribuita come gadget insieme all'Unità. E gliela presentò, va aggiunto, con una tale compostezza da far dimenticare ai monsignori della Segreteria di Stato che quella sua politica promozionale era cominciata con 400 mila copie de L'ultimo tango a Parigi. Anche se al limite, magari nel quadro di un riscoperta, sarebbe anche potuto essere - perché no? - L'ultimo tango a Zagarol... E si potrebbe andare avanti a lungo, ironizzando senza pietà sul veltronismo: dalla Nutella, Pizzaballa e Yellow Submarine a «Jurassic Pompei», «le» Mauritius della cultura e «il Nuovo Rinascimento» (ale ale). Nulla più di questo generoso e caotico sfolgorio di immagini si presta ad essere miniaturizzato, banalizzato, sottoposto a distorsioni macchiettistiche e crudeli controlli di coerenza. Del resto, chi affida gli editoriali a Fantozzi, inaugura sezioni intitolate ai fratelli Marx e si fa riprendere con il pollice in su dopo un incontro con Clinton, lo mette ampiamente nel conto Il presidente Kenned Per sua natura, il veltronismo non solo è privo di difese, ma spesso e volentieri si lascia cogliere in flagranza. Deformarlo, perciò, o comunque metterlo in ridicolo fa parte del gioco, ed anzi l'impressione a volte è che Veltroni, pur restandone amareggiato, sia il primo a rendersene conto. D'altra parte, secondo uno studio (coordinatore Omar Calabrese) che mette a confronto le modalità comuni- cative di D'Alema e Veltroni, in un certo senso quest'ultimo coltiva la virtù del vittimismo. Finge cioè di prendere in considerazione le parole dell'avversario dimostrandone l'inattendibilità. Ne mette in luce l'impeto spropositato, le strumentalizzazioni, facendogli in questo modo venir meno la base di legittimità. Se non è puro istinto dissimulatorio - il che sarebbe perfino mostruoso - si tratta di qualcosa che comunque sembra aderire straordinariamente ai tempi. Qualcosa di aggiornato, magari, che non solo ripaga gli sfottò sulle camicie button-down, H kennedismo di risulta, la raccolta di Hurra Juventus o le svenevolezze davanti a Bill Gates o alla Gialappa's. Ma consente pure di rovesciare e forse anche di leggere sotto un'altra luce, addirittura in termini di evoluzione del ceto politico, l'invettiva di Filippo Mancuso, asperrimo avversario di Veltroni nel collegio Roma 1: «E' un nulla confezionato, un elencatore di luoghi comuni che parla di cose che non sa, cita libri che non legge; un anglista che non parla inglese, un buonista senza bontà, un americano senza America, un professionista sen za professione». Il punto - e qui sia pure con qualche affanno si arriva alla scelta di andare o di mandarlo a dirigere un organismo che resta pur sempre un partito - è che davvero la politica non è più quello che era. Che lo si deplori o meno, è così. Le nuove macchine implicano nuove leadership e nuove forme di consenso La trasformazione è più forte di quel che appare; per certi versi una selezione naturale è già cominciata. In altre parole, si sta affermando una nuova «razza» di animali politici. Veltroni ne fa sicuramente parte. Da questo punto di vista la presentazione-investitura che D'Alema ha fatto del suo successore - una «persona in grado di interpretare al meglio l'esigenza di apertura e di rinnova- mento del partito» - sembra a dir poco riduttiva. Veltroni crede poco nel futuro dei partiti. Ha investito tutto, semmai, nella comunicazione, nella cultura di massa, nella tv, hello sport, nello spettacolo, nella costruzione della propria visibilità secondo logiche moderne che privilegiano l'emotivo, il visivo, la performance, il primato dell'indizio sulla parola. Già alla metà degli Anni Ot¬ tanta, quando il Pei si lacerava sui ritratti di Togliatti, Veltroni aveva dietro la scrivania il «poster» (si badi) di Berlinguer preso in braccio da Benigni. Nel 1988 sfidò il ministro dell'Interno Gava a un «faccia a faccia» - e quello non riusciva neanche a capire cosa fosse questo «faccia a faccia». Dieci anni dopo, cioè adesso, più che un dirigente di partito Veltroni è ormai un uomo d'immagine, uno dei rappresentanti di una nuova classe politico-mediatica che sorride, attira sguardi, «buca» la tv, «appare» aperta, franca, concreta, dinamica, calorosa e anche un po' megalomane. «Se potessi - ha detto una volta - mi farei clonare». Non è detto che sia impossibile. Meglio comunque se lo chiede per piacere, e con la consueta gentilezza. Filippo Ceccarelli Il presidente Kennedy. Il calciatore juventino Sivori

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