L'uomo che guarda passare i sogni

L'uomo che guarda passare i sogni PERSONAGGIO IL VENDITORE DI SCHEDINE L'uomo che guarda passare i sogni «In marcia come automi, per cambiare una vita» CMILANO REDETE, signore, che sarà fortunata questa nuova estrazione? «Oh, illustrissimo, sì, certo». Come quella della settimana passata? «Più assai». E vincendo, la vita sarà più felice? «Più più, illustrissimo. Non come Ja vita trascorsa, ma come quella futura». Dunque mostratemi il sistema più cello che avete, i V$ «Etw!o,-Hlu8trissimo. Cotesto vale trenta soldi». Ecco trenta soldi. Se Giacomo Leopardi, poeta dalemiano, tornasse da queste parti non si occuperebbe jéiù di un venditore di Almanacchi, bensì di un fatalista come Marco F., spacciatore di giocate, nonché distributore automatico di illusioni numeriche faccia sudata, pancia tonda, ciglia folte - appeso al terminale della sua ricevitoria, quartiere Ticinese, cubo d'aria e sigarette, man mano che infila, registra, consegna («Milleseicento!») e soffia amaro: «Chi è il prossimo?», come se interrogasse il volto inanimato dell'Essere, e non la burrascosa fila che gli rumoreggia davanti. E scriverebbe (Giacomo Leopardi) con prosa più sbracata, aggiornata all'oggi, e perfino canagliesca per via che i numen della colonna (tutti recando l'identica promessa di Futuro) sono meno poetici dei cieli stellati di un calendario d'Ottocento. L'illusione della speranza («Milleseicento! Chi è il prossimo?») non si misura più in lune o raccolti, ma in calcolo delle probabilità, puntate, mi¬ liardi, attesa. E jackpot. La scena - ore 16,15, sessanta minuti prima che l'orologio sigilli il Superenalotto - è pur sempre notevole. In fila: il bancario, la bionda, lo studente, l'anziano con mandarini cellophanati, il punk con piercing acciaio, le sorelle zitelle, il ciccione. Tutti hanno la loro ragione per giocare. Compresa la portinaia del numero 25 che odia tutti gli inquilini al di sotto dei 70 anni perché sporcano e quelli al di sopra perché non muoiono. Tutti lì in fila a dire: «Con 53 miliardi, su banca estera, interessi a un tot per cento, me ne starei un anno sdraiato». «Ba- sterebbero la metà e mi trasferirei in campagna». «Tanto non vinco». «Me ne andrei in clinica». «Pensa che sballo, cazzo». «Non lo diremmo mai in giro, con tutti i nipoti che abbiamo...». «Mi comprerei un aeroplano». «E io mi comprerei il palazzo, e sbatterei fuori tutti gli inquilini». C'è un curioso smottamento emotivo che collettivizza queste ore ingrate di gioco e attesa. Persone mai viste tra loro che si rivelano a vicenda un po' di vita passata (malattie, figli, lavori andati in malora, incubi da mutuo) ammucchiando dettagli su ipotetici futuri, tipo «Direi a mia moglie di andare a quel paese, giuro, dandole però un paio di miliardi, poveraccia». Oppure: «Sicuro che quello stronzo che mi ha mollato, tornerebbe da me sui gomiti». Il che è uno spettacolo perfino imbarazzante e non per via dei reciproci denudamenti, ma per la velocità con cui essi avvengono, attivati dalla sola e remotissima idea del denaro, con tutti gli sguardi intorno e i sorrisi di condivisione, e la ridondanza che si propaga nei bar, negli uffici. Tu cosa ne faresti? Si chiede l'Italia a vicenda. «Milleseicento! Chi è il prossimo?». Marco F., il fatalista al terminale, circondato da aria affumicata e schedine, è l'unico qui dentro che vince tutti i giorni, da un bel po' di settimane. E come Leopardi saprebbe spiegarci benissimo, non è poi cosi contento. «Io ho il mio tornaconto, d'accordo, lo zero virgola qualcosa ogni giocata. Ma è come stare alla catena - ti dice in pausa filosofica, con un mezzo bianco spruzzato Campari -. Tu sei un automa, fai una schedina via l'altra, e intanto ti passa davanti un cliente via l'altro, anche loro con la faccia da automa. Ma cosa sta succedendo, ti chiedi». I due tavolini sono pieni di schede pasticciate, strappate, scartate. Passano tram. Entra- no folate di giocatori. Quello che si fa la doppia. Quello con il sistema da 300 mila. Quello che ha sognato i numeri. Che li ha calcolati sul calendario. Guardando i taxi passare. Sommando l'età dei figli. Copiandoli dalle carte di credito. Squadernando l'elenco telefonico. Moltiplicazioni, addizioni, divisioni: tutto per sottrarre almeno questo minuto aleatorio ai 622 milioni di minuti certissimi che non hanno mai vinto, non vincono e non vinceranno. «Se guardi bene le facce butta li Marco F. - ti accorgi che hanno tutti la stessa espressione: sognano. Si vede che da qualche parte c'era un grosso interruttore. Un bel giorno l'hanno acceso e il popolo sognante si è messo in marcia per venire dal sottoscritto. Dovrei essere allegro, no? E invece...». Sarà destino. Ma in tutte queste faccende d'illusione (per di più rimembrando le storie di vincenti finiti malissimo) prima o poi si ricasca dentro a Giacomo Leopardi, poeta dalemiano, che ha già scritto tutto e va solo riletto: «Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiam provato più male che bene; e che se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l'ignoranza del futuro, e per una illusione della speran za, senza la quale illusione e ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti». Pino Corrias «Ti dicono: con quei soldi starei un anno sdraiato o manderei mia moglie a quel paese»

Persone citate: Giacomo Leopardi, Leopardi, Marco F., Pino Corrias

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