Restaurato il telescopio dei marziani di Piero Bianucci

Restaurato il telescopio dei marziani A MILANO Restaurato il telescopio dei marziani IL telescopio che nel 1877 servì a Giovanni Schiaparelli per le famose osservazioni di Marte che sfociarono nel dibattito sui «canali» e su una ipotetica civiltà marziana, è tornato come nuovo, lustro di ottoni, sotto la sua cupola dell'antico Osservatorio di Brera, nel centro storico di Milano: venerdì scorso è stato inaugurato con'aue conferenze multimediali e una serata di osservazione a cura di Luca Reduzzi. Il restauro - due anni di lavoro - è stato fatto con rigore filologico: le parti sostituite sono segnalate come tali benché siano perfettamente imitate; il basamento di ghisa, che fu segato in due pezzi, è stato ricomposto; il moto orario azionato a pesi consente nuovamente al telescopio di seguire il moto apparente della volta celeste. L'obiettivo - 22 centimetri di diametro e 3,15 metri di lunghezza focale - fu lavorato da Merz ed è ancora oggi un ottimo pezzo di ottica. Ma ovviamente non si pensa di utilizzare questo telescopio per fare ricerca. Gli scopi, spiega Pasquale Tucci, professore di Storia della fisica all'Università di Milano, sono altri: lo strumento, oltre ad avere un valore antiquario, servirà alla didattica e all'animazione culturale. Inoltre, guardando allo stesso oculare a cui Schiaparelli accostò per lunghe notti il suo occhio sinistro (era un «mancino visivo»), avremo la possibilità di verificare che cosa con quello strumento si potesse effettivamente scorgere su Marte. La vicenda dei «canali» è un caso esemplare nella storia della ricerca. Diceva il filosofo della scienza Pierre Duhem che ogni osservazione è carica di teoria. Schiaparelli credette di vedere dei canali e la loro geminazione, ma nel teorizzarne spiegazioni fu prudente. L'americano Percival Lowell e il francese Camille Flammarion lo furono assai meno. Ci vollero trent'anni per concludere che i «canali» e i loro fenomeni erano illusioni ottiche e non manifestazioni di una civiltà intelligente dedita all'amministrazione del suo scarso patrimonio d'acqua. Tutta la storia è ora nitidamente raccontata da Pasquale Tucci nel saggio introduttivo al volume «La vita sul pianeta Marte» appena edito da Mimesis (Milano, 116 pagine, 24 mila lire) che raccoglie i tre scritti divulgativi dedicati da Schiaparelli al pianeta rosso nel 1893, 1895 e 1909 (alla vigilia della morte). Vale la pena di rileggere queste pagine con il senno di poi, magari pensando a teorie oggi di moda, ma che non hanno ancora passato il vaglio del tempo (e di strumenti d'indagine più potenti). Il restauro del telescopio di Schiaparelli è solo l'episodio più recente della politica di conservazione che si fa a Brera. In una galleria del palazzo è possibile vedere molti altri cannocchiali, cerchi meridiani, strumenti dei passaggi. Ma non ci si limita alla custodia. Tucci fa vivere i cimeli facendovi attorno una animazione culturale che si esprime in conferenze di storia dell'astronomia e ora anche in una serie di rappresentazioni teatrali a tema scientifico. La stagione è iniziata con «Zéphirin e il meteorite d'orò», da un romanzo di Jules Verne. Misogino, moralista, di modi ruvidi, azzoppato da una fucilata del nipote malato di nervi, il prolifico scrittore francese morì nel 1905 lasciando questo romanzo inedito. Fu il figlio Michel a rimaneggiarlo e a pubblicarlo nel 1908. La Compagnia «Science 89» lo ha felicemente adattato alla scena. Per informazioni: 02-805.73.09. Piero Bianucci

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