Addio Orefice, papà della velina

Addio Orefice, papà della velina E' morto a 74 anni il più noto cronista politico italiano Addio Orefice, papà della velina Raccontò il Palazzo della Prima Repubblica E: ROMA una sera la velina non è più arrivata... Vittorio Orefice stava male, anzi stava peggio, insomma stava per morire. E' morto l'altro ie ri notte. Ieri l'hanno commemorato le massime autorità della politica. Ma la velina, quella sua creatura studiata ormai dagli scienziati della comunicazione, era morta qualche giorno prima di lui. L'ultima, datata 13 ottobre 1998, giace ora su una pila disordinata di carte. Come succede spesso con le parole, evocatrici di innocenti paradossi, il sommario riflette al massimo la concitata vitalità del Palazzo: «Lo svolgimento schizofrenico della crisi - si legge -. I colpi di scena a ripetizione -. Stamani era dato per certon...». Sì, «certon»: gli errori di battitura erano frequenti, a volte straordinari, come «Dino di Tacco», l'«onorevole Bidonato» (Di Donato) e un surreale Duridash che pareva l'impossibile miscuglio identitario di Darida e Taradash. Dalla sua postazione nella sala stampa di Montecitorio, in realtà, Orefice dettava al telefono in gran fretta: talvolta strepitando, talaltra bisbigliando concentratissimo, sempre con un che di teatrale, l'occhio azzurro mobilissimo, i dentoni bianchi, al collo uno dei suoi 700 - secondo la leggenda - cravattini vistosissimi. Sapeva bene di esercitare mi potere consuetudinario e rassicurante. Anche per questo di tanto in tanto interrompeva la routine dispensando memorie preziose, considerazioni .autobiografiche e persino esibizioni di disprezzo di marca livornese, o^iindi sommamente urticante. Tutto questo si ritrova in un libro, anch'esso intitolato La velina, di grande interesse, vasta aneddotica e ammirevole disincanto. R Ha lavorato duro fino all'ultimo, irriconoscibile, accortocciato dentro un impermeabile sul solito divano, ma sempre all'erta. Soffriva, ma si ricordava solo lui di quella crisi in cui Covelli... E solo lui, quando cadde Prodi, aveva compreso che quel deputato di Forza Italia - «coglionazzo» lo definì, pure storpiandogli il nome - aveva fatto come... Era invecchiato di colpo dopo la tragica vicenda di una nipote, bella e adorata, che s'era tolta la vita. Le aveva dedicato un libro, sulla depressione, dimostrando di essere un uomo che non viveva solo di politica. Per quanto la politica gli ha dato assolutamente tutto. La sua velina non ammetteva il diritto di replica. Ne giravano per la capitale suppergiù un'ottantina di copie (giornali, ministeri, enti, qualsiasi centro di potere, compresi i servizi segreti). La rete dei clienti ne confermava sin dalla nascita la caratteristica di strumento a suo modo innovativo di controllo e proto-omolo- gazione delle notizie da parte del potere (lui preferiva dire <de istituzioni»). Ci furono anni, comunque, in cui Orefice ebbe un ufficio a Palazzo Chigi, e i funzionari dello Stato imbustavano la sua nota. A lungo, questo giornalista cui non dispiaceva di essere considerato un elemento del paesaggio politico (esistono vignette di Vincino che addirittura segnalano la traiettoria geometrica della passeggiata di Orefice nel Transatlantico) è comparso anche al telegiornale, con pipa, foglietti in mano e abiti da giornalista americano. Ma il meglio, onestamente, lo metteva «in velina». Come nessun altro era capace di spiegare e sintetizzare i provvedimenti - anche quelli più strettamente tecnici. Così come, quasi agli antipodi da questa sua vocazione divulgativa, sapeva stupire per quelle autentiche impennate di sottigliezza che rischiaravano la prosa fredda della sua nota quotidiana. Qui soprattutto veniva fuori l'aristocratico mestierante di Montecitorio: negli ombreggiamenti interpretativi, nelle chiavi di lettura anomale, nelle allusioni cifrate, nelle analogie avvelenate, nella ripugnanza mostrante dietro cui si arrivava a comprendere, tra i fatti di giornata, particolari come il bastone di Gava o la piaga del piede di Craxi. Lo specchio fedele, insomma, e a volte crudèle della Prima Repubblica. A Montecitorio, d'altra parte, Orefice era arrivato in pratica insieme ai liberatori americani. Aveva combattuto contro i fasci¬ sti (che seguitava a detestare) in Umbria, prima di entrare a far parte come giornalista del Psycological Warfare Branch. Era essenzialmente un moderato, molto atlantico, scettico, individualista, fumantino. Da giovane guardava al conte Sforza, era amico di Saragat, poi addentro al potere democristiano: più Fanfani che Moro, comunque, più Forlani che De Mita. Dopo mezzo secolo di lavoro disponeva di un tale patrimonio di ricordi, conoscenze e riconoscimenti da sentirsi «speciale» e diverso da chiunque. E lo era. Diceva, con un mezzo sorriso: «Io sono la notizia». Si collocava, con qualche indulgenza, sulla soglia della storia. Coltivava «l'arte della previsione politica». In questa specie di istinto oracolare stava in fondo il suo vero fascino. Sapeva'US&fló".Coinèùria frusta: «Ma lei - diceva ai politici un po' saputi - che ne sa di quello che succede qua dentro?». Filippo Ceccarelli Dedicò anche un libro ai giovani sui drammi della depressione dimostrando di essere un uomo che non viveva di sola politica 46UKJ4 taumoA PASUMWTAXB Serviti* del *J ettetre Wt io snousxmmo s atizcrxanca tnu orisi . i colpì di scoia a tinrrincoa - STAMI* SUA stato dato Iti CStTOK ii COTWWD CtAXft, QVALCHS CSA NV TABI T rispuntila prepatenteneatt il predi Me - IL FKSIDBtTS dsl consiglio stxx!T2t tt> si e' tatto cotmmar da saunuo e d'alsma - i Grum pbll'ultvo suro ^ c/50 di FAIUt A SCALTAtO ii gOKt di tropi OS si FA FU PUS FISCHIA US sex tXlf nn.rcm - l'bsuitah&a di oobsotta - la spaccatura psii'ud* - AKtxvUA* ovucm voto delia WBAt -.dj? prodi ms A rSXMlK tu* L'APPXOVAZIOim usila fiuauzxassa roaa oAPmwtafn - on imitato kihpasto - sawha /OX'imamAt - non snris~ ssmso m> assi m* msrtiu . Stmttttn; nel Tramati antica <wn Mitt^nw, ti deve per eerte in gnau» Cit/ipi cen iui ninic«ere attalltt» di recale*. 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Luoghi citati: Roma, Umbria