L'artista Craxi e la sua Africa di Maria Grazia Bruzzone

L'artista Craxi e la sua Africa Nella serie di lito esposte a Roma ancfté ìIGarTBaldi dèirèsìlio tiffisino L'artista Craxi e la sua Africa ROMA. Entrando nella galleria Bianco Oro, in via del Vantaggio, l'attenzione del visitatore è subito catturata dalle immagini dai vividi colori ormai slavati che ritraggono bellissime fanciulle arabe agghindate e discinte, lo sguardo languido e lascivo, di volta in volta ritroso o ammiccante: vecchie fotografie di inizio secolo, nate come pubblicità delle «Sigarettes Mélia», che fanno parte dell'album chiamato «Il Vizio». Ma il pezzo forte di questa prima sorprendente mostra d'arte che si apre oggi, che Bettino Craxi ha intitolato «La mia Africa» sono i dagherrotipi originali e unici di Auguste Lumière, l'inventore del cinematografo, che l'ex leader socialista ha scovato vent'anni fa in un un mercatino di Parigi e trasformato in litografie numerate e firmate. Beduini che giocano a dama per la strada, al mercato, sul bordo di un corso d'acqua, e la fuga d'archi di una moschea, la muraglia di una fortezza, un famoso caffè di Tunisi di fine Ottocento. Immagini pittoresche e remote da cui promana il fascino crepuscolare di un'Africa delle colonie. Non poteva mancare Garibaldi. Ma anche questo è un ritratto a suo modo malinconico. Non il condottiero vittorioso, ma un uomo biondo, barbuto e incredibilmente piccino, seduto su una piccola sedia. Il Garibaldi dell' esilio tunisino, curiosa metafora del politico che ecco compare di persona in un'altra serie di lito, davanti al coliseum di El Djem. Forse una piccola caduta narcisistica. Bettino Craxi artista. Uno degli animali più politici della prima Repubblica che firma opere, sia pure stampe, realizzate con l'aiuto di un editore italiano trapianta¬ to a Tunisi (sui vasi bianco-rosso-verdi intitolati «L'Italia che piange» è meglio glissare). Chi l'avrebbe mai detto? Eppure amici e conoscitori sapevano di questa attività che risale a molti anni addietro. Lui da Hammamet si schermisce, ma neanche tanto. «Non ho l'ambizione di creare capolavori - dice intervistato da Gente. - Ho provato anche a dipingere, ma con risultati mediocri. Tutto è nato dalla mia passione di raccogliere oggetti ricordo che fissano un momento storico, un'emozione privata. Cose anche banali ma che rappresentano un'epoca, un sentimento. Un collezionismo che confina con la creatività», spiega raccontando le sue prime lito: un distintivo col volto di John F. Kennedy e il famoso libretto rosso di Mao Zedong con la dedica del suo «maestro» Pietro Nenni. Ma subito aggiunge: ((Alcuni critici mi hanno definito un "concettuale". Del resto artisti come Rousse, Man Ray, Richter, Andy Warhol hanno fatto della fotografia un mezzo pittorico». Craxi come Warhol e Ray. Non sarà un po' troppo? Eppure critici come il francese Pierre Restany e Giovanni Carandente hanno scritto, e non da oggi, su quelle sue stampe. Vittorio Sgarbi, che di Craxi possiede tutta la collezione, concorda. «Il ready mode è un procedimento tipico dell'arte contemporanea, a partire da Duchamp, fino a Schifano che alla fine esponeva persino delle polaroid tratte dalla tv. Se quelle lito fossero firmate da Rauschenberg nessuno avrebbe da ridire» insiste Sgarbi, che si rammarica solo che non sia esposta la serie degli «Smemorati», che ritraggono Martelli, Amato, Scalfaro, Napolitano a occhi semichiusi e come persi nel vuoto: «Veri capolavori». «Il fatto è che Craxi è un politico. Ma dopo quella del politico l'attività più alta è quella dell'artista». In ogni caso Bettino precisa di non averla voluta lui, la mostra. E l'organizzatore, l'artista e vecchio amico Antonio Picini, rivela di aver effettivamente avuto lui l'idea e di aver scelto polemicamente il 28 ottobre: «Le opere non sono in vendita, sono mie. Volevo mostrarle al pubblico e contestare la Quadriennale che si apre oggi e che mi ha sempre escluso». Maria Grazia Bruzzone Una litografia opera di Craxi esposta a Roma (foto da «Gente»)