Nuove insidie per la Bce nell'Europa della sinistra

Nuove insidie per la Bce nell'Europa della sinistra Nuove insidie per la Bce nell'Europa della sinistra ANALISI FRA POLITICA E RIGORE LE pressioni dei governi hanno già trascinato la Banca centrale europea (Bce), suo malgrado, sul terreno del confronto politico da cui l'istituto di Francoforte si illudeva fino a un mese fa di poter essere al riparo. La richiesta corale dei Capi di governo riuniti in Austria di riduzione dei tassi non può essere liquidata come rozza o irresponsabile, perché ha già ritagliato sui governatori, di fronte all'opinione pubblica, un ruolo di contraltare all'impegno per la crescita e l'occupazione vantato dai Governi. Perfino una possibile marginale riduzione dei tassi in Francia e Germania, ipotizzabile a inizio dicembre, diventerebbe ora un atto politico, una risposta ai Governi: in poche mosse i premier europei hanno già intaccato credibilità e autonomia della Bce. Per capire come la Bce possa uscire dall'angolo è necessario considerare sia la natura dell'attacco sia la logica della difesa. Gli attacchi più espliciti sono venuti dalla Germania e dal nuovo ministro delle Finanze, Oskar Lafontaine, intenzionato a creare un contraltare politico alla Bce che permetta di agganciare agli obiettivi di stabilità monetaria queui di riduzione della disoccupazione; di utilizzare la politica monetaria a fini congiunturali; di «gestire» il cambio dell'euro col dollaro. A parole nessuno vuole toccare l'autonomia della Bce. Imporre alla Banca obiettivi occupazionali comporterebbe d'altronde una modifica del Trattato di Maastricht del tutto improbabile. L'iniziativa politica si sposterà quindi sullo sviluppo di un organismo, l'Euro-11, attraverso il quale i ministri delle Finanze cercheranno di influenzare «dialetticamente» la Bce. La svolta keynesiana dei governi europei, nell'era del dopo-Kohl, non lascia dubbi sul fatto che tanto più inefficace fosse la politica economica dei governi tanto più la Bce sarebbe chiamata a giustificare il proprio operato. Per la Banca diventa necessario quindi comunicare chiaramente e preventivamente all'opinione pubblica i propri obiettivi d'inflazione e accettare doveri di trasparenza sul proprio operato a cui finora ha resistito. La Bce deve cioè accettare di diventare essa stessa più «politica». Le pressioni per una politica monetaria attiva e flessibile di sostegno alla crescita appaiono oggi plausibili a fronte della crisi finanziaria globale. Nel mondo dei banchieri centrali però la miopia, il non saper guardare lontano, è un peccato mortale, tanto più che una politica monetaria costante ha mostrato invece di saper ben difendere l'euro negli ultimi mesi. L'Europa non ha inoltre segni di crisi del credito, gli ultimi dati nei maggiori Paesi mostrano a settembre una crescita dei prestiti bancari, non un calo. Le previsioni indicano invece per novembre una discesa dell'inflazione allo 0,4-0,5% in Francia e Germania (dove gli affitti scendono del 10%), il rapporto tra prezzi all'export e all'import sale del 4-5% e l'euro forte irrigidisce le condizioni monetarie. Il presidente della Bce, Wim Duisenberg, spiega che «l'obiettivo primario della Bce è la stabilità dei prezzi. Nell'interesse della trasparenza essa è quantificata in un aumento dei prezzi al consumo inferiore al 2%». Duisenberg aggiunge con enfasi che «la stabilità è un obiettivo da mantenere nel medio termine». Sul medio termine si orienta l'azione della Bce, «prendendo atto che esiste una volatilità dei prezzi di breve termine che non può essere controllata dalla politica monetaria». Mai come ora però è forte in Europa il conflitto tra l'«oggi» e il «domani»: il credito è forte (premessa a futuri aumenti d'inflazione), ma intanto i prezzi scendono. Tagliando oggi i tassi di molto, la Bce si troverebbe tra uno o due anni a doverli aumentare fortemente in un ambiente politico già ostile e in una fase ancora di avvio dell'euro. Già oggi d'altronde c'è chi prevede un'inflazione salariale in Germania nel '99 del 4% e un raddoppio dei tassi europei entro 5-6 anni. A patto che la crisi globale non si aggravi in questi mesi, è quindi comprensibile la cautela della Bce. L'ultima arma in mano ai governi è la più pericolosa: in caso di conflitto con la Bce i governi possono infatti usare il proprio diritto di imporre un obiettivo di cambio dell'euro (su dollaro e yen) molto basso. Il solo affiorare di un tale conflitto pregiudicherebbe la stabihtà finanziaria europea. Questa ipotesi mostra la fragilità effettiva della costruzione monetaria europea: accettando un conflitto aperto coi governi, per difendere la propria credibilità, la Bce finirebbe per alimentare un mix perverso di politica monetaria rigida con politiche di bilancio invece accomodanti. Il conflitto si accentuerebbe sempre più, rendendo aspre le divergenze tra Paesi e minando le fondamenta del progetto. Anche in questo caso l'unica via d'uscita della Bce sembra quella di accettare il confronto pubblico con i Governi, imponendo la logica dei fatti e sperando che la retorica dei Lafontaine non inganni l'opinione pubblica. Cario Bastasin

Persone citate: Bastasin, Duisenberg, Lafontaine, Oskar Lafontaine, Wim Duisenberg

Luoghi citati: Austria, Europa, Francia, Germania