Alvar Aalto, il richiamo delle città-foresta

Alvar Aalto, il richiamo delle città-foresta Dalla Baker House a villa Mairea: Mantova celebra l'architetto che voleva il benessere delle comunità Alvar Aalto, il richiamo delle città-foresta LMANTOVA A vera architettura esiste soltanto quando pone l'uomo al centro del progetto», Iscriveva Alvar Aalto qua- rant'anni fa sulla rivista finlandese «Arkkitehti». Era contrario alle grandi macelline per abitare, ai grattacieli (si lasciò tentare una volta, ventidue piani nel cuore di Brema) e alle case-torre. «Dal punto di vista sociale sono molto più pericolose delle case unifamiliari e delle palazzine basse». Quel che è avvenuto in tanti megaedifici, non solo in Italia, conferma amaramente le sue sentenze, citate da pochi storici e critici italiani in occasione della mostra per il centenario della nascita (Kuortane 1898 - Helsinki 1976), giunta dal Museum of Modem Art di New York al palazzo Te di Mantova, fino al 22 novembre. Prevale l'interesse per i 54 progetti esposti, per i modelli, i disegni, le fotografie: dalle opere giovanili al Padiglione finlandese nella Fiera di New York, al celeberrimo dormitorio per studenti del Mit (Cambridge-Boston), alle chiese e alle ville nella foresta. Ma sono da leggere le testimonianze sulla figura dell'umanista, inseparabile da quella dell'architetto profondamente convinto del compito sociale e del suo dovere di porre concretamente l'uomo al centro della progettazione. Alvar Aalto si impegnò molto in opere di uso collettivo, municipi, ospedali, centri civici, chiese, sale per concerti. Nell'ideazione dell'edificio trasferiva esperienze raccolte nella vita della comunità. Marja-Bitta Noni, direttrice del museo di architettura finlandese a Helsinki, ricorda nelle pagine del catalogo Electa che agli inizi della progettazione del sanatorio di Pai- mio (opera tra le più significative) Alvar Aalto si ammalò e fu ricoverato in ospedale. Condivise vita e disagi dei degenti, la casa fu fondata sulle «piccole cose per il piccolo uomo», dal soffitto colorato per rasserenare chi è a letto ai congegni per eliminare rumori fastidiosi. Il saggio di Renzo Zorzi sottolinea la ricerca del benessere fisico e psicologico delle persone, il proposito di umanizzare le forme e gli spazi, dal trattamento della luce fino al disegno dei mobili e oggetti d'uso. Emerge un dettaglio significativo: Aalto ripudiò la sedia in acciaio tubolare. «E' certamente razionale, si presta alla produzione in serie, ma l'acciaio non è soddisfacente sul piano umano. I materiali devono adattarsi in maniera ottimale all'uso da parte dell'uomo». Parole sacrosante. Nel coro delle celebrazioni rischiano di venire sommerse, tanto più essendo molto scomode per gli architetti che ancora propongono quel tipo di sedie. Renzo Zorzi insiste giustamente sulla condizione di Aalto come «diverso» nel quadro internazionale dell'architettura. Non si era mai atteggiato a maestro o caposcuola, non sentiva il bisogno di lasciare libri con i fondamenti teorici delle sue opere. Si esprimeva con un linguaggio diretto, senza paura delle parole che tanti nostri architetti hanno messo al bando: «L'architettura deve possedere grazia. Crea bellezza per la società. La bellezza non è un concetto che si possa insegnare, è il risultato dell'armonia tra diversi fattori, non ultimo quello sociale». Grazia, Armonia: non sembra un contemporaneo dei freddi e rigidi modernisti. Curiosamente in Italia non pochi critici e storici preferiscono sorvo¬ lare su queste note caratteristiche di Alvar Aalto, non meno importanti del suo rapporto con la natura, del suo studio della storia dei luoghi, della preferenza per materiali tradizionali. Primi il legno e il mattone. Francesco Dal Co, direttore del dipartimento di Storia dell'architettura a Venezia e coordinatore del progetto italiano della mostra, ha avuto addirittura una sortita velenosetta: «Molte cose che Aalto racconta sulla natura sono vere, tuttavia bisogna tener conto che i suoi clienti erano legati al commercio del legname» (intervista a la Repubblica 27 agosto). Aalto si era sposato nel 1924 con Aino Marsio, anch'essa architetto, e il viaggio di nozze era avenuto in Italia con lunghe tappe a Firenze e in Tbscana (la figlia ebbe il nome di Joahnna Flora Annunziata). Nel suo diario scrisse: «Al mondo esi¬ stono tanti esempi di paesaggi costruiti belli e armoniosi, ma è in Italia che si vedono veri e propri gioielli». Per lui le città italiane di collina erano esempi di armonia tra uomo e natura. In Italia ebbe con Bruno Zevi un'amicizia fraterna, rotta bruscamente dalle dure critiche a un progetto definito da Zevi «classicheggiante, tutto rivestito di marmo di Carrara». Per Zevi è invece un capolavoro la Baker House, dormitorio del Mit, uno dei più voluminosi edifici disegnati dà Aalto, sei piani, centinaia di stanze. La carica di empatia di cui parla l'amico finlandese Kristian Gullichsen è evidente nella facciata sinuosa, una doppia curva di mattoni rivolta al fiume tra Cambridge e Boston. Amava il mattone, come il suo amico Frank Lloyd Wright. Per la Casa della Cultura di Helsinki (1958) disegnò un tipo apposito di mattone. Nel Municipio di Sàynàtsalo l'armonia del cotto tra gli alberi fa ripensare ai viaggi di Aalto in Tbscana. Si osserva un grande salto, non soltanto temporale, dalla villa Mairea, famosa per la luminosità degli interni e le variazioni infinite sui temi del legno, alle opere più monumentali degli Anni 50 e 60 in Finlandia, in Germania e negli Stati Uniti. Ultima l'abbazia di Mount Angel nell'Oregon. Alvar Aalto era cambiato nel carattere e nel linguaggio. Ma non ricorreva ad acrobazie intellettuali per giustificare il suo amore per la natura. La cittàforesta non era per lui una metafora ma la reale integrazione del costruito con le foreste del suo Paese. Mario Fazio Non amava le case-torre e i grattacieli, «molto più pericolosi socialmente di palazzine basse e abitazioni unifamiliari» L'interno deH'«Opera House» di Essen, in Germania. Sopra, Alvar Aalto con la moglie Aino Marsio