Slucca va al governo

 Slucca va al governo Vita sempre più dura per il portaborse di F & L: il suo nuovo incarico è cercare le condizioni... Di che cosa? Slucca va al governo « ri 0, non c'erano le condiziom\ ni, riferivo puntualmente W all'on. Migliarini, capo del 1 nostro partito-scooter, A_LI piccolo ma agilissimo nel traffico politico. «Ah, è così, Slucca», diceva lui nel mesto afflosciarsi di palpebre e guance. «Me l'aspettavo, purtroppo». Da diversi giorni mi mandava in giro, per Roma a chiedere se c'erano le condizioni. Mi aveva anche spiegato quali fossero, ma a metà del suo ben concatenato ragionamento avevo perso un anello, la sirena di una macchina della polizia di scorta a un'auto blu (da diversi giorni c'era un febbrile andirivieni di auto blu), aveva coperto la sua voce per un paio di minuti. E così alla fine, alla domanda: «Hai capito, Slucca?», m'ero rassegnato ad ammettere: «A grandi linee». «Non importa, Slucca, poco male. Tu devi solo prendere contatti a tutto campo e chiedere succintamente se le condizioni ci sono. Non posso farlo io in prima persona per più di un motivo». Di motivo ce n'era uno solo, in realtà. Migliarini detesta sentirsi dire di no, ha una personalità positiva, aperta al domani e spesso anche al dopodomani, e il pessimismo, specie in sede politica, offende la sua concezione di vita. «Un pesce in faccia, Slucca», mi confidava, «sardina o salmone da sette chili che sia, non mi fa fare una piega, non è questo il punto, io non sono permaloso, suscettibile. Ma non sopporto i pessimisti, è troppo comodo essere pessimista, troppo facile dire sempre che un qualsiasi determinato progetto andrà comunque a puttane. Bella forza!». «Ma se poi effettivamente...». «Tanto più, Slucca, tanto più al lora l'uomo politico di razza deve rialzare la testa, gettare il cuore al di là dell'ostacolo contingente t ripartire verso un nuovo proget to». Io pensavo che però allora di nuovo il pessimista prediceva l'andata a puttane e di nuovo Mi gliarini gettava il cuore al di là, e così via, puttane, cuore al di là, puttane, cuore al di là, all'infinito. Ma mi tenevo per me queste confuse obiezioni, Migliarini detesta essere contraddetto in sede filosofica. Così per i pesci andavo io. Aspettavo al varco l'on. Bazzecca e gli chiedevo: «Allora, ci sono le condizioni?». Lui ci pensava su un momento e poi diceva: «No, non le vedo, non ci sono». Questo nel migliore dei casi, perché capitava che l'interpellato mi rispondesse con la più assoluta franchezza, specialmente se eravamo soli, senza i giornalisti attorno: «Ma che cavolo di condizioni!», o peggio: «Le condizioni? Quelle ve le potete mettere in quel posto!». La mattina ne parlavo con l'on. Vasone, mio coabitante e amico, e m'informavo da lui, che è il portavoce-aggiunto dell'on. Cirelli e passa tutta la giornata a Montecitorio. «Ci sono le condizioni, secondo te?». Lui si grattava il mento: «Ora come ora no, non ci sono. Ci sono state ieri per circa un'ora, ma quando Fabiocchi ha fatto quella durissima dichiarazione da Napoli tutti i giochi si sono riaperti. 0 richiusi, se vuoi». Battevo anche i bar e le trattorie attorno a Montecitorio per sondare i cronisti parlamentari, che spesso sono più informati di noi, raccolgono indiscrezioni, voci, sfoghi, fughe di notizie, e sono abituati a fiutare il vento che sta tirando. Già dalla porta, con indice e pollice divaricati, facevo quel movimento pendolare, interrogativo, con cui si usa chiedere a qualcuno se ha concluso qualcosa con la ragazza la notte prima. E i cronisti posavano la tazzina sul banco e facevano segno di no col cucchiaino. Poi, certo, ognuno di loro aveva in merito la sua teoria e te la stava anche a illustrare, volendo. L'ago della bilancia, diceva uno, era adesso l'on. Percivalle, che s'era visto ieri con l'on. Bessé, al quale non era per niente piaciuta la posizione assunta dall'on. Valente, tesa evidentemente ad aggirare il veto dell'on. Rapino sul nome dell'on. Diton. Ma l'on. Riccomagno aveva fatto sapere che lui non ci stava, dopo il clamoroso ripensamento dell'on. Fabiocchi, e quindi le condizioni non c'erano più. Secondo un altro giornalista il vero ago della bilancia era invece l'on. Bazzecca, che aveva fatto una mezza apertura all'on. Migliarini e contemporaneamente sembrava essersi defilato dall'abbraccio mortale dell'on. Sala. Ma l'on. Cerelli aveva posto il veto a ogni soluzione pasticciata e d'accordo con l'on. Pezzano aveva fatto un passo indietro riavvicinandosi all'on. Bonifanti. Ecco perché le condizioni continuavano a non esserci. Io riferivo parola per parola aPcame ga M Migliarini, da vecchio jongleur politico, che afferrava tutto al volo, annuiva, sbuffava, batteva il pugno destro sul palmo sinistro, sospirava, si prendeva la testa tra le mani. Era chiaramente una situazione di stallo, concludeva, assai peggiore del muro contro muro. «Vedi, il fatto è, Slucca», diceva, «che qui i muri sono almeno una dozzina. Con quali conseguenze?». «Non saprei», dicevo io, «che alla fine viene su una graziosa villetta?». «Non cedere alla battuta corriva, Slucca, in questo momento: non lasciarti influenzare da Vasone, che è un emarginato. Le conseguenze sono che se Bazzecca, per dirne uno, fa un passo indietro e anche Percivalle si decide a farlo, tutti e due vanno a sbattere contro Fabiocchi, che ha seguito la stessa tattica, e tutti e tre collidono con Riccomagno, il quale indietreggiando rovina addosso a Diton e a Bessé. Il pericolo è che finiamo tutti quanti a sgambettare in aria come tanti scarafaggi rovesciati, se afferri la metafora, Slucca. E sarebbe una vera catastrofe non tanto per noi ma per il Paese, che in questo momento non può permetterselo». Il momento, già. C'era sempre il momento da considerare, o meglio, non c'era mai, sembrava sempre che stesse per arrivare ma poi invece no, non era il momento, il momento era invariabilmente prematuro, inopportuno, sbagliato, bisognava aspettare quello giusto. Per cercare di sapere qualcosa di più sulle condizioni Migliarini ha deciso di andare in uno dei tre o quattro luoghi in cui a Roma le condizioni addirittura si creano, talvolta. Sono salotti politico-finanziari-culturali gestiti da signore {maìtresses le chiama corrivamente Vasone, che però, come me, non li frequenta, non fa parte della crema), dotate in primo luogo di un altissimo spirito di servizio. Servizio in camera, dice il corrivo Vasone, e so bene che altri llo, muro urale scherzano pesantemente su queste dame, animate secondo i detrattori da pura vanità mondana, dalla smania di contare, di manovrare, di sponsorizzare les grandes affaires, come nei salons francesi del Settecento, cui queste ridicole imitatrici si ispirerebbero. Ma si fa presto a sfottere. «E' indiscutibile», ragionava Migliarini, «che qui non trovi né Voltaire, né Diderot, né il principe de Ligne, ma è altrettanto inoppugnabile che quei salons leggendari furono l'anticamera della ghigliottina, mentre questi della Roma di oggi possono portare al massimo a un taglietto con le for bicine se ti stai asportando di fret ta i peluzzi del naso prima di venirci, I rischi, insomma, sono minimi: un cerotto e via». Io mi toccavo il naso. «Stasera ti voglio con me, Sluc ca, mi puoi essere utile là in mez zo. Ti affido un subincarico espio rativo ufficioso». Ho abbassato gli occhi sulla mia cravatta. «Ma io non sono invitato, non faccio parte della crema, e questa cravatta...». «Io posso portare chi voglio con qualsiasi cravatta. Sarai accolto a braccia aperte, Slucca, crema o za bajone. Vieni tranquillo». Il salon di questa signora era in un palazzo antico e cu po, al primo piano. Occupava i quattro lati attorno al corti le, dove si sentiva sgocciolare una fon tana e si intravede vano alcune statue Altre statue e ma scherani ornavano i muri su per lo scalone da cui una sagoma nera stava scendendo cauta nella penombra. Era il vecchio senatore Portis, nostra me moria storica, che ancora si ricorda per esempio che nell'anno dell'assassinio di Kennedy, 1963, l'on. Arduino vinse 5 milioni al to tocalcio. Ho visto che Migliarini, per non esporsi in prima persona, stava tirando via e così ho fatto io la domanda. «E allora, senatore, ci sono le condizioni?». L'altro si è fermato appoggiandosi al bastone. «A quanto pare non ci sono», ha detto gravemente. «Mulas insiste nel suo veto nonostante il mezzo ripensamento di Riva. Non si rendono conto che nel momento attuale il Paese corre seri pericoli». Il bastone gli è scivolato sulla pietra consunta del gradino e il senatore m'è caduto tra le braccia. Nell'oscurità non mi ha riconosciuto. «E questo chi è?» ha chiesto a Migliarini scostandosi irritato. «E' un collega, è Slucca». «Ah, bravo Slucca, teniamo duro. Ormai, al punto in cui siamo arrivati, bisogna che ognuno si assuma le sue responsabilità. Lo dica anche lei al conte, per il quale abbiamo tutti la massima stima. Integer vitae scelerisque purus... E' questo che deve tenere presente per il bene del Paese, glielo ricordi, Slucca, mi raccomando». Mi ha dato un colpetto sulla spalla col suo bastone e ha ripreso a discendere, tra gli umidi muri. «Che voleva dire?» ho chiesto a Migliarini, ma lui era già tre gradini più in su e non ha risposto. Ma al di là dell'alta porta spalancata l'idea del senatore già stava circolando o forse era stato lui captarla da bocche altrui tra una sedia e un divano. Passando di stanza in stanza vedevo molte sedie di varia foggia e disomogenei divani, ben pochi occupati. Tutta la crema se ne stava in piedi (un magnifico colpo d'occhio!), e si andavano dicendo minacciosamente: «Voi dovete assumervi le vostre responsabilità!» o anche «Noi ci assumiamo le nostre responsabilità ma ognuno deve assumersi le sue!». La padrona di casa era nel terzo salone e stava dicendo a un gruppo dei più creinosi: «Be', a mio modesto parere, bisognerà che ognuno si assuma...». S'è interrotta alla vista di Migliarini, l'ha abbracciato e baciato sussurrandogli: «Ci sono o non ci sono?». «Non mi risulta che ci siano», ha detto Migliarini, «ma ho dato qui al nostro Slucca un subincarico esplorativo ufficioso per accertare come stanno veramente le cose a volo d'uccello. Nel giro di mezz'ora sapremo. Vai Slucca, vai tranquillo». Non mi ha nemmeno presentato a quella dama secca secca coi capelli nerissimi tirati indietro come una ballerina della Scala e due globi rutilanti appesi alle orecchie. Lei del resto aveva già preso sottobraccio l'on. Riccomagno e se ne andava parlottando con lui. E come uccello io mi sono subito sentito impallinato dall'on. Mimma Malvolio, che da) centro del successivo salone aveva puntato su di me il suo sguardo a due canne brunite. Quel suo ruvido tailleur a scacchi neri e nocciola sembrava fatto apposta per una battuta di caccia. Carlo Frutterò Franco Lucentini Continua L'ordine partì dall'ori. Migliarini Ma gli coprì la voce una sirena della polizia capito?» domandò «A grandi linee» rispose Invece aveva perso le parole fondamentali Per i suoi «contatti a tutto campo» interrogava deputati e giornalisti nei bar intorno a Montecitorio. Inutilmente Era una situazione di stallo, peggio del muro contro muro Non restava che il salotto politico-finanziario-culturale O ù dura per il portaborse di F & L: il suo 3fl§|fig nuovo incarico è cercare le condizioni.lBpP!ps£ Franco Lucentini e Carlo Frutterò In alto, il Palazzo di Montecitorio

Luoghi citati: Napoli, Roma