Gli avvoltoi sull'oro dei profughi di Pierangelo Sapegno

Gli avvoltoi sull'oro dei profughi Gli avvoltoi sull'oro dei profughi Così scafisti e racket controllano i viaggi della speranza 1 Di OTRANTO OTRANTO DAL NOSTRO INVIATO Guardate, dice. Sono ammucchiati sul tavolo. Il carabiniere li apre velocemente, li sfoglia. Qualcuno è verdognolo, come i vecchi nostri. Tutti passaporti falsi. Quanti sono? Carabiniere: «Ne abbiamo sequestrati 136». Poi ci sono i prestampati. «Questura di Bari», c'è scritto. In alto, lo stemma della Repubblica. Arrivano già con il permesso di soggiorno finto. Costano molto più del viaggio, questi documenti. Sono l'oro dei profughi, come racconta Agim Ormir, 24 anni, da Berat: «Vengono venduti a due milioni e mezzo, il passaporto e il permesso di soggiorno. Poi, c'è il viaggio a parte, da pagare agli scafisti». Un altro nùlioncino, più o meno. E alla fine stanno qui, la stessa scena di sempre sotto a un cielo di nubi brutte che soffiano pioggia e freddo, stanno tutti qui, tre containers in fila, lo scafo della Finanza che beccheggia davanti al porto, uno come Erzen che racconta la sua odissea e quella degli altri come lui, degli sfigati curdi, dei disperati del Kosovo, di tutti gli albanesi che fuggono, di una mamma che seppellisce il suo figlio nel bosco e va avanti senza più voltarsi, dei bambini gettati in mare, di tutte le vittime e i complici dei caronti crudeli del Canale d'Otranto. «Se vedete lo Stato qui, avvertitemi», dice un volontario. Guarda le onde come fanno loro adesso, dietro ai containers. Ci si può indignare, ci si può ribellare, ma «il cinico mercato di carne umana», come l'ha defunto D'Alema, continua inarrestabile. Persino ieri, che c'era il mare mosso e tempo di burrasca, e gli elicotteri dei carabinieri pattugliavano il cielo e i guardiacoste battevano il canale, persi no ieri, ne sono arrivati altri cin quanta, buttati sulle spiagge del canale, fradici, svestiti, disperati. Questo specchio di mare è davvero diventato, come dichia rava D'Alema al Senato, «lo sce nario emblematico di tutte le contraddizioni del Mediterraneo». Al porto di Otranto, nelle luci vespertine, ci sono il satelli te pronto per qualche telegiornale, i soldati in tuta mimetica, i bimbi che scrutano il cielo dalle finestre. A mezzanotte, 52 verranno imbarcati sulla Niobe, destinazione Durazzo. Stiamo qui a guardare, che li riportino indietro. Servirà a qualcosa? Da Valona, annuncia la Caritas, migliaia di profughi sono pronti a imbarcarsi, da Scutari altre migliaia sono pronti a partire per Valona. E' sempre una somma, mai una sottrazione. E poi, dall'altra parte, con il passar del tempo, «il cinico mercato di carne umana» diventa ormai un'industria, ancora più forte, ancora più organizzata. Alcuni profughi avrebbero raccontato di una «nave canguro», che smisterebbe i tempi e i viaggi sui gommoni. Altri, come i 12 iracheni di etnia curda che la sera del 23 ottobre erano stati rapinati e gettati in mare dagli scafisti, sarebbero stati ancora più precisi, dichiarando di essere rimasti per giorni a bordo di una grossa nave e di essersi poi trovati su un gommone che li doveva portare in Italia. Uno di loro, Mihamed Saed, fu colpito alla testa con il calcio di una pistola e buttato in acqua. Morì così. Se tutto questo fosse vero, questi nuovi mercanti del dolore userebbero gli stessi sistemi usati dai contrabbandieri italiani. Strano. Ma non erano albanesi questi Caronti? «Ma no, il mio scafista era italiano», dice Agim. In pratica, avverrebbe questo: un grosso mercantile carico di clandestini sarebbe stato trasformato in una base galleggiante e aspetterebbe in acque internazionali, tra la Grecia e l'Alba nia, i turni degli scafisti. La stra tegia degli organizzatori delle traversate sarebbe stata cambiata per correre meno pericoli, e questa tecnica della nave canguro riguarderebbe in particolare il traffico di clandestini asiatici, da tempo al centro di un patto fra cosche mafiose turche e albanesi. E chi riesce ad arrivare qui, ha solo chiuso la prima parte del suo calvario. Erzen, 18 anni, da Smoliza, Kosovo, racconta di aver sognato questa fuga da quattro mesi, in Albania. Mostra la ferita sul braccio, una lunga striscia: granata, katiuscia, dice. Aveva passato il confine, era sceso a Bayran Curry, il paese di Berisha, distretto di Tropoja. «Dal mio villaggio sono scappati tutti, perché è tutto bruciato, non è rimasto più niente, non ci sono rimasti neanche gli alberi, neanche le cose che ha fatto la natura». Erven s'è fermato tre mesi in ospedale per farsi curare, e poi ha intrapreso il viaggio verso Vlora. L'altro ieri, finalmente, è arrivato lo scafo per portarlo via. Il programma: sbarco in Italia, a Otranto, taxi per Roma e da lì, la seconda parte dell'odissea, verso la Germania, destinazione Stoccarda, «dove il suo fratello più grande lavora in un ristorante». Ha cominciato pagando la prima parte del programma. Novecento marchi: 600 per lo scafo, e 300 per il taxi da Otranto a Roma. «Il taxi l'ho mai visto», dice, «l'ho solo pagato». Ovviamente. Durante la traversata ha perso i suoi due amici. «Sono caduti in mare», confessa tranquillamen¬ te. E tu non hai cercato di aiutarli? «Non potevo fare niente. Non dipendeva da me». Toccava agli scafisti, allora, dice. «Ma loro hanno detto che non se ne parlava neanche». Adesso, Erzen aspetta la Germania. Qui, nei tre containers del porto d'Otranto, la prima faccia dell'Italia che comincia. «E' una situazione sempre più pericolosa e grave», dice monsignor Cosimo Ruppi, vescovo di Lecce. «C'è una massa di poveri che preme verso di noi. E quando i poveri premono...» L'accoglienza non basta più. Basta guardare San Foca, il Regina Pacis, palazzina in fronte al mare, 200 posti per 500 disperati, mentre la Caritas continua ad ammonire, «guardate, ne stanno arrivando altri» e ce ne sono 500 già pronti a partire da Valona, e migliaia che scendono da Scutari. La polizia albanese promette di sequestrare tutti i gommoni. Come se si potesse fermare cosi questo esodo, questa invasione. Pierangelo Sapegno 1 m&k

Persone citate: Agim Ormir, Berat, Berisha, Cosimo Ruppi, D'alema, Foca, Saed, Smoliza