L'Età prova l'arma della politica

L'Età prova l'arma della politica I nazionalisti moderati devono scegliere se allearsi con il braccio politico dei terroristi o i popolari di Amar L'Età prova l'arma della politica Herrì Batasuna potrebbe appoggiare il governo BILBAO DAL NOSTRO INVIATO Jon, il portiere dell'albergo, un vecchio basco alto e forte che sta a fatica dentro la sua livrea blu, andrà in pensione a dicembre, tra poco più di un mese. Quando, nel '39, Franco vinse e la guerra civile finì, lui aveva cinque anni. «Sehor, ma la guerra vera è finita soltanto domenica», diceva a voce bassa. Qui, nel Paese Basco, domenica si è votato; erano intanto passati 60 anni e 800 morti. Jon non ha detto su quale partito abbia messo la sua crocetta, domenica. Se abbia votato quelli dell'Età o gli altri, i loro avversari moderati. Ma nemmeno glielo abbiamo chiesto: da queste parti è saggio farsi cauti, quando si parla di politica. «Però ora vado in pensione più sereno». La sua vecchia faccia sorrideva, mentre lui apriva l'ombrello per i pochi passi verso il taxi. La guerra di Jon era la guerra senza fine della Spagna che la Cruzada franchista aveva spaccato in due. Francisco Franco, il vecchio dittatore, è morto ormai da più di vent'armi, e la transizione spagnola ha generato una democrazia sufficientemente solida, che comunque ha preferito non stare a frugare troppo nelle soffitte della memoria (Freud e Pinochet sono una mistura esplosiva in questi giorni, in Spagna). Ma comunque, di quella vecchia dittatura c'era un'ultima eredità che la gente di questo Paese non aveva ancora assorbito: la «guerra di bassa intensità» che qui si combatteva tra i nazionalisti baschi e lo Stato spagnolo. Una guerra ch'era arrivata lino al punto di mettere una bomba contro il primo ministro e di stare a un solo passo dall'ammazzare re Juan Carlos. Certo, l'irredentismo d'Euzkadi è una traccia della storia che va più indietro di Franco e delle sue repressioni sanguinarie; però l'identificazione dello Stato con la dittatura falangista ha marchiato a sangue, nell'immaginario collettivo del Paese Basco, la scelta terrorista del nazionalismo separatista e la stessa identità dell'Età. E contava poco, che intanto qui fosse arrivata la democrazia. Ora la guerra di Jon è proprio finita. L'Età domenica non ha «votato» più, si è messa da parte; ha accettato che la politica si sostituì- sca alle pistole. Questa scelta l'ha chiamata «tregua delle armi», come si fa negli eserciti. Era però anche la dichiarazione di sconfitta d'una strategia. Se la parola parla là dove finora c'erano soltanto pallottole e bombe (l'ultimo attentato è di pochi mesi fa), allora si avvia davvero un processo nuovo, che mette da parte la storia del passato. Ma il difficile arriva ora. Il problema, infatti, non è la formazione del nuovo governo nel Parlamento dell'autonomia (sarà una trattativa poco complicata: i 21 nazionalisti moderati del Pnv si uniranno ai loro 6 ex compagni dell'Ea e poi dovranno scegliere con chi raggiungere la maggioranza assoluta di 38 seggi, se con i 14 socialisti del Psoe, oppure con i trionfanti 16 conservatori del Pp di Aznar; ma Herrì Batasuna, braccio politico dell'Età, presentatosi al voto come Euskal Herritarrok (He) e diventato il terzo partito, per bocca del suo leader Arnaldo Otegui ha prospettato ieri la possibilità di appoggiare dall'esterno il governo. Il problema vero sarà invece di come cambiare la «cultura della guerra», quello spirito della divisione e quella stessa abitudine alla paura che si sono ferocemente calati dentro il cuore di questa società. E non basta un voto senza la pistola, per pensare di poter arrivare già subito fino al fondo oscuro di quelle angoscie. Gli occhi di Jon ieri non sorridevano, nella sua faccia comunque felice, [m. e] Sostenitori di Euskal Herritarrok (He), braccio politico dell'Età

Persone citate: Arnaldo Otegui, Aznar, Francisco Franco, Freud, Juan Carlos, Pinochet

Luoghi citati: Bilbao, Spagna