COSSIGA E IL POLO ADDIO DIFFICILE di Pierluigi Battista
COSSIGA E IL POLO ADDIO DIFFICILE COSSIGA E IL POLO ADDIO DIFFICILE ziaria» nei confronti del leader del Polo che lo stesso Cossiga dichiara di voler brutalmente «cacciare via» dalla politica. Parole forti: reazione molto aspra a giudizi taglienti che Cossiga ha rovesciato sul leader del Polo invitato con brutalità a toghere politicamente il disturbo. Ma è come se il tumultuoso protagonismo politico di Cossiga avesse scatenato un duplice psicodramma. Quello di una sinistra che si affida alle virtù terapeutiche del Maalox per digerire un alleato che un tempo veniva raffigurato come una figura diabolica. Ma anche quello di un mondo di destra che vive e soffre la ((trasmigrazione» di Cossiga come un abbandono lacerante e un rapporto d'amore andato in frantumi nell'astio reciproco e nei veleni di un rancore inconsolabile. Non va dimenticato che in questi ultimi anni il moderatismo italiano anticomunista aveva letteralmente adorato il Cossiga del piccone e dello scontro frontale con gli eredi del Pei. E anche la destra non moderata, quella di derivazione missina, ha maturato nel corso degli anni un sentimento di esplicita devozione nei confronti del Presidente che per primo, da irrequieto inquilino del Quirinale, venne vissuto come lo «sdoganatore» del Msi. Ora è il momento della rottura traumatica e accompagnata dalle invettive più cruente e nelle vicinanze del Polo si grida al «tradimento». Anche con il Bossi del ribaltone si evocò il fantasma di Giuda. Ma con Bossi non c'era mai stato amore, soltanto convenienza. Con Cossiga era diverso. E quando l'ex Capo dello Stato pronunciò in Senato l'arringa difensiva a favore del ministro della Giustizia Filippo Mancuso che la maggioranza a sostegno di Dini voleva sfiduciare, molti, nella destra, riconobbero in quel discorso la prova che il «padre nobile», seppur allora appartato e volontariamente recluso in un ruolo super partes, sapeva rispondere, malgrado sporadiche incomprensioni, a uno schieramento composito che vedeva in Cossiga il più prestigioso dei politici che avevano osato sfidare il predominio della sinistra. La sensazione del «tradimento», con il peso di questo passato, non poteva perciò che alimentare lo psicodramma di questi giorni. Ora la «destra» si trova costretta a detestare l'oggetto di un grande amore: esattamente l'opposto di ciò che succede attualmente alla sinistra, costretta a convivere con qualcuno che nel fondo ancora si detesta. Ma il linguaggio geometrico delle simmetrie e dei rovesciamenti speculari non fa giustizia di quel groviglio di pulsioni contrapposte che attualmente agita un mondo contemporaneamente attratto e respinto dalle acrobazie tattiche di Francesco Cossiga. Si ripete insomma, pur in un contesto differente con protagonisti molto diversi, quella sensazione di doloroso strappo con un pezzo decisivo della propria storia che il mondo moderato che salutò con entusiasmo la «discesa in campo» di Berlusconi dovette provare assistendo all'amatissimo Indro Montanelli che si metteva con i «nemici» di sempre. Anche allora piovvero, non senza punte di autentica isteria, ro boanti accuse di «tradimento». Ma una «secessione», psicologica ed emotiva in primo luogo, si era consumata. I Rocco Buttiglione, i Save rio Vertone (forse i Giorgio Rebuffa) incarnano il simbolo di questa nuova «secessione» che con ogni probabilità non trascinerà dietro di sé consistenti settori dell'universo po litico che si riconosce nel Polo. Resta la percezione di una frattura che diffìcilmente potrà essere risanata in tempi brevi. E non c'è guer ra più devastante di quella ingag giata quando un grande amore si schianta nei fumi del risentimento. Pierluigi Battista
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