Valanga nazionalista nei Paesi Baschi

Valanga nazionalista nei Paesi Baschi Lo spoglio consegna la vittoria ai moderati del Pnv, ma cresce la coalizione degli ultra Valanga nazionalista nei Paesi Baschi //primo voto dopo la tregua dell'Età BILBAO DAL NOSTRO INVIATO Non c'erano le pistole dell'Età, ieri, per la prima volta, nell'urna dove i baschi hanno lasciato cadere le schede della loro volontà politica, confermando la maggioranza assoluta ai partiti nazionalisti. E per la prima volta ieri le code di votanti che s'allungavano dietro il portoncino dei seggi mostravano facce e storie che mai, in tutti gli anni precedenti, si erano presentate all'appuntamento elettorale. Il lungo tunnel delle vite chiuse nell'ombra e nel silenzio stava arrivando alla luce. Anche in quest'ultima terra della vecchia Europa dove i giorni elettorali erano stati segnati sempre dal sangue fratricida il tempo della paura pare dunque finito; quell'I 1 per cento in più di votanti che in chiusura si è registrato in tutti i seggi (con una cifra mai raggiunta nelle sei legislature dell'autonomia) era il primo dei premi che la speranza della pace sta portando alla democrazia spagnola. Le feste della democrazia hanno rituali obbligati, dovunque, ma questo ancor più in una marca di frontiera dove le minacce del terrorismo hanno sempre rischiato di trascinare nell'irrazionalità l'intero territorio di Spagna, con i fantasmi del suo passato, l'ossessione delle nazionalità, l'ipersensibilità delle vecchie corporazioni militari. Un tempo si chiude, definitivamente, ed è un tempo che va ben al di là della storia politica di questi nostri anni: ieri, qui, nel Paese Basco, in una grigia giornata di pioggia, si è anche sepolta per sempre l'ultima eredità della Guerra Civile. Ora Franco è morto davvero, e quella pietra di marmo che chiude la sua tomba, lassù nel vento freddo della Sierra di Guadarrama, ora nessuno la muoverà più. Tutto quello che verrà dopo le coalizioni, il Dibattito sul l'autodeterminazione, lo stesso negoziato della pace - nessuno ancora sa che profilo avrà, né i tempi e i modi attraverso i quali verrà a diventare un progetto politico di consenso. Quello che è certo, comunque, è che sarà un percorso diverso dal passato. E su questo percorso possibile, le schede che venivano scrutinate nella notte andavano intanto offrendo alcune indicazioni di massima, i cui elementi più significativi sembravano essere: 1) la conferma del Pnv (nazionalismo moderato) come prima forza politica; 2) una forte avanzata del nazionalismo radicale, il partito dell'Eh che è considerato braccio politico dell'Età; 3) maggioranza complessiva ai partiti nazionalisti, in una dimensione mai raggiunta prima; 4) guadagno consistente del partito di governo di Aznar, che ottiene un risultato mai avuto nemmeno dall'Ucd di Suàrez; 5) conferma di una con dizione di crisi, o comunque di malessere, dei socialisti del Psoe, che ancora non recupera no la batosta ricevuta con la sconfitta di Gonzalez. Se questo voto aveva finito per coagularsi come una sorta di referendum tra partiti «nazionalisti» e partiti «spagnolisti», a vincere il referendum sono stati i nazionalisti. Ma non avrebbe nemmeno potuto essere diversamente, perché la tradizione politica di questa terra, la sua cultura, la storia orgogliosa della sua antica autonomia di leggi ed editti, non sono sovrastrutture che si reggano sulla canna di una pistola. Piut¬ tosto, quello che il risultato del voto lascia credere - il primo voto, ricordiamolo, senza la minaccia di quella pistola - è che la strada del negoziato è ormai imboccata decisamente anche dai nazionalisti radicali: la politica sostituisce le pallottole, e accetta il dovere del compromesso. Vincono i moderati del Pnv che per queste elezioni hanno teso una mano agli uomini incappucciati dell'Età, e vince anche chi all'Età ha dato sempre appoggio politico e copertura sociale (da 11 seggi l'Eh passa a 14 seggi, terza forza del Parlamento basco). Una lettura diretta di questi due risultati non può che riconoscere la nuova responsabilità che il nazionalismo si trova oggi delegato ad assumersi, all'interno di un processo segnato dalla via politica delle rivendicazioni «nazionalistiche». In fondo, il voto dice che aveva ragione il Premio Nobel della Pace, l'irlandese John Hume, che era venuto qui l'altro ieri a portare al Paese Basco la forza convincente dell'esempio dell'Ulster: «E' cominciato il tempo del postnazionalismo», ha detto a baschi e catalani. «Nel nuovo mondo di fine millennio, le fratture di frontiere e confini sono un'eredità che non ha più storia spendibile. La nuova era pretende una cultura nuova». E' difficile dire, oggi, con un voto che ancora non è stato letto in ogni suo risvolto, come questa «cultura nuova» possa radicarsi all'interno di una società che per molte generazioni ha vissuto nell'angoscia della repressione, prima, e della «sofferenza collettiva» dopo. E ci sono anche incertezze, e dubbi, sulla compattezza collettiva del vertice pohtico-militare dell'Età, in questa tappa inusuale della sua storia di forza geneticamente alternativa, d'opposizione radicale. Ma la pace non s'inventa in un giorno, e ieri notte nelle strade di Bilbao e di San Sebastiàn si è fatta festa. Forse era una festa meno grande di quanto la forza della speranza avrebbe voluto credere, c'era anche freddo e l'autunno bagnava l'allegria. Ma questa terra ha dato troppi morti alla memoria del nostro tempo, e ieri a votare andavano, insieme, uomini che avevano sparato e uomini che erano stati sotto il tiro della pistola. Dimenticare non sarà facile. Mimmo Candito Avanzano i popolari di Aznar In ombra gli altri partiti nazionali Ancora un passo falso per il Psoe prigioniero dell'era Gonzalez A sinistra, Arnaldo Otegi, leader di Eukai Herritarrok, la sigla dei candidati di Herri Batasuna e, sopra, Carlos Iturgaiz, del Partito Popolare

Persone citate: Arnaldo Otegi, Aznar, Carlos Iturgaiz, Gonzalez, John Hume, Mimmo Candito

Luoghi citati: Bilbao, Europa, Paesi Baschi, Spagna, Ulster