Un business alla luce del sole

Un business alla luce del sole Un business alla luce del sole A Valona nessuno ferma l'imbarco dei disperati I TRAFFICANTI DI CARNE UMANA , dfiBh TIRANA BLJf UANDO è entrato nella ba^B^racca sul bordo della vecchia salina, nella piana a Nord della città, Avni Bennd ha gettato appena un'occhiata su quei ventitré disperati scesi dal Kosovo, sui volti affilati degli uomini, sugli occhi gonfi delle donne e dei bimbi, sulle borse di plastica dalle quahspuntava qualche straccio. Lui, a Valona, è uno che conta, uno che fa quello che vuole: se decide di portare la droga sul suo gommone a fondo rigido e dotato di due motori da 400 cavalli, la porta; se sceglie di taglieggiare qualche poveraccio del suo quartiere, quello a ridosso del porto, lo fa; se tocca ai clandestini, dà ordine a uno dei suoi di partire. Lui, per mare, non va: è uno dell'aristocrazia del crimine, quella affermata in anni dimenticati, non uno che si mette in mostra come quelli dell'ultima leva, smaniosi di apparire sulle prime pagine dei giornali o di veder la propria foto in tivù. Quelli sono i fratelli Zani, sempre pronti a piazzarsi davanti all'obiettivo, a tutto purché si parli di loro. Con Jimmi, con Sakol, con gli altri, Bennd è un capo di quella che chiamano la mafia albanese. Lui ha gli agganci buoni con i turchi e con i cinesi, e il lavoro assicurato. L'altro giorno erano quei ventitré il suo lavoro, e non era contento. Doveva traghettarli dall'altra parte dell'Adriatico, sul tacco. Tutto concordato, prezzo compreso, che per chi scende dal Kosovo si aggira sulle 500 mila lire e gli scafisti si lamentano che ci rimettono. Ma è una tariffa «politica» perché non si può far vedere ai fratelli separati che si vuole speculare su di loro. Quelli arrivano dopo un viaggio di giorni ^terminabili dopo aver evitato rastrellamenti serbi e passato la frontiera a Ballaban, a Vlahen, a Pogai o in qualche altra gola sperduta, oppure ad Hani Kofi, che è la porta del Montenegro. Molti si riu niscono a Scutari, ieri erano 4 mila: qualcuno spera di tornare a casa, gli altri sognano la Svizzera o la Germania e sanno che per arrivarci devono passare dall'Italia. Purtrop po, lo sanno anche i vampiri di casa nostra che fin dal primo momento hanno capito l'affare. E hanno fornito di gommoni e motori i soci di Valona. Dalla frontiera a questa città eternamente ribelle, i profu ghi viaggiano sui camion, sui bus o sui taxi collettivi. Pare impossibile, ma molti si sono organizzati con agenti di viaggio, chiamiamoli così, abili a infiltrarsi nei centri di raccolta e ai posti di confine. Magari non si fidano, ma non c'è altro da fare. Se nella Gjirii Vlores, nella ra da di Valona, quella dove si arenò il Vittorio Veneto, sono ormeggiati una ventina di gommoni, il grosso è fuori, sotto la penisola di Karabu run, dove un tempo trovavano ri paro i sottomarini nucleari soviet! ci e quelli cinesi. Eppoi, punti d'im barco si trovano nei piccoli golfi di Spilese, di Palermos, di Kakomès, anche a Saranda. E le partenze avvengono sotto gli occhi di tutti, con i parenti destinati a turni successivi che accorrono sulla spiaggia per un saluto, una raccomandazione estrema. Uno scandalo continuo che l'altro giorno ha costretto Petro Koci, attuale ministro dell'Interno, a fare una dichiarazione d'intenti: «Abbiamo deciso di adottare misure speciali contro questo grave fenomeno. Credo sia intollerabile che clandestini si radunino alla luce del sole attendendo solo di imbarcarsi. Mi aspetto dai miei dei risultati». Poi la promessa: «Controlleremo le principali vie d'ingresso della città di Valona e pattuglieremo la zona costiera da terra per impedire ai clandestini di raggiungere i tradizionali luoghi d'imbarco». Ma lo sa bene che non sarà una cosa semplice. «Fin dal giorno del mio insediamento ho chiesto una iniziativa legislativa, indispensabile per procedere al blocco dei motoscafi senza che poi i tribunali lo revochino alcune ore dopo, così come già accaduto. Purtroppo negli anni scorsi in questa direzione non è stato fatto nulla». Guerra dichiarata? Parrebbe. «A Valona ci sono individui che hanno collaborato con il crimine e noi voghamo rimuoverli». Vedremo se sarà una cosa possibile. Più efficace, forse, il progetto della Fondazione Scanderbeg: «Attaccheremo sui muri di Valona manifesti in più lingue per mettere in guardia i profughi sui rischi di una traversata in gommone», dice Patrizio Ciu. Quando il lungo viaggio della disperazione comincia da Turchia o Iraq, insomma da quello che chiamano Kurdistan, o dall'Egitto, da Ceylon, da Canton o da qualsiasi altro angolo della Cina, i clandestini in qualche modo hanno già saldato il loro debito: milioni, fra i 10 e i 20, talvolta pagati in contanti che sono dollari Usa o marchi, altre con l'impegno che qualche familiare renderà servigi all'organizzazione, insomma, o si arruolerà o accetterà di trasportare droga, di rendere altri servizi similari. La mafia accetta. Anzi, le mafie, perché nel business ci sono un po' tutti: russi, albanesi, turchi, italiani, slavi, qualche austriaco, qualche tedesco, anche qualche svizzero di solito, tuttavia, impegnato in altri settori, magari a riciclare banconote. L'organizzazione fornisce un lungo e incerto viaggio a volte su un cargo decrepito, altre con vecchi camion lungo strade che nessuno in realtà sorveglia. Prima c'era l'aeroplano: perché per anni a Rinas, scalo di Tirana, una banda composta da mascalzoni in borghese ma anche in divisa s'industriava a far passare comitive di curdi, cinesi, pakistani, marocchini, insomma quanto arrivava. «Voghamo fmalmente cambiare l'immagine della nostra polizia», ha garantito Koci. Come racconta la cronaca di questi giorni, i primi risultati fanno temere il peggio. Si aspetta la chiamata nelle baracche o nelle foreste: perché i punti di riunione sono anche in mezzo a una macchia. «Il popolo dei boschi», li hanno chiamati. E quel popolo un giorno dell'estate dell'anno passato si riversò in massa su una carretta in attesa davanti alla spiaggia di Velipoje, presso Scutari: l'indomani quel ferrovecchio si presentò davanti alla costa italiana. Ora Avni Bennd da l'ordine: «Partite». Tutti sul gommone, gli spruzzi di mare sul viso, gli occhi all'orizzonte, la paura di essere scoperti ma anche che quello al timone armato di kalashnikov ti derubi e magari ti scaraventi fuoribordo. Lo scafista è stato chiaro: una volta sotto costa, i bimbi devono arrampicarsi sugli scogli, serviranno a ritardare un'eventuale inseguimento. E se le motovedette italiane saranno troppo vicine, tutti in mare. Chi riesce a salire fino alla strada senza farsi beccare, è quasi a posto. Ci sono i taxi. Che non fanno parte dell'organizzazione, ma sanno come funziona, così sono lì a succhiare gli ultimi spiccioli. Ad ogni buon conto, se tutto andrà per il meglio, se non si verrà bloccato e portato in un centro di raccolta, l'autista di un Tir ti farà salire sul cassone e ti porterà oltre frontiera, su a Nord. Oppure, il treno. L'organizzazione alla partenza garantisce anche il biglietto. Ma in realtà non garantisce niente. Vincenzo Tessandori Dietro i viaggi organizzati le mafie di più Paesi Il ministro dell'Interno di Tirana promette più controlli: questo scandalo deve finire Sabato alle 4 gommone esplode sei miglia a Nord dell'isola albanese di Sasena, al largo di Valona, dopo lo scontro con un altro gommone che rientrava dall'Italia. Bilancio: 6 morti e 20 superstiti. Immigrati provenienti dal Kosovo ieri mattina subito dopo lo sbarco nel porto di Otranto

Persone citate: Avni, Avni Bennd, Hani Kofi, Koci, Patrizio Ciu, Petro Koci, Vincenzo Tessandori, Zani