Einaudi, profezie di un presidente di Renato Rizzo
Einaudi, profezie di un presidente Dogliani ricorda l'uomo politico Einaudi, profezie di un presidente DOGLIANI DAL NOSTRO INVIATO Una commemorazione essenziale, rigorosa, secca. D'una affettuosità persino un po' ruvida, come certi abbracci langaroli che sfuggono le smancerie: Dogliani ha celebrato, così, il mezzo secolo dalla nomina a presidente della Repubblica del suo cittadino più illustre, Luigi Einaudi. E contemporaneamente ha ricordato i 35 anni della biblioteca a lui dedicata. Sarebbe forse piaciuta quest'atmosfera ostentatamente sobria all'ex Capo dello Stato che, condotto al Quirinale dopo l'elezione da un giovanissimo Andreotti, guardò in tralice l'antica dimora dei Papi e disse: «Io abitare qui? Ma neppure per sogno». Ci vollero tatto e diplomazia per convincerlo che il primo Presidente eletto doveva per forza risiedere sul colle più alto di Roma. Scenografia di Cinquantanni fa veniva eletto Presidente della questo incontro, 1 edificic edificio scabro in vetro e cemento, voluto dai figli di Luigi Einaudi, che ospita la raccolta di volumi a lui dedicata: oltre 5 mila libri, sale di lettura, mezzi audiovisivi. Folla delle grandi occasioni in questa costruzione che la gente di qui chiama, con garbata soggezione, «l'astronave», per ascoltare, oltre ai familiari del Presidente, Giorgio Ruffolo, Massimo Salvadori, Daniele Del Giudice e Beniamino Placido. Ad ognuno il compito di focalizzare un aspetto di quest'uomo multiforme che seppe armonizzare i suoi ideali monarchici con l'assoluta dedizione allo Stato repubblicano, il suo amore per la piccola patria di Dogliani con una visione europea, la macroeconomia con l'economia rurale. «Uomo ricco dell'ottimismo del contadino che confida nelle sue forze e nel domani», lo definisce il figlio Roberto ripercorrendone i Luigi Einaudi Repubblica duri anni di insegnante che seppe rischiare una cifra pari a 32 volte il proprio stipendio per acquistare la tenuta di San Giacomo: «Erano tempi di crisi agricola, nessuno avrebbe ragionevolmente affrontato un passo del genere». Ruffolo disegna la figura di Einaudi economista che sapeva arricchire l'arido linguaggio delle cifre con l'afflato dell'umanista. E, anche, volgarizzare la scienza con la penna del giornalista di vaglia: prima alla Stampa, poi al Corriere della Sera e collaboratore di prestigiose riviste internazionali. Quando venne eletto Capo dello Stato, YEconomist annunciò con un - understatement che certo deve essere piaciuto al neoinquilino del Colle: «Il nostro corrispondente da Roma è diventato Presidente della Repubblica». In questo pomeriggio piemontese si fruga tra «le prediche inutili» e, ancora una volta, si scoprono considerazioni ed elaborazioni intellettuali che sembrano sfiorare la profezia. Come quando Einaudi parla di quella radio che sta faticosamente entrando nelle case degli italiani. Parte dall'elogio per le caratteristiche dello strumento, ma arriva ad indicarlo come «perfettissimo mezzo di imbecillimento della collettività», se chi lo propone e chi lo usa non sa fermarsi alla soglia del «punto critico» che segna il confine tra utilità ed abuso. Spirito critico, spesso caustico, nascosto in parole anche desuete. Lo scrittore Del Giudice, analizzando la scrittura dell'economista, cita ad esempio il termine scissiparità: è scomparso da quasi tutti i vocabolari, non evidentemente dalla prassi politica. Significa, infatti, «proliferazione di ministeri e di enti inutili». Renato Rizzo - Cinquantanni fa Luigi Einaudi veniva eletto Presidente della Repubblica
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