La rivincita di Macario

La rivincita di Macario la memoria. Una biografìa riscatta la grandezza del comico Pierrot La rivincita di Macario In tv si ride ancora con i suoi film H1SSA' dove finisce la barca dei comici. Dev'esserci un inghiottitoio, un cunicolo che, alla loro morte, li ri- succhia cancellandoli dalla memoria comune. Ci ricordiamo ancora di Macario? E in che modo? Non fosse per la televisione, che ogni tanto ripropone alla rinfusa qualche suo film (ma non Imputato alzatevi, non Comepersi laguerra), nessuno incontrerebbe più l'arte ilare e candida di un protagonista del teatro leggero italiano, un attore dai ritmi stralunati e dondolanti, con la figurina svelta che sembrava tracciata da una matita infantile. E infatti ci fu un disegnatore, Manca, che la trasformò in pupazzetto per il Corriere dei piccoli. Per cinquant'anni Macario è stato il signore del divertimento. Ha dato agli italiani del dopoguerra quelle macchine da spettacolo complesse e perfette, che gareggiavano per grandiosità e lusso con quelle dei fratelli Schwarz. Con la testa a uovo e la bocca a fetta di cocomero (la definizione è di E. F. Palmieri) Macario sobillò le platee con i plotoni delle sue leggendarie «donnine», con il rito della passerella e con una comicità assurda che derivava certo da Petrolini, e che di lì a poco avremmo trovato nel giovane Rascel. Qualcuno volle paragonarlo a Charlot, ma il suo candore, la sua naturalezza nel salire a cavalcioni su una falce di luna lo rendevano simile a un morbido Pierrot di vena crepuscolare. Soltanto Totò, in quegli anni amari e stracciati, aveva la stessa popolarità di Macario. Soltanto Totò e Macario coniavano intercalari e tormentoni che diventavano immediatamente modi di dire («Lo vedi come sei?»). Eppure, nonostante il delirio dei fans, i successi clamorosi, la creazione di idoli femminili (basterebbe ricordare Wanda Osiris), che resta di Macario? Per fortuna la biografia che Malizio Ternavasio sta per pubblicare da Lindau viene a riaprire un capitolo fondamentale del teatro e del costume di questo secolo. Il suo Erminio Macario ricostruisce con minuzia una vita e un'avventura artistica cominciate nella Torino del primo Novecento, in quel quadrilatero barocco e popolare chiuso tra via Garibaldi e Porta Palazzo. Lì il piccolo Erminio cresceva inoffensivamente scapestrato con tre sorelle più grandi di lui e senza padre. L'imbianchino Giovanni Macario, a corto di lavoro, aveva preferito emigrare nel Massachusetts, da dove mandava ogni mese qualche dollaro. Un giorno, invece dei dollari, arrivò la notizia che Giovanni era morto. Per la famiglia Macario la vita si fece dura. Erminio, che già sentiva dentro di sé la chiamata confusa del teatro scoperto sulle tavole dell'oratorio, cercava di barcamenarsi tra il lavoro nelle officine, cambiato però con troppa frequenza, e la recitazione. Era il teatro vagante dei guitti quello nel quale fece le prime prove. Le tournée furono per cortili di locande e fiere di paese. Fame e strade bianche. Drammoni di Cavallotti e di Sem Benelli. Apprendistato comune a tanti attori drammatici di una volta. Tuttavia Macario non prevedeva una variazione di percorso. Nel '23, reduce da una fastidiosa malattia di gola, il giovane e squattrinato attore drammati¬ co passeggiava per Torino. In Galleria Subalpina lesse su un foglietto che la compagnia di Giovanni Molasso cercava un comico. Bastò una brevissima audizione per essere scritturato. Arrivò Isa Bluette, transfuga dall'operetta, che lo volle accanto a sé con il ruolo di «comico grottesco» nelle riviste che portava in giro per l'Italia. Fra riccioli liberty l'operetta esalava le ultime arie, scioglieva il cerone della sua giovinezza posticcia, mentre arrivavano da Vienna i fratelli Schwarz con le loro I biondone dalle gambe chilometri¬ che e cronometriche, che i cronisti mondani non tardarono a chiamare «Le rose del Wiener Wald». Fu in questo clima che Macario cominciò a organizzare le sue compagnie. Le prime donnine andò a scritturarle proprio a Vienna, inventò una macchina teatrale che, fragile nei testi, stordiva gli spettatori con il profumo del suo lusso. Fra donnine sempre più alte e soubrettes che agitavano il sonno, Macario portava il suo ovale di porcellana, il ricciolo che Petrolini gli aveva suggerito di incollare sulla fronte, i passetti «clopèn-clopàn», gli occhietti che ruotavano lisci e meccanici in un volto stupefatto, la parlata che inciampava sulle consonanti. Nascevano Piroscafo giallo, Follie d'America, Febbre azzurra, Moulin Rouge, Le educande di San Babila, Tutte donne meno io. Alla fine degù spettacoli, Macario arrivava in smoking bianco o color salmone e battibeccava con Carlo Rizzo, impeccabile spalla oltre che ottimo comico. H cinema lo corteggiava. Ma lui, dopo l'infelice esordio in Aria di paese (1933), diffidava. Interpretò tuttavia una trentina di film, ma sentiva crescere dentro di sé il sogno di tornare alla prosa, soprattutto quando la rivista cominciava a costare troppo e si svuotava di significato (nel frattempo la commedia musicale di Garinei e Giovannini aveva acquistato ben altra solidità). Nel '70 Macario interpretò Monssù Travet allo Stabile di Torino. Non era ancora il ritorno a casa. Quello vero e definitivo avrebbe dovuto coincidere con la costruzione di un teatro tutto suo, la famosa «Bomboniera», fra i cui velluti rosa-viola, purtroppo, Macario lavorò poco. Vi portò i suoi personaggi candidi, chiusi nella morsa della farsa, aprendo nella platea il largo squarcio della risata. Nell'80 morì, quasi all'improvviso. Apparentemente gli sopravviveva la «Bomboniera», che portava il suo nome e la cui insegna luminosa avrebbe dovuto ricordare alla città un suo figlio ilare, che aveva scosso l'Italia con l'agitare di Strass e piume di struzzo su carni scoperte. Ma anche il teatro andò incontro a un tristissimo destino Oggi non esiste più, travolto dal frastuono d'una discoteca. E' l'ultimo sintomo di una disattenzio ne e di una trascuratezza che precedono di pochi passi la dimenti canza. Macario? Mah. Osvaldo Guerrieri Dall'infanzia povera nella Torino primo '900 alle grandi riviste con stuoli di donnine Creò idoli come Wanda Osiris; le sue battute diventavano tormentoni Società randezza ario oi film del comicoQui accanto Erminio Mdei suoi travestimenti din basso, a sinistra, Wanna sulle tv 31 anni servato. con Ime sei...lo Mattoli della rigonista. ica, Coono poi Aldo Faola Due [r.s.c] ruotvoltciamvanoricage, Tuttgù ssmobattpecccomtorntivocontuttra»,purtVi pchiuaprsqu Qui accanto Erminio Macario in uno dei suoi travestimenti da tenero barbone; in basso, a sinistra, Wanda Osiris e Totò

Luoghi citati: America, Italia, Massachusetts, Torino, Vienna