La doppia sfida al «potere rosso»

La doppia sfida al «potere rosso» La doppia sfida al «potere rosso» 1 A IMA PAGINA ON era una terrorista. E infatti la piazza alla quale si rivolgono Casini, Fini e Berlusconi è una piazza di destra, sì, ma una piazza di poveri e Sii pìccolo ceto medio. Niente giovani yuppies col telefonino, per intendersi, ma moltissimi ragazzi e ragazze (anche loro spesso in camicia nera, come quelle del gruppo Azione di Napoli e tante altre) e pensionati, operai disoccupati, insomma la destra sociale arrabbiata. Arrabbiata ma, come abbiamo visto, compostissima e tranquilla. Arrabbiata con D'Alema ma, tastando il polso, furibonda con Cossiga ed esasperata con Scalfaro che è stato il bersaglio frontale dei tre leader che non hanno ingoiato l'accusa di analfabetismo costituzionale che il Presidente della Repubblica, con vivo disprezzo e annunciando di non essere un vigile urbano che sovrintende al traffico degli spostamenti dei deputati, aveva lanciato loro. Tutti e tre gli oratori hanno lanciato la loro ascia di guerra contro il Presidente della Repubblica, accusato di essere parole di Fini - politicamente ipocrita, uno che si trincera dietro la lettera della Costituzione «ma che non sa dire una parola, una sola parola a difesa dei cittadini espropriati dal loro voto». Spettacolarmente bisogna dire che ieri il più bravo è stato Fini, che in vita sua parla sempre a braccio e ha il polso della piazza. Berlusconi era alquanto inferiore a se stesso, al se stesso del discorso «delle Brigate Rosse» alla Camera in cui aveva preso fuoco in un'enfasi di grandissimo impatto; salvo quando ieri, verso la fine, ha trovato nella folla un'unica voce dialogante, un solo partner oceanico e vocale che ad ogni sua negazione (del modo in cui si è formato questo governo, delle tasse, dell'includo, del tradimento di quelli che sono passati con Cossiga e così via) rispondeva in coro «Nooo». Ed è stato un momento di alto pathos e di forte retorica e arte oratoria, con una rispondenza da concerto rock, cioè il massimo dell'impatto emotivo collettivo, ma con una connotazione di profonda ira. Hmden poveri e ceti medi sono con noi Ho seguito il corteo nato a piazza della Repubblica (che i romani seguitano a chiamare Esedra), fino a San Giovanni. Ed era un corteo francamente grandioso, un po' sbandato ma ricco di bande di paese. Forse quest'aria di festa e di scampagnata faceva la differenza con una manifestazione di sinistra: qui si sono viste anche alcune majorettes di Vicenza, la banda di Fiuggi, vecchi combattenti avvolti nel tricolore, c'erano i venditori con la bancarella dei calendari col Duce e le sue citazioni più celebri (meglio vivere un giorno da leoni...) e un fiume di gente del ceto medio venuta da ogni parte d'Italia ed era gente mite e tranquilla. Casini ha definito l'Italia che ha portato D'Alema a Palazzo chigi, un'Italia da arsenico e vecchi merletti. E infatti questo è stato il leit-motiv di tutti e tre gli interventi: intrigo e colpo di Palazzo si sono sostituiti al verdetto del popolo sovrano, eter¬ namente tradito. L'onorevole D'Alema, cui è tornata la raucedine benché non abbia dovuto fare nuovi governi nelle ultime ore, appena arrivato a Vienna ha dichiarato che questi sono ancora i giorni della polemica, ma che poi, date tempo al tempo, i toni caleranno e il dialogo riprenderà. D'alema non sottovaluti quella piazza: non si trattava soltanto della verve dei tre leader del popolo, ieri. Si trattava dell'umore, del sentimento collettivo, di quella cosa che chi fa il leader di mestiere conosce benissimo, e che ieri si palpava, trasudava, era nelle parole e nell'aria. Se quella gente venuta ieri a Roma a centinaia di migliaia (sul milione e passa non sapremmo pronunciarci per. incompetenza) era almeno solo in parte rappresentativa di una fetta del Paese prossima al cinquanta per cento, o quel che è in I quantità, in qualità era una fol- la di gente perfettamente informata di tutto l'accaduto, con un tasso di conoscenza dei fatti (il benefico effetto delle dirette televisive e dei talk show) e che era furiosa, si sentiva frustrata e derubata, era incattivita e indignata per come si sono svolte le cose non tanto in Parlamento, ma con il famoso voltafaccia dei deputati dell'Udì' cui sono state dedicate le contumelie possibili. Fini ha deliziato la sua gente quando ha parlato di «una sinistra di intrigo» e della «compravendita» di legittimità: era ciò che quella gente voleva sentirsi dire e che pensava. Ieri, al di là del folklore, si è vista dunque questa curiosa Italia di destra che è effettivamente diversa dalla destra di qualsiasi altro Paese, salvo forse quella argentina, perché mette insieme la componente liberal-liberista berlusconiana tagliata sulla piccola impresa e anche sul dipendente tartassato dalle imposte, e quell'altra, quella che seguitiamo a chiamare destra sociale, ma che è l'originalità fascista della antica matrice missina perfettamente viva e vegeta in Alleanza nazionale perché ne costituisce la memoria unificante, fatta di elementi rurali e pauperisti, la nostalgia per una inesistente età dell'oro in cui tutto era schietto, funzionante e al servizio dei poveri. La sinistra che oggi è al governo è vissuta da piazza San Giovanni co¬ me una sinistra forte dell'appoggio formidabile dell'establishment, della borghesia letterata e dei cosiddetti poteri forti. L'altro elemento politico notevole, lampante e sicuro, è che sogna chiunque pensi di staccare Berlusconi da Fini e viceversa, Casini incluso. 1 forzisti non vogliono la fusione con il popolo di Fini, ma i due popoli cominciano a somigliarsi, a fare famiglia. E questo blocco, se il fiuto non ci inganna e intendiamo riferirci al fiuto sulla folla, sugli umori più ancora che svigli oratori, questo blocco va cementandosi. L'attacco a tre voci (più quello enorme, soverchiarne) della folla contro il Presidente della Repubblica - e abbiamo visto sia Fini che Berlusconi sorridere sotto i baffi, mentre il loro popolo inveiva in massa - ha costituito l'elemento unificante e Fini ha saputo forgiare subito quell'amalgama dandogli la forma che lui sente: siamo gente semplice, gente che ha un cuore, che sente la politica come servizio e come sentimento civile. E quindi l'Italia di destra veniva confermata in un antico sospetto: che esiste un'altra Italia, quella che cova congiure e ribaltoni nei palazzi, senza cuore anche se forse ha esperienza, cervello, malizia. Tutto ciò, a parere nostro modestissimo, la sinistra che è al governo farebbe bene a considerarlo e calcolarlo. Berlusconi ha concordato con Fini nell'accusa di smodata ambizione lanciata a Massimo D'Alema. E il leader di Forza Italia ha rilanciato l'anticomunismo puro e semplice parlando di una oscura «maledizione di tutti i partiti comunisti del mondo che non sono arrivati mai, dico mai, al governo grazie a un libero e limpido voto popolare». Poi ha sfidato D'Alema a «schiodare» dal suo venti, ventuno per cento di voti, deridendo quella che una volta si chiamava la «teoria gramsciana di occupazione dello Stato», e che consisterebbe nel controllo dei sistemi di comunicazione, televisioni, giornali, università e quant'altro. Se non ci inganniamo, il rifiuto della Finanziaria di Prodi da parte di Bertinotti ha prodotto come effetto collaterale non calcolato un agglutinamento delle due destre coalizzate e integrate per fronteggiare ciò che considerano una sfida e un esproprio di democrazia. Inoltre l'effetto Cossiga, con tutte le annesse teorie e pratiche della trasmigrazione parlamentare, ha prodotto un ulteriore effetto di blindatura, di patriottismo interno e di coesione, che era l'esatto contrario delle intenzioni dichiarate dall'altra parte. Paolo Guzzanti Niente yuppies ma tantissimi ragazzi, pensionati operai disoccupati Arrabbiatissimi ma tranquilli Le bande di paese le majorettes e l'aria di festa hanno fatto la differenza con le proteste della sinistra E il Cavaliere usa le stesse parole di Papa Giovanni «Quando tornerete nelle vostre case ricordatevi...» Il capo degli azzurri è sembrato al di sotto delle sue possibilità oratorie Più avvincente il discorso del presidente di An