«Il ricordo più buono è di una amatriciana»

«Il ricordo più buono è di una amatriciana» «Il ricordo più buono è di una amatriciana» A una parte Tomo Mizuguchi, dall'altra Junichi Komaki: i due big di I.V.S., la più importante tivù privata giapponese erano al lavoro accanto alle loro telecamere per lo speciale natalizio di un'ora e mezzo sulla cucina italiana. «Ma è vero che la pasta si mangia al Sud e che al Nord si preferisce il liso?»: la domanda era semplice come la mia risposta. No, non è vero, e la contrazione nel consumo dei chicchi di Carnaroli ed Arborio, ne è mia prova; anche l'immagine (semplicistica) della maggiore difficoltà della preparazione del riso, fa sì che la pasta sia entrata prepotentemente negli usi anche al Nord. La pasta secca (ahimè, soprattutto quella industriale), condita di olio extra vergine crudo e formaggio grattugiato, insaporita di broccoli o cime di rapa (accanto ai «settentrionali» carciofi o pesto) è ormai nello abitudini delle famiglie targate Fumagalli, Repetto, Bortolan. La pasta è diventata simbolo di italianità, candido collante del tricolore a tavola, rappresentazione immediata ed icastica dell'essere italiani o di seguirne gli usi alimentari con simpatia. La pasta secca ar¬ tigianale, uscita dalle secolari trafile di bronzo, essiccata a lungo con la pazienza delle trepide ore dell'attesa consegna alla nostra tavola, regala al gusto, al tatto del nostro palato, quella rugosità che trattiene la succulenza dei sughi più diversi. La pasta, poi, è simbolo di cucina nazionale, di alta cucina del tricolore soprattutto quando è fresca ed è fatta in casa, in particolare, quando è fatta a mano, con il matterello, il sudore, l'amore. Ed allora, senza dimenticare gli insuperabili straordinari spaghetti all'astice di Quinzi & Gabrieli di Roma (il più leccornioso piatto di pasta secca che io conosca), andate alla Vecchia Trattoria da Tonino di Campobasso (le taccozze al ragù di papera muta, le linguine al sugo di baccalà e mollica abbrustolita), all'Angolo d'Abruzzo di Carsoli, in provincia dell' Aquila (pappardelle con la pecora, tagliolini al ragù di agnello), al Lanzagallo di Ferrara (tagliolini ai moscardini e quelli alle lumache locali, i bigoli con il pesce gatto), da Lancellotti a Soliera, nel Modenese (farfalle di pasta all'uovo con prosciutto, maccheroni al pettine con anatra, gramigna con salsiccia). Assaggiate nel Mantovano, al Pescatore di Canneto sull'Oglio, il più bel ristorante d'Italia, gli inarrivabili tortelli di zucca bagnati da un refolo di burro fuso. Sempre da quelle parti, sedetevi all'Ambasciata di Quistello per il celebre menu di sola pasta: tagbatelle verdi con fagioli e salsiccia, bigoli fatti al torchio con tonno sardelle e pomodoro, sorbir d'agnoli in brodo di cappone e coda di bue con il Rosso del Vicariato di Quistello, tortelli verdi ripieni di stracotto d'anatra muta Parmigiano ed Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, i «gloriosi tortelli» gialli di zucca e mandorle di pescae, la piccola pasticceria, la torta di filamenti di sfoglia. Con 100 mila lue un trionfo di italianità. La più buona pasta della mia vita qual è stata? Una pasta secca artigianale che veniva da Osimo, leccorniosamente accompagnata da briciole di un guanciale contadino dal profumo inarrivabile ed indimenticabile. Era l'amatriciana più classica e più buona. Chi me l'aveva cucinata? Uno chef non ancora celeberrimo: Gianfranco Vissani. Edoardo Raspolli

Persone citate: Bortolan, Edoardo Raspolli, Fumagalli, Gabrieli, Gianfranco Vissani, Lancellotti, Mantovano, Modenese, Quinzi, Repetto