La pace nell'urna basca

La pace nell'urna basca Il braccio politico dei terroristi e i nazionalisti moderati in lizza con socialisti e popolari La pace nell'urna basca Domani il voto, a un mese dalla tregua GUERNICA DAL NOSTRO INVIATO L'ultima guerra delle vecchia Europa si va consumando lentamente in quest'angolo appartato della Spagna, tra i Pirenei di Roncisvalle e le onde lunghe del mar di Guascogna. Altrove, a due passi da casa nostra, nel Kosovo, in Albania, nelle frontiere recenti dei Balcani, si combatte ancora; ma quelle sono guerre «nuove», del tempo postmoderno che si è succeduto alla caduta del Muro e all'implosione comunista. Del tempo vecchio, e dei suoi nazionalismi romantici anche quando feroci e assassini, erano sopravvissuti soltanto l'Ulster e l'irredentismo basco. Messo a posto il primo con l'accordo di Stormont un paio di mesi fa, ora si passa a fare i conti con Madrid, anzi con Bilbao, San Sebastiàn, Ondàrroa, Ermua, nomi e città che da quasi quarant'anni disegnano la geografia del terrore. Qui domani si vota, e il cielo luccica di sole e di luce che non sembra nemmeno di stare nel Paese Basco, dove sempre un'insopportabile pioggia si sente invece obbligata ad accompagnare tutti i santi giorni del calendario. Forse perfino Domineddio (che, pure, in giro ne ha di problemi da guardare) dev'essere stato coinvolto dalla «tregua indefinita» dichiarata un mese fa dagli sparatori dell'Età; e ora queste terre bellissime e tristi pare addirittura che siano costrette a sorridere di speranza. Sorride comunque anche Begonya, la ragazza che serve ai tavoli della Taberna Egtin, antro di leccornie iberiche a pochi passi dal vecchio albero (la «Quercia di Gernika») che per i baschi identifica le radici della loro storia sovrana. Begonya ci parla prima in euskera - la lingua del baschi - ma poi, vista l'ottusa reazione del cliente che non ha capito una sola di queste parole gutturali e aspirate, passa senza sorpresa allo spagnolo, e lo fa con un sorriso. Il terrorismo dell'Età predicava una «patria basca», con l'orgoglio della propria lingua e il fanatismo di una frontiera invalicabile da quella che ancora chiama «la dittatura spagnola»; Begonya, con la naturalezza del suo bilinguismo, racconta invece la linea di frattura che la realtà ha tracciato tra il manifesto ideologico degli «etarra» e la quotidianità della vita di questa terra in terra di Spagna. «Qué toma, senor?». Una birra, grazie. Sorride anche Kepa Aulestia, che ascolta più tardi la storia di Bego nya. Aulestia fu, anche lui, uno dell'Età, e fini in carcere quando ancora non aveva vent'anni e Franco era il Caudillo che predicava la Spagna «una, grande, eterna». Ora il Caudillo riposa per sempre sotto una tonnellata di marmo bianco e Aulestia fa il professore e lo scrittore, dopo aver lasciato per strada l'Età; e dei suoi vecchi compagni d'un tempo il professore di Bilbao dice duramente: «Hanno voluto creare una società nella società, hanno generato un delirio collettivo che pretendeva di tramutare in realtà la fantasia». Questa «fantasia» era quella di voler credere che perfino la Spagna democratica e costituzionale succe- duta al franchismo fosse una dittatura; e la presunta dittatura giustificava ogni attentato, perché questo era «legittima autodifesa contro l'oppressore». Ucciderne uno per educarne cento. Nei quarant'anni che l'Età ha vissuto (e sparato), i morti sono stati quasi 800. Una follia disperata. Ma ancora più folle è che,.di questi 800 morti senza colpa, poliziotti, giudici, avvocati, uomini politici, la maggior parte siano stati ammazzati durante gli anni della democrazia, non al tempo di Franco. A quel tempo l'Età costruì la propria immagine con il gran botto che portò in cielo la vettura dell'ammiraglio Carrero Bianco (e l'ammiraglio dentro); quel fragoroso mattino di 25 anni fa mise in crisi la successione del regime, e suggellò le ragioni di una lotta che era - contemporaneamente - nazionalista e antifascista. Franco pianse, l'Europa che scopriva la durezza intransigente degli «etarra» appoggiò la loro ribellione democratica. Fu un «etarra» anche Mario Onaindia, leader storico, imputato (e scampato) nel celebre processo di Burgos, quando tutto il mondo, Papa compreso, si mosse a fermare la mano del «verdugo». Anche Onaindia lasciò poi l'Età, e passò nel nazionalismo democratico della nuova Spagna, deluso pure lui, fortemente critico verso il fanatismo cieco dei vecchi compagni di strada. Ne parla con fatica ora, perché è appena venuto fuori da un durissimo infarto e non dà interviste (fa un'eccezione con il reporter italiano, per la vecchia amicizia); è affaticato ma severo: «Questa Età era ormai prigioniera della logica della violenza. Prima aveva lanciato la lotta contro i simboli dello Stato - il guardia civil, il giudice, il generale dell'esercito. Ora, capito che la società basca non accettava più questa violenza in un contesto forse non perfetto ma comunque democratico, era passata a terrorizzare i simboli di questa stessa società: il sindacalista, il giornalista, il consigliere comunale. Era però una spirale senza uscita, e se n'è resa conto». Ieri, per le strade di Guernica, strade tutte nuove dopo la distruzione della guerra che Picasso immortalò nel celebre dipinto di tori cavalli e urla contro il cielo, i ragazzi distribuivano i foglietti dell'ultimo giorno di propaganda elettorale. C'erano rappresentati tutti, quasi gomito contro gomito, i partiti «spagnolisti» (il Pp di Aznar e il Psoe di Borrell) e quelli «nazionalisti» (i moderati dei Pnv ma anche il partito politico dell'Età, che ha la sigla Eh). La musica andava, i ragazzi sorridevano gentili, e c'era un'aria tranquilla, lieve, da paesone in festa. Il reporter che ha seguito tutte le elezioni basche, fin dai primi anni della nuova democrazia, non ricordava un'atmosfera come questa. Ha chiesto al giovanotto dell'Eh se la «tregua indefinita» sia davvero indefinita, se questo voto chiuda davvero per sempre quella che Aulestia chiama «la cronaca del delirio». 11 ragazzo ci ha pensato un poco, poi ha scosso le spalle sorridendo. L'addio alle armi non è mai facile, neanche quando il sole brilla e Gernika non ha ormai tori e cavalli spezzati e urla contro il cielo. Mimmo Candito L'ex leader Onaindia scampato al patibolo di Franco: i miei vecchi compagni erano ormai prigionieri di una logica folle L'identità locale è forte ma non totalizzante: a Guernica l g i camerieri si rivolgono ai clienti in «euskera» ma sono pronti a passare allo spagnolo Quarant'anni di sangue e 800 morti sembrano un passato dimenticato l g Ermua (Paesi baschi) Un sostenitore del partito nazionalista moderato «Pnv» incolla manifesti in vista delle elezioni di domani per il rinnovo del parlamento regionale

Persone citate: Aznar, Bego, Carrero Bianco, Kepa Aulestia, Mario Onaindia, Mimmo Candito, Picasso, Roncisvalle, Taberna