Montanelli: alla collega io avrei dato un premio di Cesare MartinettiGiampaolo Pansa

Montanelli: alla collega io avrei dato un premio DIBATTITO MAGISTRATURA E MASS MEDIA Montanelli: alla collega io avrei dato un premio D ALLA barella del pronto soccorso il capofficina gambizzato dalle BR stava raccontandomi la faccia, le parole, i gesti dell'uomo che gli aveva appena sparato, quando ebbe un dubbio e mi chiese: «Ma lei è un carabiniere o un poliziotto?» Carabiniere, risposi d'istinto. Se avessi detto che ero un giornalista, mi avrebbero cacciato. E lui continuò a raccontare prima di sparire dietro una nuvola di medici e di infermieri. «Le mando il capitano», gli dissi. «Auguri». Grazie. Ho finto, quella volta. Un'altra mi sono spacciato per segretario dell'onorevole... per entrare nel repartino detenuti delle Molinette, guardare in faccia e raccogliere le parole di Giuliano Naria, stremato da quasi dieci anni di carcerazione preventiva, accusato di terrorismo e poi assolto da tutto. Un'altra volta ho finto di essere avvocato per avvicinare il brigatista Francesco Piccioni e scavalcare la barriera di agenti che lo teneva «isolato» nell'aula bunker di Rebibbia. Piccioni mi raccontò del progetto appena scoperto di una clamorosa evasione del nucleo storico delle Br dal penitenziario attraverso le fogne. Sì, sono colpevole, come tanti colleghi cronisti che almeno una volta nella vita hanno dovuto dire una bugia per vincere la corsa con i giornali concorrenti. Ma in definitiva per saperne di più su un certo fatto, per poter raccontare ai lettori il massimo delle notizie possibili, per svelare i retroscena di un avvenimento. Discutibile? Certo. E' la zona grigia in cui si trova il cronista solo - quando vuole arrivare là dove non si può arrivare coi timbri deU'ufficialità. Si violano delle regole sapendo di farlo. E si sa che si può finire nei guai. Lo sapeva anche la cronista de La Stampa Emanuela Minucci. Ma il gip che l'ha sospesa per due mesi dal lavoro ha emesso una sentenza prima ancora di discutere i fatti. Sarebbe stato possibile vent'anni fa? Senza mitizzare la cronaca e i suoi attori, tra lo scandalo del Watergate e lo schianto nel tunnel pari- gino dell'Alma, è trascorsa un'epoca. I giornalisti, da «eroi» che portano alle dimissioni un presidente degli Usa, sono diventati nell'opinione pubblica i carnefici della principessa Diana. «Non c'è dubbio - dice Giorgio Bocca, inviato di Repubblica e 50 anni di grande giornalismo - c'è un attacco corale alla libertà di stampa, i giornalisti cominciano a dar noia a questa società». E i magistrati? «Fanno delle cose incredibili. A me il giudice Priore di Roma ha chiesto 500 milioni di danni perché ho scritto che sul caso Moro insegue misteri inesistenti. Sì, c'è un ritorno dell'autoritarismo». Giampaolo Pansa, vicedirettore de L'Espresso e una vita da inviato nei quotidiani, definisce la decisione del gip di Torino «un'enormità»: «Mi piacerebbe incontrare questo magistrato e spiegargli cos'è il nostro mestiere e ricordargli che in questi anni i giornalisti hanno difeso i magistrati quando tanti facevano finta di non capire...». Ma tu hai mai fìnto di essere un poliziotto per una notizia? «Io mi sono finto poliziotto, carabiniere e quando sono stato più vecchio, professore di liceo. Se i fini non sono torbidi, perché no? Sarebbe meglio che questi giudici cercassero i giornalisti che prendono le buste, non quelli che cercano notizie». Ezio Mauro, direttore de La Repubblica e una lunga «gavetta» di cronista alle spalle, definisce «affrettata» la decisione del gip di Torino: «Quando si fa cronaca, si lavora sul filo. Il punto è: le notizie e quindi l'informazione rientrano nel campo dell'interesse generale ed hanno dimensione civile, o si vuol prendere un'altra strada?». Vuol dire che è in corso un attacco alla libertà di stampa? «C'è un mood che parte dalla politica e arriva ai magistrati. Perché non intervengono con altrettanta durezza contro i loro colleghi che violano il segreto istruttorio?». Tutti d'accordo? No. Gaetano Afeltra, ex direttore de ti Giorno, dice che «il falso è stato commesso ed è riprovevole. Da direttore mi sono sempre allarmato ogni volta che il capocronista mi dice va di una notizia: "Ce l'abbiamo solo noi". E perché? C'è sotto un illecito? No, le notizie non si devono prendere con illeciti». Anche Paolo Murialdi, storico del giornalismo ed ex presidente del sindacato, dice: «Non si deve bara re». Ma poi aggiunge: «Però si condanna solo dopo un'inchie sta». Non prima come ha fatto il gip di Torino. Indro Montanelli, il decano del giornalismo italiano, invece non ha dubbi: «Io a quella cronista darei un premio». E a quel magistrato? «I giudici sono impazziti, si oc cupano di cose che non li riguar dano. Tutti i cronisti si sono finti qualcun altro per ottenere notizie. Ha commesso un delitto? No, voleva solo saperne di più. Non avrei mai pensato che un giudice potesse arrivare a tanto». Cesare Martinetti Bocca: attaccano la libertà di stampa Afeltra: no, il falso è da condannare A sinistra Indro Montanelli A destra Giampaolo Pansa

Luoghi citati: Roma, Torino, Usa