«La vera sfida è il lavoro»

«La vera sfida è il lavoro» «Mi sembra che il neo premier abbia un progetto chiaro per portare la Repubblica verso nuove regole» «La vera sfida è il lavoro» Tronchetti: giudichiamo D'Alema dai fatti INTERVISTA IL PRESIDENTE DELLA I AMILANO PPREZZAMENTO non solo per la prudenza e l'autocontrollo sfoggiati dal primo postcomunista al suo esordio da presidente del Consiglio. Osserva Marco Tronchetti Provera: «Mi sembra che D'Alema sia ben conscio che diventare capo di governo non vuol dire avere una opportunità personale ma una grande responsabilità collettiva. Mostra di avere un progetto chiaro: portare a compimento la lunga transizione della Repubblica verso nuove regole. E, del resto, la presenza di Amato è il segnale positivo di come il governo giudichi prioritari i problemi istituzionali». Quanto alla «rivincita della politica» il presidente della Pirelli, che da giovane militava nel partito liberale di Malagodi e l'ultimo viaggio a Mosca l'ha fatto per assistere alla partita Spartak-Inter, sembra tutt'altro che turbato: «Abbiamo vissuto periodi in cui il vuoto lasciato dalla politica è stato riempito da altri. I sindacati prima, la magistratura poi, hanno finito per svolgere un ruolo di supplenza. Se rivendicare la centralità della politica significa non confondere più i ruoli e non delegare ad altri le proprie responsabilità, ben venga. La politica faccia politica, le parti sociali svolgano il loro ruolo per costruire, tutti insieme, una società delle opportunità». Lei è stato il primo, un anno fa, a candidare premier D'Alema e ora che D'Alema è a Palazzo Chigi insiste nel dargli fiducia. Qual è il segreto di questo «feeling» tra un figlio dell'apparato comunista e un figlio della borghesia liberale lombarda? «Non si tratta di simpatia o di rapporti personali. Restiamo ai fatti. Si elice che ogni pregiudiziale ideologica è venuta meno: è vero, ma non certo da oggi semmai dalla caduta del muro di Berlino. Quanto alla storia di D'Alema premier, una volta per tutte, io non ho lanciato nessuna candidatura. Ho solo posto un problema di regole in un momento di particolare tensione tra Rifondazione e gli altri partiti del governo Prodi. Mi sembrava, in sostanza, che si dovesse esporre in prima persona chi era portatore del maggior peso all'interno della compagine. Nulla quindi di personale. Il problema era garantire - in un sistema che tende a essere bipolare - stabilità e solidità all'azione di governo». E ora? «Ora più che un'astratta fiducia, di fronte a questo ulteriore passaggio, c'è attesa. Vedremo cosa farà questo governo e lo giudicheremo dai fatti. Mi auguro che con l'impegno diretto di D'Alema si apra una fase costituente vera, in un clima di partecipazione costruttiva anche dell'opposizione, per passare alla Seconda Repubblica verso la normalizzazione del Paese». Non vuole personalizzare. Ma si è scritto molto del vostro pruno incontro nella casa romana di Maria Angiolillo... «...una semplice colazione. Niente di particolare. L'impressione che ho avuto di D'Alema? Quella di un uomo che parlava con chiarezza, in modo pragmatico. Poi, solo qualche altro incontro casuale. Ricordo il convegno di "Liberal" prima della Bicamerale. Per ovvie ragioni di lavoro ho avuto molti più contatti con Cofferati, interlocutore serio e affidabile. La verità è che non ho nessuna conoscenza approfondita né con D'Alema né con altri politici italiani. Chi dirige una multinazionale ha l'obbligo e l'opportunità di avere contatti con diverse culture e diverse situazioni istituzionali e politiche nei diversi Paesi di attività. E questo nei fatti consente di valutare anche la realtà di casa nostra in modo diverso». In che senso? «Mi auguro che come già avvie- ne in altri Paesi anche in Italia si possa giudicare la politica dai risultati. E D'Alema ha un compito non facile. Se i governi precedenti hanno risanato la struttura del bilancio pubblico ades- so bisogna compiere una salto in avanti: puntare allo sviluppo, far crescere il Paese nonostante un quadro macroeconomico non positivo». Certo deve essere stata una colazione allegra quella tra lei e D'Alema. Chissà che risate! Almeno avete parlato di vela? Del suo Ikarus? O magari dei piatti di Vissani, il suo cuoco preferito? «Vissani è una passione che condivide non con me ma con Carlo Caracciolo. L'Ikarus? Mai visto...». Azzardo: qualche rimprovero da un interista a un romanista. «No. E comunque siamo sportivi. La fede calcistica non ha nulla a che vedere con la qualità delle persone». Tentiamo con i ricordi. Per un giovane borghese della sua generazione cosa ha rappresentato il comunismo? «Un mondo estraneo alla mia cultura. La nomenclatura, la lotta di classe... Ricordi? Pochi. Nel '56, all'epoca dei fatti d'Ungheria e poi della crisi di Cuba ero ancora un bambino. Nel '68 ero in Bocconi e per alcuni anni ho fatto politica nel partito liberale. A quei tempi guardavo al Pei come a un partito in movimento che aveva certo forti radici marxiste ma era parte della società italiana. Tendeva ad aprirsi e a prendere le distanze dall'Internazionale comunista. Per noi liberali era impossibile ogni incontro con gli estremisti mentre ricordo che se alcuni comunisti avevano come una barriera altri accettavano il dialogo». Fatti e non pregiudizi. A caldo lei ha giudicato il governo D'Alema una coalizione eterogenea ma qualitativamente buona anche per la conferma di ministri come Ciampi. Letizia Moratti ha allora sbagliato a rifiutare un incarico? «Questa offerta è un importante riconoscimento alle sue qualità, da amico credo però che abbia fatto bene a dire di no vista la pesante responsabilità che ha di gestire un'impresa». Come dire: ciascuno faccia la sua parte, nessuna confusione di ruolo. Ma allora caduti ideologie e pregiudizi cosa si aspetta l'imprenditore Tronchetti dal primo presidente postcomunista? «La prima emergenza in tutta l'Europa continentale è la creazione di nuovi posti di lavoro. Per riuscirci occorre una modernizzazione dell'approccio della politica all'economia. In sostanza, uscire dalla difesa quasi corporativa delle categorie per passare ad una flessibilità governata da regole chiare e trasparenti. E la flessibilità vale sia per il mondo del lavoro che per il mercato dove si deve creare più concorrenza attraverso liberalizzazioni e privatizzazioni. Tutto ciò significa creare una società delle opportunità e non più conservare la società delle protezioni...». Ma questo è un programma liberale. Dimentica i comunisti di Cossutta... «No. Ricordo quelli di Bertinotti. La globalizzazione vede i suoi nemici nelle formazioni politiche sia all'estrema sinistra che all'estrema destra che propongono ricette protezionistiche e portano avanti una demagogica difesa di categorie già protette perché occupate. Sono politici rivolti al passato con visioni corporativistiche a difesa del loro potere costituito». Quale modello consiglia a D'Alema? «Non sta a me dare consigli. La classe politica, non solo in Italia, non sembra aver capito quali sono le sfide e quali le opportunità della globalizzazione dei mercati. Il riferimento deve essere il mondo anglosassone all'avanguardia in termini di liberalizzazione dei mercati, di flessibilità, di chiarezza delle regole». Chiara Beria di Argentine ti Abbiamo vissuto periodi in cui il vuoto lasciato dalla politica è stato riempito da altri Ora speriamo che non si confondano più i ruoli Ojij 66 Non ho lanciato io la candidatura del segretario Ds Ho detto che spettava al leader di maggioranza farsi carico di gestire la crisi «I governi precedenti hanno risanato il bilancio pubblico Ora si deve puntare allo sviluppo, far crescere il Paese» 66 Con lui ho avuto solo incontri casuali ma ho avuto l'impressione di un uomo che parla con chiarezza e in modo pragmatico Bpij «La globalizzazione vede i suoi nemici sia all'estrema sinistra sia all'estrema destra cioè in chi sostiene il protezionismo» I presidente della Pirelli Marco Tronchetti Provera

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