Torna il fantasma delle Br e il Parlamento s'incendia di Paolo Guzzanti

Torna il fantasma delle Br e il Parlamento s'incendia Torna il fantasma delle Br e il Parlamento s'incendia CAMERA CON RISSA GIORNATA dura, forte, parlamentare. Peccato che il presidente Violante sentisse disagio per quella tensione, per quelle intemperanze. Il Parlamento è per definizione e grazia della democrazia la culla dello scontro e dell'invettiva, degli animi accesi e delle parole roventi. E del voto, della fiducia, della sfiducia e dei traumi. E così è stato. Il governo del candidato D'Alema passa gli esami, ma in un clima pirotecnico. Un'immagine su tutte ci ha fulminato: l'espressione imbarazzata, quasi nauseata, da «per favore piantala e mettiti a sedere» che il premier aveva dipinta sulla faccia alla fine dell'intervento di Fabio Mussi, che concludeva con una mozione degli affetti confusa, fuori luogo e dai pessimi effetti. Poco prima, l'intervento di Berlusconi, partito sottotono all'inglese, si era concluso con una violenza oratoria imprevista e traumatica, un galoppo ritmato e crudele, una chiusura politica al governo quasi (quasi) totale. Il momento feroce è stato quel rinfaccio delle Brigate Rosse: Tu, premier di origine comunista vieni a citare il martire della democrazia Aldo Moro? E io ti grido in faccia che i terroristi che l'uccisero vengono fuori dal tuo stesso album di famiglia. Urla, insulti, rumore, scandalo, svenimenti politici. D'Alema ancora ieri aveva fatto un discorso calmo e ordinato, la cartellina dei fogli meticolosamente vergati, perfetta stiratura del vestito e capelli in ordine. Anche la voce era tornata quella di sempre, affrancata dall'arrochimento delle baruffe notturne sul manuale Cencelli, con uova di serpente a sorpresa. Era il D'Alema, direbbe lui, responsabile, disponibile, aperto anzi spalancato alle riforme, il D'Alema che racconta per l'ennesima volta (quando è stata la prima?) quanto gli sia dispiaciuto arrivarci così, ma anche che è contentissimo che sia andata così, perché il centro-sinistra ha vinto e non ha perso, eccetera. Cossutta ha pronunciato un'orazione sul tema «Sto con voi ma non mi faccio schiacciare», con il consueto rabbuffo a Bertinotti: lo vedi Cossiga? Hai visto che rospo ci tocca mandare giù? Tutta colpa tua, brutto cattivo che non sei altro. XI compagno di scuola Bertinotti, stufo di farsi tirare il cancellino da tutta la scolaresca si alza e dice che va bene, non è pentito, neanche un po', ma che d'ora in poi farà il bravo. Anche lui dannatamente responsabile. Opposizione responsabile, voto contro responsabile. Intanto si sparge la voce che nell'Udr non tutto fila liscio: le nomine hanno provocato essudi di coscienza, c'è un sacco di gente incavolata con Cossiga per le scelte e le esclusioni. Tre defezioni, forse di più. Marini è responsabilissimo, i dimani sono la punta di diamante del responsabilismo, e il presidente misurato, pacato, un pezzo su misura normale per Paesi Normali, si stiracchia annoiato, annuendo quando la necessità lo impone. In fondo tutto va bene, c'è anche Cornino che dice che la Lega fa la voce grossa sì, ma che ha un senso di responsabilità grande così, e che è attenta, attentissima al nuovo, allo sviluppo, alle riforme e a ogni eventuale e possibile bla bla bla, su cui tutti promettono di riflettere come specchi, in buona coscienza. Ma ieri, l'abbiamo detto all'inizio, abbiamo visto finalmente ciò che più ci piace della Democrazia con la maiuscola: la Divisione, il Conflitto, lo Scontro, la Conta, il contrario del papocchio o, come ormai orribilmente si dice, dell'inciucio. E si è visto che la tempesta arrivava non tanto dall'intervento di Casini, non pessimo, anzi godibile, e tuttavia da soccer, non da rugby. La tempesta si è annunciata con Fini ed è scoppiata con Berlusconi, innescando un processo adrenalinico che ha fatto impazzire la Camera rendendola reattiva, scomposta, saettante, elettrica di antipatie, intransigenze, contrattacchi. E su questo spettacolo vitalissimo, coraggioso su entrambi i fronti, sanguigno e comunque morale, Violante interveniva nella presunzione che «gli italiani», questa specie in via di assopimento, si vergognassero per quel che vedevano. E invece gli italiani vedevano uno scontro fra due concezioni della democrazia, fra due fronti, e facevano il pieno di informazioni, valutazioni, distribuivano liberamente simpatie e antipatie a destra e sinistra come meglio gli pareva, essendo l'Italia - per sua fortuna - il Paese do- ve comunque la politica è considerata uno sport come il campionato di calcio, e la tv permette persino l'effetto moviola: indietro e avanti, stop e ancora indietro. Così vedi chi se ne fregano, gli offesi e chi finge di offendere. E vedi a sazietà questo pasto dionisiaco di fine 1998, che è il corpo, l'espressione, il capello, la voce, i tic del povero D'Alema sottoposto a una giusta e implacabile inquisizione. Chi ha registrato la cassetta si rivada a vedere che faccia fa alla fine del citato intervento del suo Mussi, e capirà. Di Mussi, parlando da critici tv, siamo costretti ad emettere un verdetto di insufficienza. Non per i concetti elencati, che, poveretti, non potevano che essere quelli. Ma per il modo. Mussi fa parte del gruppo detto, con poverissima fantasia, dei colonnelli, ovvero dei fedelissimi. E la parte del fedelissimo è una rogna, non la può fare chiunque, ci vuole stoffa, senso della misura, senso - più che altro - del ridicolo, o almeno di quella cosa che nella lingua politically correct viene chiamata (odiosamente) «autoironia». Ecco, quella cosa lì Mussi, che già eccede in un taglio di capelli e in una complessione fisica charcutière, non sa dove stia di casa. E come se non bastasse, con la sua berciata toscanante si sofferma a leticare con le comari di fronte, dicendo cose come zitto tu, guardati allo specchio, ci hai creduto naso di velluto, ora lo dico alla tu' mamma, senti chi parla e simili. Tutto questo fa vomitare D'Alema, che la Toscana l'ha pur sempre vista dalla Normale di Pisa. E ieri, va detto (è il su' bello) D'Alema ha vomitato spesso. Quel suo vomitare che spesso viene scambiato per arroganza (di cui non è che sia avaro, per carità), e che molto spesso è pudore. Perché D'Alema è probabilmente un uomo d'onore, ma certamente un uomo di pudore, con cliché difensivi con apparato missilistico eccetera. Insomma, quando ieri Mussi non ha saputo mantenere il tono, la tensione, la ritorsione, la luciferina potenza di Berlusconi, il premier provava fitte di colica mascherale con tentativi di sorriso che sembravano ghigni e che invece contenevano l'implorazione a piantarla, a darci un taglio. E sì che, prima di far riprendere il torneo, giunto alla toreata finale, Violante aveva concesso cinque minuti di rifiato per l'oratore, rifilandoli per sdegnato rifiuto del disordine, del vociare. Ecco, forse solo adesso, ricordando, la situazione ci appare più chiara: Violante, vedendo Mussi annaspare ha fermato il match, come si fa quando un puglile sanguina al sopracciglio. Ma è stato l'unico momento in cui la pietà abbia preso il sopravvento sullo scontro fra duri. Uno spettacolo. 11 Parlamento ieri ha dato spettacolo di sé, vociante e impertinente, tracotante e duellante, viva il Parlamento. Paolo Guzzanti

Luoghi citati: Italia, Pisa, Toscana