Sì a D'Alema. Il Polo: riforme a rischio

Sì a D'Alema. Il Polo: riforme a rischio Il premier ha ottenuto una larga fiducia (333 voti a favore, 281 contrari): Sì a D'Alema. Il Polo: riforme a rischio II voto alla Camera chiude una giornata di veleni ROMA. Alla fine di una giornata di intemperanze dibattimentali, di insulti incrociati, alla fine di un intero vocabolario riscritto a t'orza di sinonimi della parola «traditore», un vocabolario che è stata la colonna sonora del dibattito parlamentare col quale, infine, il governo D'Alema è uscito dal Parlamento forte di 333 voti a favore, 281 contrari, 3 astenuti, Berlusconi in corridoio ha intonato, ad esclusivo uso e consumo dei giornalisti, «Bandiera rossa». E' stata la giornata delle intemperanze, dentro e fuori l'aula, prima e dopo il dibattito. Un prima e un dopo perché D'Alema è entrato avendo annunciato che quello delle riforme è un terreno d'elezione per il proprio dicastero, e Berlusconi ha invece ribadito la propria contrarietà. Dentro l'aula il dibattito è stato a dir poco agitato: Violante ha dovuto anche sospendere la seduta. Fuori, la delusione dei repubblicani di La Malfa, lo scontento di Boselli che rileva «la ferita con Botteghe Oscure resta aperta». Con Berlusconi che va incontro al compagno di bibliofilia Diliberto, nuovo Guardasigilli, «la giustizia è nelle sue mani, confidiamo in lei...». Il fuori, il Transatlantico, è soprattutto il luogo degli incontri e dei trapassi, la sede nella quale l'ex Udr Tabacci, depennato da Cossiga per indisciplina, s'incontra con Pierferdinando Casini, democristiano separato del Ccd, allo scopo di «fondare un'alternativa alla dicci». Perché poi, quel che resterà di questa giornata, oltre ad aver restituito al Paese mi governo, è il malessere dei deputati. Quelli dell'Udr, soprattutto: lo lasciano i deputati Carrara, Del Barone, Marinacci, Panetta, Alberti, e i senatori Parenti e Ronconi. Ma non solo: il vicepresidente dei parlamentari di Forza Italia, Giorgio Rebuffa, annuncia il proprio voto negativo al governo D'Alema, ma minaccia «è l'ultima volta che voto col mio partito». E poi, l'ulivista Antonio Di Pietro che lascia «libertà di coscienza» ai propri deputati, riservandosi di spiegare il perché lunedì in Senato, Nando Dalla Chiesa dei Verdi che si astiene, suscitando l'ironia di Francesco Cossiga, e Giuliano Pisapia, né cossuttiano, né bertinottiano, che nega anche lui il proprio voto... Nel mezzo della giornata, e dopo aver presieduto un primo consiglio dei ministri-lampo, D'Alema ha svolto la propria replica. Un discorso molto forte, l'Europa e il lavoro, ma soprattutto le riforme come priorità. Facciamole, ha detto il premier all'opposizione, e poi sarò d'accordo nell'andare alle elezioni. Dialogo aperto anche verso la Lega, che ieri è stata «gratificata» dalle dimissioni di Mastella come vicepresidente del Senato, cosa che apre la strada a Roberto Maroni. Alla Lega, D'Alema ha lanciato l'amo della legge elettorale, alla quale Bossi, che pure non era a Montecitorio, è disponibile. Ma il tentativo di rilanciare il dialogo, «questo governo nasce per fare le riforme elettorali ed istituzionali», anche perché «il futuro del Paese non è nelle mani di una parte sola», non è stato bene accolto. D'Alema parlava, e Berlusconi non ascoltava: semplicemente, non c'era. E quando poi ha preso la parola, ha risposto rilanciando la Costituente, e come seconda opzione perfino il sostegno al referendum per il maggioritario di Di Pietro e Segni. D'Alema aveva difeso i riferimenti alti del proprio precedente discorso, «questa maggioranza non è l'ultima riedizione del compromesso storico... non ho riportato le lancette indietro di vent'anni», e se mentre parlava è stato bersagliato da battute ad effetto dai banchi dell'opposizione, Berlusconi ha poi accusato: questo è «il governo del compromesso antistorico». E i rumori di fondo sono diventati tempesta quando ha detto che Moro «fu assassinato dalle Brigate rosse, i cui volti spuntavano dall'album di famiglia del comunismo italiano». Un vero e proprio strafalcione storico, poiché sul «fronte della fermezza» in prima linea era schierato proprio l'allora Pei. E infatti, a tarda sera, D'Alema si chiederà «ma quando Moro è stato assassinato, mentre noi lo difendevamo, Berlu- sconi dov'era? a far soldi...». E poi, minimizzando, ha detto che era prevedibile un simile intervento, da Berlusconi: «Non si può discutere di riforme, quando il giorno dopo si deve andare ad arringare una piazza». Dal Polo, se Casini ha accusato il premier di aver infranto le regole del «galateo bipolare», Fini è invece tornato sulle riforme: facciamo la legge elettorale, e poi andiamo al voto, ha detto. E poi, rivolto all'Udr, ha parlato di «partito virtuale, formato solo da una decina di transfughi». Ma già dai bandii del Polo erano volate ironie e contestazioni all'indirizzo del segretario cossighiano, Clemente Mastella, che ribadiva il proprio «sì» con convinzione. Per il resto, Udr a parte, il grande accusato, ma dai banchi della maggioranza, è stato ovviamente Fausto Bertinotti, colpevole per Cossutta, ma anche per Marini e Mussi, di aver affondato la maggioranza uscita dalle urne il 21 aprile. «Faremo opposizione critica» ha dichiarato il leader di Rifondazione. Antonella Rampino Cresce il malessere fra i «cossighiani» se ne vanno Carrara Marinacci, Panetta Del Barone, Alberti Parenti e Ronconi Di Pietro ha lasciato libertà di voto LA SQUADRA Di D'ALEMA A PALAZZO CHIGI Capo della segreteria: NICOLA LATORRE Segretaria particolare: ORNELLA MASSIMI Portavoce-Capo ufficio stampa: PASQUALE CASCELLA Consigliere politico: CLAUDIO VELARCI Consigliere economico: NICOLA ROSSI Consigliere per comunicazione c immagine: FABRIZIO R0NDOLIN0 Consigliere per le relazioni intemazionali: MARTA DASSU' Consigliere per il coordinamento: MASSIMO MICUCCI Il leader del Polo Silvio Berlusconi

Luoghi citati: Carrara, Europa, Roma