PAROLA TRADITA di Giorgio Calcagno
PAROLA TRADITA PAROLA TRADITA LA parola «gattopardo», nella lingua italiana, è attestata dal 1646: «Correntemente, felino dalle forme eleganti e simile al gatto domestico, ma di dimensioni molto maggiori», come scrive lo Zingarelli. Correntemente, forse, per gli zoologi. Nessuno, in Italia, la intende così. Per gli esperti di araldica è l'emblema di una illustre famiglia di Bisanzio, emigrata dal decimo secolo nelle Marche, dove ha dato origine ai Leopardi e successivamente in Sicilia, dove è rimasto il segno dei loro cugini Tornasi. Per gli italiani più acculturati «Il gattopardo» è, dal 1958, un romanzo, il solo che molti abbiano letto. Per tutti gli altri un film. La parola «gattopardesco» nasce nel 1963, ed è frutto di un tradimento, ai limiti della diffamazione. Ma circola assai più dello stesso gattopardo da cui si è subdolamente generata. Il Gattopardo è vittima del gattopardismo, come Boccaccio del boccaccesco, Machiavelli del machiavellico e il povero Monsieur de Lapalisse, morto eroicamente a cavallo nella battaglia di Pavia, del lapalissiano. «Gattopardesco», sempre secondo lo Zingarelli, è «tipico di una politica secondo la quale i rinnovamenti concessi non toccano la sostanza delle cose, ove tutto deve rimanere come è sempre stato». E quando mai il gattopardo aveva significato questo? L'animale dalle unghie retrattili può essersi fatto - come tutti i felini - la fama del traditore, non dell'ipocrita. E il principe di Salina, nel suo scetticismo esistenziale, è pronto ad accettare la condanna della storia, non a truccare le carte per fermarla. Ma c'era un brutto vizio, nella tradizione italiana, che aveva un brutto nome. Si chiamava, con parola tratta nel 1882 da un discorso di Depretis, «trasformismo». Parola triste, povera e, dopo 80 anni, odorosa di muffa. Nel romanzo di Tornasi c'era una frase, pronunciata, in polemica col Gattopardo, dal nipote Tancredi: «Se bisogna che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi». Frase geniale, su un gioco retorico folgorante, nella quale l'italiano moderno trovò il suo slogan: aristocratico, come l'animale a cui falsamente si ispirava; splendido come l'immagine dello scrittore; cinico come il costume politico che da allora avrebbe identificato. Giorgio Calcagno
Persone citate: Depretis, Lapalisse, Machiavelli, Salina, Tornasi
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