CULTURA E POLITICHE, LA SVOLTA DI TORINO di Alberto Papuzzi
CULTURA E POLITICHE, LA SVOLTA DI TORINO CULTURA E POLITICHE, LA SVOLTA DI TORINO Una ricognizione dell'Istituto Gramsci sulle «nuove leadership» della città VENERDÌ' 23 ottobre, alle ore 21, alla Galleria d'Arte Moderna di corso Galileo Ferrari 30, prende il via un ciclo di incontri promosso dalla Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci, su «Produrre Cultura e Politiche a Torino». Il primo appuntamento è con «La cultura giuridica: un'idea di giustizia» cui partecipano Gustavo Zagrebelsky, Giancarlo Caselli, Carlo Federico Grosso, Giorgio Lombardi, Guido Neppi Modona e Mario Dogliani. Martedì 10 novembre «La cultura del progetto» con Carlo Olmo, Rodolfo Zich, Mario Rasetti, Angelo Meo, Lorenzo Silengo. Giovedì 17 dicembre è la volta de «La cultura dell'arte e le politiche die beni culturali» con Luigi Bobbio, Enrico Castelnuovo, Germano Celant, Fabrizio Giugiaro. Venerdì 15 gennaio «La cultura economica: tra mercato, società e istituzioni» con Domenico Siniscalco, Franco Bernabé, Terenzio Cozzi, Franco Reviglio, Mario Deaglio. Martedì 9 febbraio «La cultura della comunicazione». Ne parlano Ezio Mauro, Alberto Papuzzi, Marco testa, Mario Ricciardi. Martedì 9 marzo «Cultura e politica nella democrazia di fine secolo» con Sergio Scamuzzi, Angelo D'Orsi, Nicola Tranfaglia, Francesco Traniello, Gian Enrico Rusconi, Michelangelo Bovero, Piero Gastaldo e Arnaldo Bagnasco. Info: 011/839.54.02. NEL 1918 sull'((Avanti!», Antonio Gramsci così scriveva: «Torino rappresenta l'organizzabilità dell'Italia, secondo la volontà cosciente degli italiani». Il giovane Gramsci, dirigente della sezione socialista torinese, stava per incontrare Piero Gobetti e lavorava al progetto di «Ordine nuovo». Nella sua immagine si specchiava la convinzione che la nostra città potesse svolgere una funzione speciale nella società italiana, come grande città industriale di tipo europeo, nella quale si contrapponevano i nuclei forti d'una moderna borghesia e d'un moderno proletariato. Un'identità rimasta nel Dna di Torino fino a tutti gli Anni Sessanta, facendone il laboratorio - per usare la nota metafora del sociologo Arnaldo Bagnasco - del conflitto sociale fra capitale e lavoro, e venuta meno con le crisi economiche degli Anni Settanta e la marcia dei quarantamila. Che cosa sopravvive, ai nostri giorni, dell'identità di Torino come grande area industriale e quali nuovi fenomeni la caratterizzano alla fine del secolo? Cosa devono aspettarsi e di quali risorse dispongono gli uomini e le donne che qui vivono, soprattutto quelli delle nuove generazioni? L'Istituto Gramsci festeggia i venticinque armi di attività con una vasta ricerca, «Produrre cultura e politiche a Torino», coordinata dagli studiosi Walter Santagata e Sergio Scarnuzzi, che ha per oggetto tali interrogativi. Organizzata in un ciclo di sei conferenze, presso la Galleria d'Arte moderna, da domani sera agli inizi di marzo, si presenta come una ricognizione sui campi in cui Torino ha raggiunto in Italia punte d'eccellenza. Si tratta, molto probabilmente, del programma più impegnativo messo in piedi dall'istituto piemontese nel corso della sua attività. L'idea di base di Santagata e Scamuzzi è che la nostra città, senza perdere aspetti tipici della società industriale, abbia tuttavia attraversato un profondo cambiamento strutturale, visibile nella sua capacità di produrre nuove culture, rispetto a quelle, una volta dominanti, della managerialità capitalistica e delle politiche sindacali. A ognuno di questi nuovi campi, in cui Torino esercita una leadership, sono dedicate le sei serate dell'Istituto Gramsci, caratterizzate dalla partecipazione di autorevoli protagonisti della vita pubblica, studiosi o professionisti. La conferenza inaugurale è riservata alla scuola giuridica torinese, che ha contribuito a fondare «un'idea di giustizia» (Caselli, Dogliani, Grosso, Lombar- di, Neppi Modona, Violante, Zagrebelsky). Nelle serate successive entreranno in scena la cultura progettuale degli ingegneri (meccatronica, telecomunicazioni, bioingegneria) e quella dei beni culturali (con un capitolo sull'Arte Povera), la cultura dell'impresa e quella della comunicazione, infine la cultura della politica, con continuità e discontinuità storiche, che ci riportano alle questioni della città gramsciana. Alberto Papuzzi
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