MAGICO SUONO DEL CANNONE di Sandro Cappelletto
MAGICO SUONO DEL CANNONE MAGICO SUONO DEL CANNONE RICCIO, pirolo, cavigliere, capotasto, tastiera, manico, piano armonico, ansa, effe, ponticello, cordiera, staffa, tassello, tassello superiore, tassello inferiore, fascia, controfascia, catena, anima, bottone, fondo. Nient'altro, a parte il legno e la vernice, serve per costruire un violino. Decine di migliaia di violini, dalle fabbriche di Seul ai laboratori di Cremona, dove continuano a tagliarli, sagomarli, testarli da centinaia d'anni. Prima di abbandonarli alla vita vera, perché se non suona, fosse pure il più bel violino del mondo, non è che un morto splendido pezzo di legno. Un embrione da fecondare. Nella tesoreria generale di Casa Savoia - in data 17 dicembre 1523 e naturalmente in francese - giace un certificato di battesimo, il primo documento che attesti un pagamento per «trompettes et vyollons de Verceil». E' quella la culla, oppure Brescia, dove nel 1540 nasce Gasparo da Salò, o ancora Cremona, patria, nel 1505, di Andrea Amati? O la Venezia di Francesco Vinarol, la Milano di Testator, ancora la Brescia di Giacomo della Corna e Zanetto da Montichiari? Vengono poi le dinastie dei Gagliano, Albani, Bergonzi, Grancmo, Rogeri, Guadagnini, mentre alla bottega dei due più grandi maestri, Antonio Stradivari e Nicola Amati studiano garzoni che diffonde¬ ranno i «legni» lombardi ovunque. Diventano troppi i violini: il solo Stradivari, tra finiti, incompiuti e falsi fabbricati dai figli, ne costruisce oltre mille. Per distinguerli, bisogna dar loro un nome, come si usa con le persone. Senza nome proprio, un violino è orfano. Il suo «Cannone» Bartolomeo Giuseppe Guarneri lo crea nel 1742. Ha 44 anni, lo dicono «del Gesù» per quella sigla piuttosto nota - IHS - che sempre incide accanto alla sua firma, sormontandola poi con una croce greca. Un modo sicuro per distinguersi dal padre Giuseppe e dal nonno Andrea, anch'essi liutai; per espiare, forse, un omicidio dedicando all'Eterno gli strumenti costruiti in carcere, i suoi ex-voto. A Paganini lo regala un mecenate melomane di Parma nel 1796, stupefatto di ascoltare quel ragazzo di quattordici anni interpretare a prima vista un concerto. O il dono avvenne a Livorno, qualche anno dopo, sempre come premio per le prodezze strabilianti di quel ragazzo figliò di un «ligaballe», un imballatore del porto, e di una schietta popolana genovese? «Cannone» lo chiama Niccolò, per il suono potente, la voce ampia e scura, da baritono certo più che da soprano, penetrante, lunga nell'onda degli armonici che la sua mano mille volte ritratta (quel mignolo come disarticolato, molle) propaga nel- l'aria. Lo amò e tenne sempre, fino a farne dono, per volontà testamentaria, al Comune di Genova che lo custodisce a Palazzo Doria-Tursi. Saranno anche attenti a spendere, i genovesi, ma certo si sono rivelati più generosi dei responsabili dell'Ashmolean Museum di Oxford: se il «Cannone» suona con una certa regolarità, e ogni anno come premio viene fatto «toccare» dai vincitori del Concorso Paganini, il «Messia» è muto, da sempre. E, come conviene ad un Messia, sempre lo si attende. Comprato e venduto, sfuggito alle dita di Paganini per avidità di un mercante pazzo, Luigi Tarisio, che in un'asta privata riuscì a sottrarlo al violinista. Poi lo sotterrò sotto una balla di fieno nella campagna dove vi¬ vevano le sorelle; morì in un sottotetto di Milano, lo trovarono già mezzo putrefatto, il suo sudario erano 200 tra Anati, Guadagni, Stradivari. Un mercante francese comprò, a niente, tutto, anche il Messia ritrovato tra la paglia e lo vendette agli inglesi Hill, che per difenderlo dalle bombe naziste su Londra lo portarono a Oxford. E lì lo rinchiusero in una teca di cristallo a prova di proiettile. Contro i ladri, ma anche contro la musica. Quale gara meravigliosa, un «del Gesù» contro il «Messia», Guarneri contro Stradivari. Ammesso che un «Messia» possa parlare ed essere compreso. A Salvatore Accardo non viene voglia di tentare? Sandro Cappelletto Salratore Accardo in concerto. A destra, la teca di Palazzo Tursi a Genova che custodisce il rio/ino
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