DEI PIACERI E DELLE PENE

DEI PIACERI E DELLE PENE Jeremy Bentham: esce dalla Utet la sua «Introduzione ai principi della morale e della legislazione», a cura di E. Lecaldano DEI PIACERI E DELLE PENE L'utilitarismo di Bentham INTRODUZIONE Al PRINCIPI DELLA MORALE E DELLA LEGISLAZIONE Jeremy Bentham a cura di E. Lecaldano Utet pp. 485, L 125.000 INTRODUZIONE Al PRINCIPI DELLA MORALE E DELLA LEGISLAZIONE Jeremy Bentham a cura di E. Lecaldano Utet pp. 485, L 125.000 EREMY Bentham visse tra il 1748 e il 1832; nato e morto a Londra, divenne avvocato ma non praticò mai la professione, preferendo invece influenzarla dall'esterno con l'azione politica e letteraria. Fra i suoi tanti meriti, va ricordato l'effetto che ebbe nell' eliminare la prigionia per debiti. L'Infroduzione ai principi della morale e della legislazione è il suo capolavoro: pubblicato originariamente nel 1789 e riveduto nel 1823, è un tentativo di sistematizzare le nozioni di reato e di pena sulla base di una visione generale della natura umana e della giustizia. A fondamento di questa visione c'è l'utilitarismo, cioè la filosofia morale inaugurata dallo stesso Bentham, sviluppata da autori come Mill, Sidgwick e Moore e ancor oggi dominante nel mondo anglosassone (ma non molto popolare in Italia). Secondo gli utilitaristi, la ricerca del piacere non solo guida ma è giusto che guidi la condotta umana. E' giusto che tale condotta, insomma, sia regolata dal Principio di Utilità: nelle parole di Bentham, da «quel principio che approva o disapprova qualunque azione a seconda della tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui mteresse è in questione». La parte in questione, in ambito legislativo, è la comunità: «Un corpo fittizio, composto dalle singole persone considerate come sue membra». Dunque il legislatore deve cercare in ogni caso di promuovere l'interesse (o la felicità, o il piacere, o il vantaggio; Bentham usa tutti questi termini come sinonimi) di tale corpo fittizio, ossia promuovere «la somma degli interessi dei vari membri che lo compongono». Alcune delle conseguenze che Bentham deriva dal suo principio sono molto ragionevoli. Per esempio, è chiaro per lui che «tutte le pene in se stesse sono mali» e dunque, «se la pena deve essere ammessa, deve esserlo solo in quanto promette di evitare un male maggiore». Il che implica da un lato un criterio di economicità (mia pena più dura di quanto sia strettamente necessario per realizzare il suo scopo è ingiusta) e dall'altro un invito a moderare la benevolenza: una riduzione della pena sotto il livello al quale essa può essere efficace sarebbe una crudeltà per il pubblico e «per lo stesso criminale, perché lo punirebbe senza scopo». E' anche opportuno che a ogni aspetto del reato si associ un elemento indipendente di pena; altrimenti al criminale converrebbe eccedere, visto che l'eccesso è gratuito. Ma non sono tutte rose e fiori. Oltre che un utilitarista Bentham era (come del resto Mill) anche un liberale; e queste due anime non vanno sempre d'accordo. E' l'anima liberale a parlare quando Bentham si scaglia contro la tradizione di porre «le donne, sposate o meno, in uno stato di continua tutela». Ma qualche pagina prima il suo buonsenso utilitaristico lo porta a giustificare questa stessa tradizione: «Che cosa può fare di meglio il legislatore che mettere il potere legale nelle stesse mani che sono in possesso di quello fisico? Per questa strada, poche trasgressioni e poche richieste di punizione; per l'altra, perpetue trasgressioni e perpetue ri¬ chieste di punizione». Mill avrebbe affrontato il problema sostenendo la tesi che il modo migliore di promuovere la comune felicità consiste nel promuovere la libertà individuale. E Bentham si muove nella stessa direzione quando afferma che «non c'è nessun uomo così certo di essere incline a promuovere la vostra felicità come voi lo siete», o che conosca meglio «quel che conduce a tale risultato», se dunque la felicità comune è somma delle felicità di ciascuno, il modo migliore per promuoverla sembrerebbe essere quello di lasciare che ognuno pensi alla sua. Ma si tratta di una pura e semplice congettura empirica e non ci sono motivi per pensare che essa sia vera in generale: è vero invece che molte persone sono autodistruttive e che molti «non sanno quel che fanno». Utilitarismo e liberalismo, dunque, finiranno inevitabilmente per entrare in conflitto. Per Bentham, questo conflitto emerge drammaticamente nel suo progetto di riforma carceraria (il cosiddetto Panopticon) che privilegia sicurezza e riduzione dei costi a svantaggio dell'umanità del trattamento, o nella proposta di condannare mezzo milione di poveri ai lavori forzati per disabituarli alla pigrizia. Per la filosofia anglosassone che da lui ha preso le mosse, lo stesso conflitto continua irrisolto tra fremiti libertari e rigorose analisi contabili. Rimane l'ammirazione per un impegno intellettuale e civico di prim'ordine, per un lavoro instancabile di chiarificazione, per una lotta senza quartiere contro le ambiguità del linguaggio («sforzandomi di aprire una nuova strada nei deserti della giurisprudenza, mi sono trovato continuamente afflitto dalla mancanza di strumenti adatti con cui lavorare»). Rimane un'opera di grande ambizione condotta con una buona dose di modestia: di fronte a un compito che giudica immane, Bentham più di una volta ricorda al lettore che il suo è solo un tentativo, e che in ogni caso «non si può fare tutto insieme». Ermanno Bencivenga

Luoghi citati: Italia, Londra