LA NOSTRA UNIVERSITÀ NON AMA IL NOSTRO '900 di Primo LeviMirella Serri

LA NOSTRA UNIVERSITÀ NON AMA IL NOSTRO '900 LA NOSTRA UNIVERSITÀ NON AMA IL NOSTRO '900 Perché si studiano così poco i contemporanei? LTRO che Pavese e Vittorini. Altro che Primo Levi o Elsa Morante. Per non parlare poi di Daniele Del Giudice o di Susanna Tamaro, di Alessandro Baricco o di Antonio Tabucchi o di Sebastiano Vassalli. Il racconto o la poesia dei più recenti anni nelle aule universitarie sono visti con sospetto, con malcelata diffidenza. In questi giorni si riaprono i battenti e iniziano i corsi accademici: a spulciare i programmi di tutta la Penisola, spesso, ci si accorge che il più moderno dei moderni è Giacomo Leopardi. «La letteratura di questo secolo, soprattutto quella più recente, nei corsi universitari non va per la maggiore», osserva Vittorio Spinazzola, docente a Milano. «Nell'Università si è soliti occuparsi di argomenti che hanno passato il vaglio di parecchi decenni. A me non dispiace andare controcorrente: quest'anno dedicherò il mio corso a Libera nos a malo di Luigi Meneghello, 1963, e a II giorno del giudizio di Salvatore Satta, 1978. Tanti miei colleghi non si rendono conto che, per esempio, questi due libri editi circa venti-trent'anni fa, sono visti dagli studenti già come reperti di un'epoca preistorica. Tra i cattedratici è diffusa un'ideologia molto tradizionalista e conservatrice. Si privilegiano autori minori e poco interessanti vissuti nel Quattrocento o nel Seicento, mentre si trascurano eccellenti scrittori dei nostri giorni». La cittadella del sapere accademico è sbarrata non solo a narratori e lirici, ma anche a saggisti e prosatori contemporanei: sono trascurati Pietro Citati o Giovanni Macchia o Cesare Garboli, e si scava alacremente nei meandri di un passato non sempre di grande rilievo. Come mai questo privilegio a volte cieco della storia? «Credo che si tratti di un clima generale che prende spunto dall'offensiva novecentista di Luigi Berlinguer», spiega Giorgio Ficara, docente di storia della critica letteraria a Torino. «I nuovi programmi ministeriali per l'insegnamento della letteratura italiana nelle scuole superiori prevedono "cenni" su Dante, Petrarca, Boccaccio. Mi sembra assurdo. Così è logico che nelle università si assista a una levata di scudi in difesa della tradizione. E' un modo di riappropriarsi della memoria. E poi, la letteratura italiana del Novecento è una delle più brutte d'Europa. Ma quella del Trecento è una delle più belle. Meglio andar sul sicuro. Non è preferìbile dedicare i propri sforzi, invece che a Primo Levi, che adesso è onnipresente sui banchi di scuola, a Leopardi, sempre più trascurato e negletto?». Nella distrazione dominante nei confronti dell'attualità non man¬ cano le eccezioni: all'Università La Sapienza di Roma negli ultimi anni hanno messo piede (non solo metaforicamente, ma partecipando a dibattiti e lezioni) Dacia Maraini, Alberto Arbasino e Maurizio Maggiani, si è parlato della lirica di Franco Fortini e della narrativa di Luigi Malerba e hanno contribuito a tavole rotonde Roberto Cotroneo, Niccolò Ammaniti e altri. Quest'anno si affacceranno sull'orizzonte degli studenti Raffaele La Capria, Francesca Sanvitale, Rosetta Loy. Ma sono fiorellini in un deserto. «Spesso accade che chi insegna Letteratura italiana, disciplina che va dalle origini al Novecento incluso, si orienti verso il nostro secolo. E viceversa, succede pure che gli specialisti del Novecen to si proiettino indietro verso l'Ottocento. Entrambe le categorie, gli italianisti e i contemporaneisti, in una specie di moto porta li ondoso che avanti e indietro cercano quello che per loro costituisce una novità» - osserva Walter Pedullà, ordinario a La Sapienza, che awierà tra qualche giorno il suo corso dedicato a Stefano D'Arrigo, narratore scomparso nel 1992 -. «In questa ricerca ondivaga si nasconde anche una reale difficoltà: molto spesso gli ultimi arrivati sulla scena della letteratura da soli non hanno la qualità perché si possa dedicar loro un intero corso. E' anche finita l'era degli "ismi", ovvero dei raggruppamenti degli scrittori in movimenti letterari, come il futurismo, il surrealismo e a così via. In Italia l'esperienza post-moderna si è esaurita. Quindi è molto più difficile rintracciare tendenze». Per far parte dell'esclusivo club degli studi accademici è necessario un tesserino d'ingresso, è opportuno essere ammessi nell'alveo di una tradizione. Ma questa linea di demarcazione finisce per conferire agli studi universitari un eccesso di prudenza nei confronti di chi non è santificato dalla critica più paludata. «E' una scelta che mi appare molto sensata», commenta Marco Santagata, narratore, nonché professore a Pisa che, con orgoglio, rivela di non essere andato con le sue dotte lezioni mai oltre l'umanista Iacopo Sannazaro. «Un tempo erano molto autorevoli i critici militanti, quelli che facevano il bello e il cattivo tempo nella letteratura contemporanea e che rilasciavano "certificati di qualità" nei confronti degli autori che di volta in volta si affacciavano sull'orizzonte delle lettere. Ma oggi la critica militante è sparita ovunque, soprattutto dalle sue sedi naturali come le pagine dei giornali. Scacciata dalla sua "casa", perché dovrebbe essere ospitata nelle aule universitarie? Se si facessero corsi di scrittura creativa avrebbe senso occuparsi dei contemporanei, ma il nostro insegnamento letterario si fonda sulla tradizione storica». Da Torino alla Sicilia, dalla Toscana alla Puglia non si sfugge: lo Stivalo ò percorso da un (romito di antimodernità. «Tutto nasce dal fatto che non esiste una critica efficace nei confronti degli autori più recenti», sentenzia da Bari Arcangelo Leone De Castris. «La letteratura che gli editori sfornano a getto continuo e che alloggia negli scaffali delle librerie è poco conosciuta dai docenti universitari. Come si fa a tenersi aggiornati? Le novità sono troppo numeroso. E spesso di scarso valore. Confessiamolo senza reticenze;: si tratta di un genere che a volto viene considerato "minore"». 1 professori hanno paura di sporcarsi le mani con prodotti non etichettati. Ma dietro tanta reticenza si nasconde anche un fantasma, un preciso orientamento ideologico: l'influenza di don Benedetto, lo storicismo idealista che procede in sintonia con il vetoromarxismo di tanti cattedratici. «Si avverte sotterraneamente ancor oggi l'influenza dell'idealismo e dello storicismo crociano», conferma De Castris. E concorda anche Carla Benedetti, docente a Pisa, e autrice del discusso libro Pasolini contro Calvino: «L'Università ha bisogno di un sapere molto specifico e circoscritto. Quando nelle aule universitarie si discute persino di uno scrittore moderno, si finisce per privarlo della sua carica innovativa, per museificarlo. La tendenza dominante ò quella di considerarsi guardiani di un museo». Mirella Serri Confronto tra i docenti di letteratura: Fkara, Spmazzola, Pedullà, Santagata, De Castris e Carla Benedetti UNIVERSITÀ NOSTRO '900 poco i contemporanei? Elsa Morante. Per maro, di Alessansalli. Il racconto o sono visti con soprono i battenti e tutta la Penisola, Giacomo Leopardi. recente, nei corsi pinazzola, docenomenti che hanno ce andare controos a malo di Luigi atore Satta, 1978. pio, questi due li: all'Università La a negli ultimi anni de (non solo metaa partecipando a ni) Dacia Maraini, o e Maurizio Magto della lirica di della narrativa di hanno contribuito e Roberto Cotrommaniti e altri. ffacceranno sull'oudenti Raffaele La ca Sanvitale, Rono fiorellini in un e che chi insegna ana, disciplina che al Novecento inverso il nostro sea, succede pure i del Novecen ndietro verntrambe le alianisti e i ti, in moto orta à» - osserva Walnario a La Sapienra qualche giorno dicato a Stefano ore scomparso nel a ricerca ondivaga he una reale diffisso gli ultimi arri della letteratura o la qualità perché loro un intero corfinita l'era degli "ismi", ovvero dei raggruppamenti degli scrittori in movimenti letterari, come il futurismo, il surrealismo e a così via. In Italia l'esperienza post-moderna si è esaurita. Quindi è molto più difficile rintracciare tendenze». Per far parte dell'esclusivo club degli studi accademici è necessario un tesserino d'ingresso, è opportuno essere ammessi nell'alveo di una tradizione. Ma questa linea di demarcazione finisce per conferire agli studi universitari un eccesso di prudenza nei confronti di chi non è santificato dalla critica più paludata. «E' una scelta che mi appare molto sensata», commenta Marco Santagata, narratore, nonché professore a Pisa che, con orgoglio, rivela di non essere andato con le sue dotte lezioni mai oltre l'umanista Iacopo Sannazaro. «Un tempo erano molto autorevoli i critici militanti, quelli che facevano il bello e il cattivo tempo nella letteratura contemporanea e che rilasciavano "certificati di qualità" nei confronti degli autori che di volta in volta si affacciavano sull'orizzonte delle lettere. Ma oggi la critica militante è sparita ovunque, soprattutto dalle sue sedi naturali come le pagine dei giornali. Scacciata dalla sua "casa", perché dovrebbe essere ospitata nelle aule universitarie? Se si facessero corsi di scrittura creativa avrebbe senso occuparsi dei contemporanei, ma il nostro insegnamento letterario si fonda sulla tradizione storica». Da Torino alla Sicilia, dalla Toscana alla Puglia non si sfugge: lo Stivalo ò percorso da un (romito di antimodernità. «Tutto nasce dal fatto che non esiste una critica efficace nei confronti degli autori più recenti», sentenzia da Bari Arcangelo Leone De Castris. «La letteratura che gli editori sfornano a getto continuo e che alloggia negli scaffali delle librerie è poco conosciuta dai docenti universitari. Come si fa a tenersi aggiornati? Le novità sono troppo numeroso. E spesso di scarso valore. Confessiamolo senza reticenze;si tratta di un genere che a volto viene considerato "minore"». professori hanno paura di sporcarsi le mani con prodotti non etichettati. Ma dietro tanta reticenza snasconde anche un fantasma, un preciso orientamento ideologicol'influenza di don Benedetto, lo storicismo idealista che procede in sintonia con il vetoromarxismo dtanti cattedratici. «Si avverte sotterraneamente ancor oggi l'influenza dell'idealismo e dello storicismo crociano», conferma De Castris. E concorda anche Carla Benedetti, docente a Pisa, e autrice del discusso libro Pasolini contro Calvino: «L'Università ha bisogno di un sapere molto specifico e circoscritto. Quando nelle aule universitarie si discute persino di uno scrittore moderno, si finisce per privarlo della sua carica innovativa, per museificarlo. La tendenza dominante ò quella di considerarsguardiani di un museo». Mirella Serri i; INCHIEIA