IL TALK SHOW DI DIO di Giorgio Calcagno

IL TALK SHOW DI DIO IL TALK SHOW DI DIO IN un regno imprecisato, lontano lontano, ma in un tempo preciso, vicino vicino, si può anche promuovere un torneo di Dio. La società secolarizzata porta a indebolirsi i confini che separavano le fedi, l'ateismo delle masse favorisce, per contraccolpo, l'ecumenismo delle élites; e i responsabili di tutte le confessioni smettono di farsi guerra a base di reciproche scomuniche, preferendo sfidarsi con l'arma della parola. Anche se poi, in molti angoli della terra, i loro adepti continuano a massacrarsi in nome di un fanatismo che nessun testo sacro dovrebbe autorizzare. E' un'idea forte, quella che ha mosso lo scrittore Shafique Keshavjee a immaginare un confronto fra gli Orazi e i Curiazi di cinque religioni, in una sorta di giostra oratoria, che dovrebbe assegnare la palma alla più credibile. Più forte ancora il meccanismo letterario escogitato, mescolante le seduzioni della favola e addirittura la suspense del poliziesco alle arrampicate in sesto grado della teologia. Il risultato è il libro che sta per apparire da Einaudi, Il Re, il Saggio, il buffone - Il Gran Torneo delle religioni (pp. 240, L. 26.000). L'autore ha tutte le carte per tentare l'impresa, a partire dalla propria biografia. Ecumenico quasi per necessità, cosmopolita della fede per vocazione, questo uomo di 43 anni è nato in Kenya da genitori indiani, è stato musulmano ismailita in Africa prima di passare al cristianesimo, laurearsi con una tesi su Mircea Eliade e diventare pastore portestante in Svizzera. Nel suo albero genealogico ci sono Abramo, Maometto e Gesù, con un pizzico di Lutero, ma anche la tradizione brahmanica e, per le esperienze attraversate, un po' di buddismo. A Losan- na, dove vive con la moglie e i quattro figli, Keshavjee tiene corsi su scienza e fede all'Ecole polytéchnique federale ed è un animatore dell'Arzillier, la casa del dialogo interconfessionale dove si riuniscono induisti, buddisti, islamici, ebrei e cristiani. Alle orgini del suo libro c'è un apologo, chiaramente ispirato benché l'autore non lo dica - al convito del re Balthasar, così come lo racconta il quinto capitolo di Daniele. Anche qui c'è una mano che scrive parole misteriose e terribili, differiscono solo alcuni particolari. Anziché durante una cena, lo scritto appare in sogno a tre personaggi contemporaneamente: il Re, il suo Saggio e il Buffone della fabula. Con frasi diverse, che si inseguono l'una nell'altra, è un solo messaggio di morte: esattamente come il Mane Tequel Fares del profeta biblico. Non sappiamo chi sia questo Re, che cosa pensi e quale fede abbia. Potrebbe anche essere un potente delle multinazionali o, con più probabilità, un signore delle telecomunicazioni. Nel suo regno le chiese 'si vanno chiudendo, perché i suoi sudditi preferiscono andare a divertirsi; se hanno bisogni di altra natura, si rivolgono ad astrologi e indovini, in grado di dare risposte più confortanti, che non chiedono trasformazioni di vita. L'irruzione di quella scritta sconvolge tutti gli equilibri sui quali il sovrano credeva di riposare, mina alla base le sue certezze. Solo un Dio può ancora salvarci, come pensava Heidegger? E' difficile che il Re lo abbia letto, forse neppure il suo Saggio. Keshavjee non cita il filosofo di «Essere e tempo»; anche se in qualche modo lo suggerisce: «La morte dell'uomo... potrebbe essere legata alla morte di Dio?», si chiede il Re. «Ho dato lavoro e divertimenti, pane e svago. Ma ciò che forse manca al mio popolo è un Significato che lo aiuti a orientarsi. Il mio popolo ha bisogno di una vera religione!». Richiesta perentoria; difficile da accontentare, anche se viene da un Re. Qual è la religione vera? Il torneo proposto dal Saggio dovrebbe aiutare a individuarla. Nello stile di questo regno, che dà tanta importanza allo svago, sarà una specie di lungo talk show: parola che l'autore non usa, e che sempre più noi abbiamo l'impressione di leggere. Attorno al moderatore, proprio come nelle buone tradizioni televisive, dovranno battersi i campioni di cristianesimo, ebraismo, islam, induismo e buddismo. Per rendere più completo il palco degli interlecutori, con un geniale gioco di equilibrio - che si rivelerà narrativamente il più utile - viene chiamato anche un ateo: il professor Alain Tannier, ex teologo, libero pensatore fin dalle pro¬ prie iniziali, che in francese danno A-thée. In compenso è un ex ateo il rappresentante del cristianesimo, un pastore protestante svizzero designato dal Vaticano, papista fin dal proprio nome, Christian Clément. I loro destini sono speculari. Tannier ha perso la fede dopo la morte di una figlia in un incidente d'auto; Clément l'ha raggiunta dopo aver perso un bambino nelle stesse circostanze. I sei personaggi espongono i loro argomenti; e riescono persuasivi tutti e sei, ricchissimi di dottrina, brillanti nell'esposizione. Le ragioni dell'uno hanno sempre qualche punto di contatto con quelle dell'altro, senza coincidere mai. Su quei punti di non coincidenza corrono i secoli più sanguinosi della nostra storia: guerre sante, jihad, crociate, persecuzioni, roghi, ancora oggi infiammanti tante parti del pianeta. E gli scambi teologici fra i due grandi figli di Abramo, il rabbino e l'imam, animati dalla maggiore volontà di intesa, si caricano di ombre, neanche tanto letterarie, quando ognuno dei due deve mettere in campo le opposte spine, fra sionisti e palestinesi. Eppure... L'avverbio eppure non è usato dai campioni orientali della tolleranza, il monaco buddista e lo swami indù; ma affiora, quasi contraggenio, attraverso le più dure parole dell'ateo, intransigente nella difesa del proprio credo scientifico, disponibile, nel cuore, ad ascoltare altri richiami. Nessuno, naturalmente, vincerà la sfida: anche se l'autore sembra avere qualche simpatia in più per il rappresentante dell'islam, e porta qualche argomento più forte a favore del cristiano. Il suo Re - e se fosse Bill Gates? - alla fine della gara preferisce non pronunciarsi. Giorgio Calcagno

Luoghi citati: Africa, Kenya, Svizzera