Identikit della nuova Torino di Alberto PapuzziPiero Gobetti

Identikit della nuova Torino Scuola giuridica, economia, beni culturali: una ricerca dell'Istituto Gramsci cancella gli stereotipi Identikit della nuova Torino La metropoli da laboratorio a cantiere NTORINO ESSUNA città in Italia è stata come Torino un luogo emblematico delle trasformazioni sociali avvenute nel Paese lungo il Novecento. Non si dice sempre che qui sono nate l'industria italiana dell'automobile e del cinematografo, la radiofonia di Stato e i delegati di fabbrica? Ne è nata un'immagine che è diventata un'identità, messa a fuoco alla fine degli Anni Settanta dal sociologo Arnaldo Bagnasco: quella del laboratorio urbano dove si sono sperimentati i processi di modernizzazione della società italiana. In questo senso è stata «la città per eccellenza dell'industria», come scriveva Piero Gobetti, il luogo che metteva a nudo «il conflitto di classe integrale», secondo il giudizio di Antonio Gramsci, la Detroit italiana, dove fare «come Ford», la metropoli dell'immigrazione e dell'integrazione raccontata in Così ridevano. Quanto sono ancora attuali queste immagini? Quanto è reale la Torino che rispecchiano? «Bisogna rivedere gli stereotipi che alimentano l'immagine di Torino», dichiara l'economista Walter Santagata. «Questa non è più semplicemente - dice il sociologo Sergio Scamuzzi - la città degli ingegneri, la città sabauda, o il luogo di un'egemonia comunista sugli intellettuali». I due studiosi dell'Università di Torino sono responsabili di una vasta ricerca della Fondazione piemontese Istituto Gramsci: «Produrre cultura e politiche a Torino». L'occasione sono i 25 anni della Fondazione. «Ma l'aspetto sostanziale spiega Scamuzzi - è che Torino ha sviluppato punte di eccel- lenza, non entrate nell'immaginario, pur rappresentando realtà corpose. E' diventata un deposito di risorse che la ricerca si propone di censire». Quali sono queste risorse? La scuola giuridica, la cultura tecnologica, i beni culturali, la cultura economica, quella della comunicazione e l'impegno politico: rappresentano le sei facce d'una moderna identità torinese, sviluppatasi negli ultimi trent'anni, su cui farà il punto la ricerca dell'Istituto Gramsci (in sei serate, la prima oggi, l'ultima a marzo). Ma perché la ricerca non mette in evidenza come caratteri peculiari della città la presenza della Fiat o la tradizionale sindacale? «La Fiat con Cantarella - risponde Scamuzzi - sta operando una ridefinizione di valori e identità che col tempo darà frutti. Non si può più parlare di città della Fiat come se ne parlava un tempo». La scuola giuridica ha contribuito a costruire, in tutta Italia, un'idea di giustizia, «che sa coniugare - spiega Santagata principi costituzionali e trasformazioni sociali». La cultura degli ingegneri ha affrontato le sfide della meccatronica, delle telecomunicazioni e delle bioingegnerie. La cultura economica, che era orientata alla speculazione teorica, si è misurata con la prassi, testimoniata dalla presenza di manager torinesi al vertice di grandi aziende pubbliche. Ma Torino è stata anche la città dell'Arte Povera: «Nel campo dei beni culturali la dimensione internazionale di Torino - afferma Santagata - è fortissima. L'Arte Povera è un modello nel mondo». Dietro questa visione di Torino si profila una nuova figura di intellettuali. Non si tratta più di organizzatori del consenso, secondo la tradizionale concezione del rapporto fra politi¬ ca e cultura. L'intellettuale è visto come un produttore di opinione pubblica e di cultura civile, ma soprattutto come il teorico e il tecnico d'una cultura del progetto, che nasce all'interno della società civile non più solo dai partiti politici o dalla grande fabbrica. I suoi prodotti possono essere l'Arte Povera o il design industriale: «Cose che non nascono dall'in¬ put di qualche decisione centrale, politica o economica, come in passato - disce Scamuzzi -. La cifra dell'intellettuale dei nostri anni non è più quella dell'intellettuale militante né del funzionario Fiat». Che cosa diventa, nella vostra ricerca, quella che è stata la Detroit italiana, il mondo dei Compagni di Monicelli, la cittàfabbrica, la culla della conte- stazione studentesca? «Diventa la città del progetto, basato sull'impegno culturale», risponde Scamuzzi. E Santagata: «E' la città dell'umanesimo di fine secolo, che mette insieme processi democratici, evoluzione sociale, tecnologie e mercato». Ma contiene ancora una propria originalità, rispetto alle altre grandi città? Santagata: «Di sicuro è originale, originalissima, rispetto alla Milano di Formentini, dove si è fatto, culturalmente, il vuoto. Credo che in prospettiva simile a Torino si rivelerà Napoli, come altra città capace di una forte progettualità». Come mai, fra le culture che definiscono un'identità di Torino, non figura il volontariato di matrice cattolica? Santagata: «E' vero che esiste storicamente un filone di solidarismo cattolico, ma l'abbiamo fatto rientrare nell'ambito dell'impegno politico». «D'altra parte, il solidarismo cattolico è un po' meno specifico rispetto ad altre culture. Ciò che a Torino è rappresentato da don Ciotti o dal Sermig, a Roma si esprime nell'attività della Caritas, mentre il giudice Caselli o il Politecnico sono specifici di Torino». E l'idea di laboratorio urbano? Scamuzzi: «Appartiene a una fase precedente, finita con la città monoculturale. Era un modo per valorizzare le contraddizioni». Santagata: «La parola laboratorio è oggettivamente errata, perché qui non si sperimentava ma si produceva». Scamuzzi: «In ogni caso il laboratorio è ormai uno stereotipo. Oggi lo slogan è: vuoi produrre qualcosa per tutti? Vieni a Torino». Santagata: «Non dico che la tesi della città laboratorio non fosse interessante, ma la fase della sperimentazione è ormai finita». Alberto Papuzzi Qui sono nati l'automobile e la radio, il cinematografo e i delegati di fabbrica Don Ciotti e ilSermig Caselli e il Politecnico i volti odierni della Detroit italiana mm Il nuovo Lingotto. Qui sotto, da sinistra, Piero Gobetti e Germano Celant