Non giocare e vergognarsi di Stefano Bartezzaghi

Non giocare e vergognarsi LA FEBBRE DEB SOLDI Non giocare e vergognarsi LA frase che è stata più ripetuta dai giornali di quest'anno è senza ombra di dubbio: «Cresce la febbre del Superenalotto» (la seconda in classifica sarà: «Alle soglie del terzo Millennio», e le due frasi possono anche andare assieme). E cosi in un venerdì d'ottobre anche un non-giocatore potrebbe decidersi a infilare la porta della tabaccheria. Anche se il Lotto è stato definito «la tassa sui fessi» (da Cavour, fra gli altri) la sua versione moltiplicata e potenziata ha ribaltato la prospettiva: «Quarantadue miliardi? Io ci provo, son mica fesso». Fino a qualche mese fa c'era chi si sarebbe vergognato di giocare, ora c'è chi si vergognerebbe a non giocare, a non sperare di farsi cadere addosso un'intera montagna di soldi. Nella mitologia del Superenalotto, la figura dominante è appunto l'ammontare: una quantità spropositata di soldi che incombe, mette in crisi i predicatori che parlano di «ricchezza iniqua», dà da pensare ai politici. In un'intervista Massimo D'Alema ha detto che il gioco c'è «e tanto vale tenerlo nella legalità perché l'aspetto socialmente più preoccupante è la gestione criminale. Per il resto il mito, il miraggio dell'arricchimento è una componente ineliminabile della vita, è legato al meccanismo della società dei consumi. Ci viviano dentro». Pragmatismo, che corregge il passato moralismo del movimento operaio, contro il popolare oppio dei giochi... E allora all'ombra della montagna di miliardi e con il permesso e anzi il viatico del nuovo premier, andiamo a giocare. Giocheremo questi sei numeri: 36, 37, 38, 39, 40, 41. Non è una sequenza più improbabile dell'ultima combinazione uscita(l4,39, 50, 56,72, 89), anche se i giocatori non si divertono a imparare le regole probabilistiche ma solo a inventarsi «regolarità» impossibili. I bravi giocatori vogliono capire come i numeri «si comportano», e di norma i numeri non escono uno fila all'altro, sfacciatamente. Però nulla in glielo impedirebbe, e così andremo a giocare i numeri dal 36 al 41, come i gradi di un termometro per la febbre del gioco. La febbre è la figura dell'attesa, è il delinearsi della montagna dei miliardi. A gennaio, quando il meccanismo dell'accumulo produsse il primo montepremi cospicuo (otto miliardi), Luciano De Crescenzo disse: «Quei miliardi? Tutte balle, non li vincerà mai nessuno... Io prima che scrittore sono ingegnere. E un ingegnere di queste cose se ne intende... Uno come me conosce bene il calcolo delle possibilità. E sa bene che vincere è praticamente impossibile». La gente giocò lo stesso e due estrazioni dopo la profezia dell'ingegnere fu smentita: il jackpot era arrivato a tredici miliardi. Quella che viviamo oggi è l'attesa finora più lunga. Non è un'attesa emozionata, le prospettive di vincita sono troppo remote per poterci davvero sperare. E' un'attesa riempita dai discorsi, una febbre chiacchierina. Fa piacere parlare di miliardi, e più se ne parla, più si gioca, più il montepremi si alza. La montagna fa crescere la febbre, la febbre fa alzare la montagna: e così il mito alimenta se stesso. l: Stefano Bartezzaghi

Persone citate: Cavour, D'alema, Luciano De Crescenzo