Scontro tra nuovi e vecchi «poli» di Augusto Minzolini

Scontro tra nuovi e vecchi «poli» Scontro tra nuovi e vecchi «poli» Prodi e Berlusconi, lo stesso sguardo scuro VROMA A in scena, appunto, questo scontro tra nuovi e vecchi Poli, ma non è ancora possibile capire chi prevarrà. Mentre Ciriaco De Mita attraversa in lungo e in largo il grande salone, gli si avvicinano gli ex de che erano nel centro-destra e, grazie alla zattera dell'Udr, hanno attraversato il fiume di confine, sbarcando sulla sponda di centro-sinistra. «Caro Ciriaco gli chiede Salvatore Cardinale, il ministro delle Comunicazioni a cui Cossiga ha dato il compito di marcare il Cavaliere - mi aspettavo un invito al matrimonio di tua figlia...». «Non ne ho fatti molti per pudore», risponde l'altro. Si accosta Rocco Buttigliene e sussurra a un orecchio dell'ex presidente De: «Io ho accettato di non fare il ministro, di fare questo sacrificio personale, speriamo che serva...». De Mita risponde con un cenno, come un tempo. «Vengono tutti da me - confida - quando vogliono capire qualcosa. D'Alema sta facendo bene. Se il suo governo farà la fine del mio? No, perché i Ds non sono i De anche se lo scontro interno per le poltrone è stato talmente duro che a paragone con loro i nostri dorotei erano dei cardinali. Noi abbiamo una grande occasione, ma se i Ds immaginassero di essere fin d'ora la sinistra del bipolarismo prossimo venturo e noi il centro, faremmo tutti e due un grande errore. Bisogna aspettare. Il prossimo Capo dello stato, ad esempio, dovremmo eleg,(;t:rlo insieme al Polo. In caso contrario daremmo solo un pessimo spettacolo senza riuscirci. Ecco perché credo che il candidato più indicato sia Mancino» In altri angoli i vecchi Poli, quelli di prima, si dibattono. Romano Prodi è scuro in volto. Se la prende anche con Enrico Micheli, il sottosegretario del suo governo che ora è diventato ministro di D'Alema: «Mi avete lasciato solo». L'altro replica: «Questa storia che fai dire, che 0 sottoscritto e gli altri che erano con te sono stati mandati al governo dai partiti, è un'ingiustizia. Io non ho mai avuto in tasca una tessera di partito». Dall'altra parte Berlusconi non sta meglio. La grande protesta annunciata si è trasformata alla fine nella parodia di duecento deputati in aula che prendono la parola per pronunciare in due minuti il «no» al governo. Una prova d'impotenza che fa perdere gente: Giorgio Rebuffa sta con un piede dentro e un altro fuori, come pure Franco Frattini e Giulio Tremonti. Il Cavaliere ha anche commissionato un sondaggio per conoscere l'appeal di Giuliano Amato tra gli elettori ricavandone la risposta sconfortante che Fosea Italia perderebbe il due per cento. Cambiano i governi, arriva D'Alema al posto di Prodi, ma Berlusconi non cambia spartito: no al dialogo sulle riforme, opposizione dura fino alle elezioni. «A la guerre comme à la guerre», tuona Giuseppe Pisanu senza fantasia, mentre gli altri sono in preda alla confusione. «Io rilancerei la Bicamerale per mettere in difficoltà Cossiga - azzarda La Loggia - ma è una mia posizione personale». «Dobbiamo schierarci per il referendum - teorizza Giuseppe Calderisi - con Prodi e Di Pietro». Tenta di ragionare Gianfranco Fini a cui Franco Bassanini parla di riforme. «Ho letto sul tuo volto - dice il sottosegretario al presidente di An - una malcelata approvazione del discorso di D'Alema». «Approvazione - replica l'altro - è una parola esagerata. Come posso approvare e andare a protestare sabato in piazza?». In mezzo a tutto questo bailamme c'è D'Alema con il suo governo. Forse solo un presidente del Consiglio che è anche leader del partito di maggioranza relativa e, almeno formalmente, presidente dell'ibernata commissione per le riforme istituzionali, poteva mettersi a metà del guado tra i due possibili approdi del bipolarismo italiano: a metà strada, cioè, tra coloro che continuano a propugnare un bipolarismo fondato su Ulivo e Polo o qualcosa che gli somigli (Berlusconi, Prodi, Fini) e quelli che perseguono il progetto di una sinistra e di un centro che al momento sono obbligati a go¬ vernare insieme ma un domani, chissà quanto lontano, si contenderanno la guida del Paese (De Mita, Cossiga, Marini). D'Alema può farlo perché ricopre, o ha ricoperto, tutti quei ruoli e perché guida un governo che ha una rappresentanza talmente ampia di posizioni da poter includere gli epigoni di entrambi le scuole di pensiero. In più, dato non indifferente, è il personaggio che si è posto al crocevia tra la maggioranza di oggi e le due opposizioni, il centrodestra da una parte e la Lega dall'altra. E già questa fotografia dello scenario politico italiano dimostra che anche dal governo, da Palazzo Chigi, il nuovo premier è riuscito ad occupare una posizione centrale, quella che più predilige. In entrambe le opzioni, infatti, D'Alema si è assicu¬ rato un ruolo primario: sarebbe, infatti, leader dello schieramento di centro-sinistra nello schema Polo-Ulivo dato che guida il maggior partito di questa coalizione; e, anche nell'altra ipotesi, sarebbe il candidato naturale della sinistra a Palazzo Chigi che se la dovrebbe vedere con il candidato del centro. Come se ciò non bastasse, si è assunto dalla posizione di governo anche il ruolo centrale di nocchiero della transizione italiana. Forse solo lui in questo Parlamento può parlare con un certo distacco delle due ipotesi di bipolarismo, porsi a metà strada. Certo lui preferirebbe la prima, quella «di chi ritiene che l'incontro tra la sinistra riformatrice e le culture di centro sia una prospettiva politica di medio e lungo periodo», quella che ha dato vita all'Ulivo, e ora che quest'ultimo non ha più la maggioranza per governare, a qualcosa di più complesso. Ma non demonizza la seconda, l'ipotesi cossighiana. Si limita a dire: «Francamente non so dire quale tra i due disegni alla fine prevarrà». Questo atteggiamento, appunto, gli assicura la centralità di chi governa con Cossiga ma può anche fare le riforme con Berlusconi, Fini e, magari, perfino con Bossi. Siamo al paradosso che il leader della sinistra si assume il compito di mediare tra pezzi di centro moderato, tra pezzi di destra. Come si sia potuto creare un tale assurdo non ha risposta, a meno che non si prenda per buona la spiegazione più banale: la pochezza, la rigidità, il dilettantismo degli altri. Certo, il nuovo capo del governo avrà dalla sua la profes¬ sionalità. Ma è succeduto ad un presidente del Consiglio come Prodi che, potendo contare solo su una maggioranza esigua, ha passato il suo tempo a provocare e a dileggiare l'opposizione. O, ancora, ha avuto a che fare con un Bossi che da due anni non sa parlare d'altro che di secessione, e solo una scissione nella Lega gli ha tolto quella parola di bocca. Infine, D'Alema ha avuto come controparte Berlusconi che in pochi mesi si è fatto convincere da Cossiga a far saltare la Bicamerale per poi assistere alla capriola dell'ex Presidente della Repubblica, che è andato al governo con la sinistra, con un pensiero fisso in testa: liquidare il Berlusconi politico. L'ultimo capolavoro del Cavaliere. Augusto Minzolini

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