Il re che non vuole morire prima che sia davvero pace

Il re che non vuole morire prima che sia davvero pace Il re che non vuole morire prima che sia davvero pace LA MISSIONE m HUSSEIN QTEL AVIV DANDO re Hussein, calvo e senza baffi per la chemioterapia, pallido, ridotto pelle e ossa, è apparso a Wye Plantation insieme con Clinton, Arafat e Netanyahu, era tutto impettito, ornato di un sorriso vigoroso e solenne. Se il pianeta Terra avesse dei sentimenti propri, sarebbe stato percorso da un brivido di orgoglio a sentirne i passi, avrebbe avvertito lo stesso senso di trascendenza come per Gandhi o per Mandela. Lasciando il luogo della sua cura contro il cancro, la Mayo Clinic, per andare al summit del Maryland in ima situazione fisica che secondo gli analisti è quella di un morente che conduce tuttavia una battaglia senza quartiere, il re ha superato la soglia che conduce certe anime superiori a staccarsi del tutto dai propri interessi mondani, che siano nazionali, etnici o economici, per aprire nuove frontiere universali. La sua grande rappresentazione sul palcoscenico della pace si è raffinata sempre di più negli anni sullo sfondo del mondo piti conflittuale che esista, in defmitiva quello dello scontro fra :. ondo musulmano e Occidente, p<. arrivare a formulare, con la sua propria persona, una proposta originale e compiuta. Quella di tenere come stella polare la pace restando tuttavia un realistico stratega, di incarnare il meglio della fierezza e della cultura araba senza renderla aggressiva, di porgere la mano al nemico israeliano dopo una guerra durata 46 anni senza per questo abbassare di un millimetro la testa. K" Hussein regna dal 1953, cioè dalla tenera età di 17 anni su un Paese riarso e povero, di 4 milioni di abitanti circa di cui il 70% palestinese, in buona parte ostile alla sua dinastia, quella degli Hascemiti. Suo nonno Abdullah, che credeva in una fertile amicizia con gli ebrei, fu ucciso da un estremista della sua parte nel 1951. La strada di Hussein, che ha avuto Gerusalemme Est con tutte le moschee in mano fino alla Guerra dei Sei Giorni, è controversa come si conviene a un raiss mediorientale, piena di zigzag in un deserto senza punti di riferimento e piuttosto disseminato di agguati, in mezzo all'estremismo islamico che lo considera pericolosamente prono alle lusinghe dell'Occidente, in un corpo a corpo con Israele con cui ha fatto la pace e che pure gli ha portato via Gerusalemme, di fronte ai palestinesi che lo contestano. Con l'Egitto che non ha mai avuto simpatia per il piccolo re recalcitrante e indisciplinato di fronte ad ogni imposizione; con la Siria che lo considera un traditore della linea dura anti-israeliana e un raiss pericolosamente aperto alla democrazia; con i duri della zona come Saddam Hussein che gli han- no sempre tenuto il respiro sul collo. La grande strategia del re sta nella vicenda israelo-palestinese. Nello stare di fronte ad Arafat come un alleato ma anche come il capo riconosciuto di un'altra schiatta, con le sue guardie beduine, senza scordare gli scontri del passato. Fu una guerra terribile quella che portò il re a sparare, facendo caterve di morti, nel 1960 contro i palestinesi durante il Settembre Nero. Sempre il re, tuttavia, ha saputo poi diventare il paladino dei palestinesi stessi nella West Bank occupata nel '67, promuovendoli nel suo Paese nei ranghi delle massime cariche (fino a primo ministro) ; e ha saputo lascia • re, il 31 luglio dell'88, ogni pretesa di sovranità sui Territori, riconoscendoli come la culla ideale di un novello Stato palestinese. E' qui che, salvo per il brutto momento della Guerra del Golfo, quando il re si schierò con Saddam, Hussein comincia a battere all'aria aperta le ali della sua grande aspirazione di pace fino ad allora presente ma clandestina. In quanti alberghi di Londra, o di Parigi o dell'Aia re Hussein ha incontrato di nascosto a partire da anni lontanissimi quasi tutti i leader israeliani con cui era ufficialmente in stato di guerra. Già nel '64 parlava nascostamente di divisione delle acque con Yaacov Herzog; nel '70 firmava un trattato in cui in cambio della lotta antiterrorista riceveva una grande area a Sud-Est del Mar Morto; nel '73 cercò in tutti i modi di avvertire Golda Meir che i siriani e gli egiziani, si preparavano a sferrare una guerra concentrica nel giorno del Kippur; poco più tardi chiese aiuto perché le forze occidentali evitassero che gli Stati arabi ponessero, secondo la decisione di Casablanca, alcune divisioni fisse di stanza in Giordania. Neppure la Guerra dei Sei Giorni fermò il dialogo con Israele. Già due settimane dopo la pace, Hussein svolgeva di nuovo il ruolo diplomatico che sbocciò pienamente con l'avvento di Rabin al potere. Ai primi inizi del mandato di Rabin, poco più di un anno prima della pace nel deserto dell'Arava, il re sorvolò deliziato dallo spettacolo la capitale d'Israele mentre tutti gli israeliani guardavano il suo aereo volteggiare col naso per aria. Rabin lo chiamò per radio e i due si parlarono e risero. Nel settembre del '94 la firma del trattato di pace avvenne sullo sfondo di un grandioso deserto giallo e nero, con Hillary Clinton e la moglie di Hussein, Muna, per caso ve¬ stite con lo stesso identico tailleur turchese; i beduini con la kefiah rossa e bianca e i pugnali luccicanti, Rabin con un cappelluccio da kibbutz contro il sole cocente con su scritto «Ufficio del primo ministro» fecero toccare al mondo il cielo con un dito. Al funerale di Rabin il discorso più commosso, le lacrime più vere furono quelle del re. E quando Netanyahu è stato eletto, Hussein è stato fra quelli che dal- l'alto della sua somma saggezza ha evitato gli anatemi e le offese roboanti. Il re ha portato a conclusione la controversia fra Bibi e Arafat che consentì lo sgombero di Hebron, e che sembrava allora più irrisolvibile ancora degli scontri di queste ore di nervosismo a Wye Plantation. Questo è il re che ha saputo buttarsi in ginocchio nel marzo del '97 davanti ai genitori delle bambine israeliane uccise da un suo soldato sul confine. E ha detto loro: «Mi vergogno»; e anche: «E' come se fossero figlie mie». La malattia allora lo aveva già consumato nel corpo, e lo aveva lanciato in alto, al di là di se stesso. Fiamma Nirenstein Ha evitato anatemi ed offese dopo l'elezione di Netanyahu Neppure la Guerra dei 6 giorni fermò il dialogo con Tel Aviv Re Hussein nella Mayo Clinic dove è in cura per un tumore. A sinistra il principe ereditario Hassan