Cardinale, il sopravvissuto al terremoto democristiano di Francesco La Licata

Cardinale, il sopravvissuto al terremoto democristiano Cardinale, il sopravvissuto al terremoto democristiano IL MINISTRO DELLE POSTE SPALERMO E fino a qualche giorno fa gli umori non erano dei più favorevoli nei suoi confronti, neppure quelli di amici, ex amici e compagni di viaggio della sua traversata politica, figurarsi cosa attende Salvatore Cardinale ora che è diventato ministro. Ministro delle Poste, nella migliore tradizione De, ma del primo governo guidato da un postcomunista. La malignità è il condimento preferito nei «piatti» sei-viti alla mensa della lotta politica. Salvatore Cardinale, detto Totò, classe 1948, richiama lo stereotipo dell'arabo. Con quei baffi un po' filiformi ma prepotenti, il sorrisetto sornione, gli occhi in allerta e contenti come dopo aver concluso un buon affare, con l'attitudine evidente alla contrattazione, Totò Cardinale ha sapientemente scalato, gradino dopo gradino, la non facile montagna del potere. Fino ad ottenere la carica di ministro in una delle più difficili contrattazioni degli ultimi anni. Certo, il suo successo è figlio del «gran gesto» di Clemente Mastella che, alle responsabilità di governo, ha preferito il ruolo di timoniere e garante della «tenuta» della rotta maestra. E lui, Totò, dimostra gran riconoscenza all'amico Mastella. Infinito rispetto anche «per il Presidente Cossiga», stratega delle grandi trame. Ciò non toglie, però, la consapevolezza che lui - Cardinale - si consideri (molto democristianamente) l'amministratore delegato della società (l'Udr) in quanto detentore del pacchetto dei voti provenienti dalla Sicilia. Questa è la sua l'orza. Di Totò si dice, a Mussomeli e più in generale nel «Vallone», che è uno baciato dalla fortuna. Ha sempre scommesso sul cavallo giusto e le «disgrazie» che hanno attraversato il partito e molti degli uomini del passato gli sono passate sulla testa, senza colpirlo. Uno dei suoi «padri», l'ex ministro Calogero Mannino, è stato travolto dall'onda partita dal palazzo di giustizia di Palermo a bonificare la palude politicomafiosa. Erano due, i fedelissimi di Mannino: Bernardo Alaimo e Totò Cardinale, entrambi interpreti del più autentico «sentire democristiano». Il primo è rimasto giudiziariamente azzoppato, anche per aver cercato di fare da parafulmine a) gran capo della corrente. Lui. Cardinale, ha continuato a navigare, fino a scommettere - anche dopo il passaggio al Ccd e alla successiva scissione - sull'altro cavallo oggi risultato vincente: Clemente Mastella. Fortuna, spregiudicatezza? Totò Cardinale ha ima sua idea, forse disincantata, della politica e non la nasconde. Una volta, stando seduto al tavolo del ristorante «Tullio», a Roma, aggredendo la solita, enorme bistecca (mangia solo carne), si lasciò andare: «Che vuol dire fare politica in Sicilia? E' come costruire un orinatoio e lasciare che tutti vengano a fare la pipì». Gli amici di Totò lo ricordano come una specie di Gastone, il cugino «figo» dello «sfigato» Paperino. Elegante, gaudente e buongustaio, persino sportivo con la passione per la caccia e per i cavalli, sembra aver ottenuto molto col minimo sforzo. Tanta fortuna ha scatenato le fantasie paesane e così a Mussomeli sono convinti che Totò fu «segnato» sin dalla nascita. Dalla zia, Giovanna Tuzzeo, che al picco- lo Salvatore mise la carnicina bianca ma dopo averlo «fasciato» con banconote per 300 mila lire, somma considerevole nel '48. Totò diventa avvocato a 23 anni. Ma non eserciterà mai, tranne che per una causa di abigeato: gli andò bene anche quella volta, il vicepretore onorario era infatti suo suocero. Poi preferirà la carriera all'Ente Porto di Palermo. Si innamora di una donna bella, ricca, e ovviamente ambita: Maria Imperia, figlia del notaio Pietro. Tutto il paese la vorrebbe, ma Maria sceglie Totò. Il loro - assicurano - è vero amore, ar¬ ricchito dalla presenza di tre figlie. Prima del matrimonio, lo studente fuorisede sembra avesse infranto più di un cuore a Palermo. Piaceva - assicurano - per la sua vitalità e per qualche sorprendente trasgressività. Come quando si laureò senza dire niente ai suoi. Alla discussione della tesi furono presenti solo due amici, che si presentarono all'aula magna di Giurisprudenza con tanto di fiori e poi portarono il neo dottore in una trattoria del centro storico. Ci rimase male, il padre di Totò, ufficiale giudiziario presso la pretura di Mussomeli. Oggi Totò è un borghese che continua a vivere a Mussomeli, anche se tiene un appartamento a Roma e un altro a Palermo. Va a caccia nella tenuta di contrada «Mappa», confinante con quella che fu di don Calogero Volpe, democristiano di rispetto e «faccia buona» della mafia antica. Eccola l'origine dell'essere perennemente democristiano. Un modo di fare politica. Raccontano che a don Calogero una volta fu proposto un sottosegretariato, «ma lei deve dire se è moroteo e doroteo». Il boss rispose: «Di queste cose dovete parlare con Gullotti, non con me. Io sono uno che deve solo andare al governo». Tanta spregiudicatezza potrà attirare più di una critica al buon Totò. Girano già sussurri su una «segnalazione» che lo riguarda. Fu mandata, nel 1995, dal pubblico ministero palermitano Gioacchino Natoli alla commisione Antimafia presieduta da Tiziana Parenti. Riguardava i rapporti di alcuni parlamentari con la Massoneria. Si parla, oggi, di affinità con l'ing. Salvino Lanzalaco, che ha aperto uno squarcio su mafia e appalti. Anche questo tam-tam riporta alla mente il tormentone, irrisolto, sulla «questione morale» e la de siciliana. Francesco La Licata Il ministro Salvatore Cardinale