«Sì, governare mi spaventa» di Augusto Minzolini
«Sì, governare mi spaventa» «Sì, governare mi spaventa» //premier: riporto la politica a Palazzo Chigi QROMA L Professore era un uomo del tutto estraneo ai partiti, volutamente distante, che si è creato quel soggetto artificiale che è l'Ulivo, ma non ha mai voluto prendere la tessera del Ppi. Il nuovo presidente del Consiglio, al contrario, va fiero della sua provenienza dalla Quercia. E non ha nessuna voglia di recidere quel legame, neppure ora che è diventato capo del governo. Anzi, dalle sue parole si arguisce che l'idea di assumere la presidenza del partito non la rifiuta. Semmai aspetta che qualcuno gliela offra. «E' una carica che non è ancora prevista dallo statuto. Bisognerà modificarlo. Deciderà la platea congressuale». L'ultimo segnale che emerge da questa prima giornata di D'Alema al governo, forse il più importante, viene dal primo incontro con i ministri a Palazzo Chigi. Anche qui il premier marca una differenza con il suo predecessore. Prodi non aveva mai dedicato una riunione del Consiglio dei ministri alla discussione politica. Il nuovo presidente, invece, intende seguire una filosofia del tutto opposta. «Vorrei approfittare delle sedute ha spiegato - anche per affrontare temi di natura squisitamente politica visto che questo è un governo di coalizione, che può avvalersi dell'esperienza di tre ex presidenti del Consiglio, di esponenti di diversi filoni politicoculturali. Questo governo è, infatti, una vasta rappresentanza delle articolazioni del Paese». Sembrerà un paradosso, ma D'Alema vuole sfruttare fino in fondo una cifra del suo carattere e del suo governo che molti, a cominciare da Giuseppe Ayala Romano Prodi, considerano un difetto: c'è, infatti, chi gli rinfaccia di essere un uomo di partito a capo di un esecutivo che segna il ritorno dei partiti al governo. Di essere, insomma, un politico, o meglio, come si compiace lui stesso, un professionista della politica che interrompe quella lunga sequenza di tecnici (Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini), di tecnici approdati alla politica (Romano Prodi e, in fondo, lo stesso Amato che da sempre è. considerato un consigliere) e di dilettanti autodidatti (Berlusconi) che si sono susseguiti al governo dal '92 ad oggi. Ebbene, lui non se ne fa una colpa, ma la reputa una qualità. Del resto, la fine del dilettantismo in politica è rappresentata da quell'unico voto che ha fatto cadere il governo Prodi poco più di dieci giorni fa. E cosa fa il politico che vuole sopravvivere, salvaguardarsi, durare in una situazione politica confusa? Intanto mantiene un legame stretto con il Parlamento, dato che guida una coalizione alquanto variegata. Poi si stringe al partito: «La nostra capacità di costruire mia cultura di governo mi spaventa, ma è la sfida»; «Ci sono state incomprensioni, c'è stato l'allentarsi di un vincolo... Ma il nostro gruppo dirigente ha una storia lunga, quelli che Cossiga chiamò i ragazzi della via Paal». Infine, cerca di ricondurre nel go¬ verno tutte le possibili tensioni, gli scontri, le mediazioni necessarie per tenere insieme una coalizione eterogenea. In questo modo innesca un processo di coinvolgimento delle diversi componenti della maggioranza che trasforma l'esecutivo nel vero soggetto di indirizzo politico. Non per nulla il discorso con cui D'Alema si presenterà oggi alle Camere non avrà solo il taglio del presidente del Consiglio, ma anche quello del leader del maggior partito della coalizione e dell'uomo che più si è impegnato nelle riforme. Del resto lo scontro che è avvenu¬ to sulla struttura del governo dimostra che senza questi accorgimenti «professionali» lo stesso D'Alema avrebbe poche chance. C'è, infatti, chi punta a fare una sua politica approfittando soprattutto dei ministeri che è riuscito a conquistare. Ad esempio, nell'Udr nessuno nascon- de che il ministero della Comunicazione può servire a condizionare le scelte politiche di Berlusconi. «Con Cardinale alle Poste - ha confidato Cossiga al verde Luigi Manconi - abbiamo fatto una grande operazione. Maccanico era troppo succubo di Berlusconi. Il nostro Cardinale, invece, farà vedere al Cavaliere che sono cambiati i tempi». Intenzioni che potrebbero scontrarsi con quelle del presidente del Consiglio che, invece, vuole coltivare il dialogo con l'opposizione'. Che la situazione sia complessa lo dimostra anche quella lunga scia di tensioni, di possibili divorzi che le scelte fatte hanno provocato nella maggioranza. Una scia davvero lunga. Nel Ppi, ad esempio, si è aperto un contenzioso che potrebbe sfociare in un congresso: da una parte Gerardo Bianco (che per l'esclusione dal governo è fuori dalla grazia di Dio), i prodiani e dall'altra Franco Marini con i demitiani. Una fibrillazione che potrebbe ripercuotersi in futuro anche sul nuovo esecutivo. Nell'Udr anche Rocco Buttiglione ha digerito male il veto sul suo nome al ministero della Pubblica Istruzione. Tra i laici, invece, Antonio Maccanico cela a malapena il disappunto: «Non me l'aspettavo». Ersilia Salvato ha, invece, rotto con Armando Cossutta, che l'ha si- Francesco Coss ga lurata al ministero di Grazia e Giù stizia, e si prepara a lasciare il nuovo Pei. Senza contare che la scella operata da D'Alema per tenersi stretto Cossutta non e stata condivisa da moiti. «La Salvato - sostiene Guido Calvi, senatore e avvocato di fiducia del Bottegone - è più solida, ha un punto di vista chiaro». «Non c'è match tra la Salvato e Diliberto sostiene Giuseppe Ayala -, meglio la prima. Comunque, se sarò confermato sottosegretario, sarò io a prendermi cura del ministro». Discoreo a parte bisogna fare poi per la Quercia. Molti sono i malumori e le proteste a malapena soffocati. Molti ritengono che il partito è sottorappresentato nel governo, che il costo della presidenza D'Alema in termini di ministeri sia stato troppo alto. I senatori sono in rivolta dato che non uno di loro è diventato ministro. «E' la prima volta nella storia», ripete un Cesare Salvi fuori di se perché ambiva ancora una volta alla Giustizia. Ieri addirittura il capogruppo dei senatori non ha voluto accettare per protesta la proposta di un'assemblea congiunta con quello dei deputati. Discorei simili, comunque, si possono ascoltare anche alla Camera, specie tra i dalemiani. 1 nervi sono a fior di pelle e gli scontenti non mancano. Tanto che ieri D'Alema è stato costretto a fare appello alla mozione degli affetti: «Le scelte sonu difficili e certe volte c'è una sommarietà ed un'inevitabile ingiustizia nel modo in cui si compiono. Ma tutti dobbiamo tener conto della posta in gioco». Le parole basteranno? Augusto Minzolini Cossiga: senza Maccanico, Berlusconicapirà che i tempi sono cambiati Ayala: se resto sottosegretario Diliberto me lo coltivo io... Francesco Cossiga Giuseppe Ayala
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