I ventìcinque paladini al rito del Quirinale di Paolo Guzzanti

I ventìcinque paladini al rito del Quirinale I ventìcinque paladini al rito del Quirinale E ROMA così ecco Scalfaro che porge il libromastro della Repubblica, e Massimo D'Alema che stringe la mano al neo-ministro/a che sùbito torna, docile, alla sua sedia. Tutto si svolge più o meno come nell'incipit del «Cavaliere inesistente» di Italo Calvino: il presidente Scalfaro somiglia allo stanco Carlomagno che domanda a ciascuno: «E chi siete voi, paladino di Francia?». E quello: «Salomon di Bretagna, sire!». Ovvero: Oliviero Diliberto, presidente, ministro di Grazia e Giustizia. «Ah, fa il Carlomagno del racconto, forza coi bretoni, mi raccomando». É Scaifaro al Quirinale: «Mi raccomando, prode Diliberto». Il prode Diliberto, del ceppo dei comunréti.jtauani, Jqrna a sedere in uh tinnire di speroni. E così via, e così via, e così via. Di nuovo, stavolta e rispetto al passato, c'è questo D'Alema passato al microscopio, setacciato, inquisito, ingrandito, santificato, sussurrato. Lui non ha modo di pronunciare i suoi famosi «disciamo» e si è dovuto beccare, arrivando, il fraterno augurio del compagno Breznev figlio, neo fondatore di un neo partito neo comunista. E poi l'articolo di fondo del «Times» di Londra che dà di fatto ragione a Berlusconi sostenendo che D'Alema non ha titolo democratico per entrare a Palazzo Chigi. E persino l'amatissimo Tony Blair, appiè ofthe eyes dei diessini italiani, e tuttavia ritratto sputato di Margareth Thatcher in pantaloni, se ne è uscito dichiarando di «non sentire un gran bisogno di vedere i comunisti nel suo governo». La chiama degli onorevoli paladini prosegue come da ferreo copione: «Chissietevoi ministro d'Italia?». Risposta: Vincenzo Visco, ministro delle Finanze, tassatore freddo e, quando posso, crudele, sire. Carlomagno-Scalfaro sorride: buonacaccia, Ser Vincenzo. Alcune croniste televisive, da tempo innamorate dell'uomo che di sé ha giustamente detto Io Sono Pur Sempre II Leader del Partito che Ha Vinto le Elezioni, piangono per la commozione e si sussurrano: quant'è bello, speriamo che duri. Passano ad uno ad uno il rito della chiama tutti i nuovi ministri e ministre, ciascuno a modo suo bello come il sole. Ecco il paladino Bassolino giurare fedeltà in splendida grisaglia e cravatta di Marinella, ottenendo oltre al reame dei Quartieri Spagnoli, Pallonetto, Vomere e Mergellina, anche la Marca del Lavoro e della Previdenza sociale. Giura, in un rosso da far impazzire i tori (per fortuna esclusi dal cerimoniale), Livia Turco, capitana degli affari sociali e sorvegliante degli sbarchi di infedeli sulle coste della cristianissima Puglia. Carlomagno sussurra: battezzarli, eccellenza, mi raccomando, specie se infanti, e consacrarli alla Vergine. E così via, e così via. Come definire dunque questo governo visto sfilare in passarella? Di sicuro soddisfa il criterio delle appartenenze, stabilite per nascita ideologica e seguendo quindi il principio del «Cuius regio, eius religio». Cioè: dipende dalla maglietta con cui giochi. Se sei del Polo, ovviamente fa schifo in blocco. Se sei rifondarolo, ci vomiti sopra, ma con straziata nostalgia. Se sei neocomunista cossuttiano, trovi sinceramente che Cossiga esprima una magnetica simpatia negletta in passato, ma recuperabile. Per chi poi ama preventivamente que- sto governo in quanto avverarsi della profezia detta «Del terzo Muro», e cioè il muro di Palazzo Chigi dopo Gerico e Berlino, è l'evento da cui datare la nuova èra. Cosa questa che già si apprezzava ieri mentre si componeva il tableau vivant della foto di gruppo di D'Alema con i suoi mitici ministri (e poi da solo con le mitiche sei ministre) e si vedeva la foto già premere per entrare nei libri di storia, nei sussidiari, negli archivi, e ingiallire nobilmente, già essudando nostalgia, come eravamo. C'era ieri, si avvertiva nella pur sonnolenta cerimonia, un'aria màstica, la brezza della prima volta dei comunisti al governo per davvero, e non sotto tutela. Tuttavia il presidente del Consiglio dava prova, nella sua,unpegnativa imitazióne di se stesso espressa con grazia nei suoi ben noti tic e cliché, di perfetto realismo e senso delle proporzioni fin da quando nella sala alla Vetrata aveva detto modestamente: «Nelle condizioni date sono abbastanza soddisfatto». Abbastanza, perché D'Alema non bara. Era contento, ma con trattenimento dell'euforia, molto, troppo impegnato ad esprimere la sua ossessiva normalità, senso di responsabilità e sottotono. Al momento del giuramento gli abbiamo visto la stessa espressione dei momenti solenni della sua vita nel partito, quando era segretario della Federazione giovanile comunista e aveva i capelli più lunghi e più neri e andava a Cuba con i compagni comunisti romani, tutta gente di umorismo freddo e sarcastico, di quel particolare freddo sarcasmo dei romani di Monteverde (per intendersi: area Nanni Moretti, Paolo Flores e Beniamino Placido). Quando andò a Cuba era ambasciatore l'attuale senatore cossighiano Saverio Porcari, allora considerato da D'Alema un rispettabile reazionario e oggi il prezioso alleato che ha presieduto discretamente alla ricucitura con Cossiga, l'uomo nero «inquietante e pericoloso» prestamente ri-legittimato e incoronato Optimus et Super Partes. D'Alema ostentava ieri una dubitabile ostentazione di serenità informando di aver avuto il tempo e la voglia di vedersi la partita della Roma. E si dichiarava ostinatamente calmo, come e più del principe di Condé prima, durante e dopo la celebre battaglia di Rocroi. Contro ogni evidenza e notizia, ma facendo il dover suo, ha sostenuto che non c'era stata per il governo alcuna ressa, zuffa selvaggia, degradazione, lottizzazione. Giusto un pomeriggio, per formare un governo di coalizione, il tempo di un tè, o di una partita a scala quaranta. Tuttavia la sua voce aveva un timbro arrochito. La rissa c'era stata, con la sua scia di odi, vendette, morti e feriti: Buttiglione tramortito per il trattamento subito ha mormorato un amaro soliloquio: «Lusingato: un tal veto mi fu opposto da far di me una persona ben più importante di quanto immaginassi». A parte la presenza delle sei donne, per le quali i notiziari hanno inflazionato l'aggettivo «rosa», faceva dunque impressione ieri mattina al Quirinale la mescolanza di origini e culture diverse, opposte, bizzarramente impolpettate nell'e- secutivo più pazzo del mondo, e più visto nel mondo: Cnn, Bbc e tutte lgniù grandi televisioni europee é mondiali hanno mostrato una nuova serie di «Italian moments» così diversi, così asimmetrici rispetto ai noiosissùni Paesi normali. Da notare, come massimo evento di colore, il lapsus della signora Laura Balbo, sociologa, che giura come ministro alle Pari Opportunità, dimenticandosi di firmare, tosto richiamata al dover suo fra affettuosi sorrisi. Giuliano Amato era un caso a parte. Si vedeva che era di casa e si sentiva un fremito nella sua voce. Qualche parola potrebbero al massimo meritare i vestiti delle signore Rosa Russo Jervolino (sulla poltrona che fu di Sceiba e dello stesso Scalfaro) e di Rosaria, detta Rosy, Bindi. Entrambe in mi terrificante marrone. Quello del ministro degli Interni con colletto in vellutino, da domenica alle corse. Fra i personaggi si notava, impeccabile, baffo di ferro, sorriso professionale, l'onorevole Salvatore Cardinale (tenete a mente questo nome) eletto in Forza Italia ed ora udierrino ministro delle Poste e telecomunicazioni; sarà lui a vedersela con gli affari di Mediaset: il suo ministero viene considerato in questo momento formidabile quando e forse più della Difesa altidata al nobile Scognamiglio, intellettuale e imprenditore settentrionale. Giurano senza tradire emozione. Non si sentivano grida, ieri. Il fragore, attraveiso agenzie di stampa e telefonate, veniva da fuori. Ecco Bertinotti, in sintonia con Berluscoiù: «Avete tradito il mandato degli elettori». Ecco Ersilia Salvato in stato di malore per l'esclusione dal ministero ed ecco eli nuovo il professor Rocco Buttiglione che sussurra gelido: «Capisco ora come mai gli italiani abbiano concepito un odio così profondo per la Democrazia cristiana». Il retroscena della sua vicenda merita qualche riga. Ieri mattina all'alba Buttiglione è andato a casa djjCossiga, dopo aver passato mia notte ad occhi sbarrati mentre tutti i suoi compagni dell'Udr, Picconatore in testa, avevano spento i cellulari. Soltanto alcuni cronisti parlamentali io avevano mantenuto a contatto con la realtà raccontandogli come si svolgeva la notte dei lunghi coltelli in cui sarebbe stato sacrificato: niente ministero della Pubblica Istruzione per lui. Ha bussato a casa Cossiga «costernato e imbarazzato». E quando il filosofo candidato indirettamente dal Papa ha chiesto di poter almeno indicare il membro del Cdu da mandare al governo al posto di Folloni, passato sotto le bandiere di Mastella, Cossiga gli ha detto di sì. Allora, racconta il professore, lui stesso ha formato il numero e ha passato il telefono a Cossiga affinché comunicasse il nome scelto da Buttiglione. Cossiga lo ha esaudito: «Dobbiamo fare una piccola variazione...», poi ha accompagnato alla porta Buttiglione che pochi minuti dopo si è trovato nuovamente beffato. Commento del filosofo: «Comunque, non me ne andrò dall'Udr. Ho già spaccato mi partito e nella vita basta e avanza». Paolo Guzzanti Mai un gruppo di uomini e donne dalle origini tanto diverse aveva giurato insieme davanti al Presidente Il premier calmo come il principe di Condé alla battaglia di Rocroi «Vista la situazione sono soddisfatto»

Luoghi citati: Berlino, Cuba, Francia, Gerico, Italia, Londra, Puglia, Roma