Il Circo dei destini capovolti di Stefano Mancini

Il Circo dei destini capovolti «Uno spettacolo itinerante che li aiuterà a superare le barriere del proprio corpo» Il Circo dei destini capovolti Paride Orfei porta i disabili sotto il tendone IL CASO UN GIOCO COME SFIDA PORDENONE DAL NOSTRO INVIATO Signore e signori, questo è il circo. Emanuele, giocoliere ai piatti cinesi; Vania, mangiafuoco; Susanna, fachira; Stefano, Patrizia, Dino, Barbara, clown; Paride Orfei, ultimogenito ribelle di Paolo, il patriarca di una dinastia di circensi, direttore. E' un circo un po' speciale: Emanuele, Vania, Stefano, Patrizia, Dino e Barbara vivono su una sedia a rotelle. Susanna invece cammina, a dispetto dei medici che le avevano previsto un futuro di immobilità dopo l'ictus che l'aveva colpita alcuni anni fa: cammina sui cocci di vetro e sui chiodi, perché così stabilisce il copione dello spettacolo che il gruppo «Noi Artisti» sta provando a San Vito al Tagliamento (Pordenone), nella palestra dell'associazione «La Nostra Famiglia». La sfida: dimostrare che un disabile può imparare esercizi di alta coordinazione o divertire facendo il pagliaccio, partecipare a un gioco di prestigio o realizzare musiche e coreografie. E strappare applausi veri, senza pietismi. Divertirsi e far divertire. «Ognuno dà qualcosa, secondo le proprie capacità. Sarà uno spettacolo autentico di arte varia, come nella mia tradizione», assicura Paride Orfei, che assieme alla moglie Emanuela, e ai cognati Mariangela e Raniero, dirige allenamenti e prove. Ai loro ordini, una cinquantina di disabili, fra i 20 e i 50 anni, colpiti da malattie invalidanti o vittime di traumi. Venti di loro saranno in pista a confrontarsi con il giudizio del pubblico, gli altri lavoreranno all'allestimento. Si ritrovano in palestra il lunedì e il venerdì. I giocolieri si esercitano con le palline da tennis, due alla volta per cominciare e prendere dimestichezza. Entro un paio di mesi dovranno passare a tre o quattro, perché la «prima» è prevista per Natale a Padova. Cocci di bottiglia e tappeti da fachiri vengono provati, i clown ripassano il copione. «A me tocca l'esercizio dei piatti cinesi - dice Emanuele -. E' una sorta di contrappasso, perché mi piace mangiare e devo stare a dieta». I piatti roteano in equilibrio su una punta di acciaio. Poi l'esercizio si complica, ci sono bicchieri, e cucchiaini che nei bicchieri devono andare a finire dopo una piroetta in aria. Roba da circo, insomma. Ugo lavorerà a un gioco di prestigio: chiuso in un sacco con tanto di carrozzina, riuscirà a uscirne e scambiarsi con Orfei in tre secondi. A Stefano toccherà la prima scena. Buio in sala, musiche da «Luci della ribalta», fa- ro puntato su un tavolino dove lui si sta truccando da clown. La prova fila via senza intoppi e Stefano decide di tenersi il viso colorato: «Stasera a casa voglio che mi vedano così». Poi Giovanna racconta la favola di Muso, bambina in carrozzella che dopo tanti anni tristi trova l'amicizia di un gruppo. E il gruppo si materializza sul palcoscenico. Paride Orfei vigila. «Ho accettato questo progetto perché al mio paese, a Salgareda, mi sento un handicappato anch'io - racconta -. Per tutti sono uno zingaro, quindi poco raccomandabile. Con il nostro spettacolo spero di portare un messaggio positivo. Quando nel '92 ho fatto per primo il circo senza animali, gli altri Orfei mi hanno attaccato. Voglio vedere se avranno il coraggio di criticarmi anche adesso». L'incontro tra Orfei e i disabili risale all'inizio dell'anno. Il primo passo lo fa Elisabetta Gaiatto, fisiatra, referente in Italia di un sistema di riabilitazione ideato in California: il Move. Secondo il Move (sigla dall'inglese per «opportunità di movimento attraverso l'apprendimento»), la rieducazione del disabile deve sfruttare tutti gli ambiti dell'esperienza, come casa, scuola, lavoro e anche il mondo dello spettacolo. «Queste persone hanno difficoltà a comunicare sia con le parole sia con i gesti - spiega la dottoressa Gaiatto - e sentono in modo particolare l'importanza dell'amicizia, che da sola può dare significato alla vita e far tirare fuori la grinta per affrontare le prove più difficili». Aiutati da familiari, amici e volontari, i cinquanta disabili che oggi si danno al circo, nei mesi scorsi hanno cominciato a sperimentare modi di comunicare: si sono incontrati con regolarità, hanno scritto racconti e canzoni e alla fine hanno deciso di cimentarsi in una sfida vera. «Siamo noi, Noi Artisti, pronti a tutto. Il nostro sogno non vogliamo cederlo a nessuno». Più che un manifesto, è un imperativo. «Credo che la gente del circo abbia una capacità di dare la carica che nessun fisiatra possiede - aggiunge Elisabetta Gaiatto -. Paride e il suo gruppo hanno saputo realizzare la magia e a fianco di medici e terapisti sono riusciti a tirare fuori il massimo di potenzialità da ognuno. E' questo il senso del Move, che parte dai desideri individuali e su quelli costruisce il percorso riabilitativo». Il ricavato degli spettacoli sarà devoluto in Tanzania a una scuola di sartoria per adulti poliomelitici e in Cambogia a un centro che applica protesi ai bambini mutilati dalle mine antiuomo. «Faremo uno spettacolo itinerante - promettono i protagonisti -. Andremo dove le altre associazioni di disabili saranno pronte a lavorare con noi, tutte assieme». Dopo Padova, potrebbe essere una città estera. Orfei parla di Ginevra, di tournée in Francia, Belgio e Lussemburgo, «dove c'è più cultura dei disabili». La dottoressa Gaiatto sogna di riportare al circo, da protagonisti, gli artisti invalidi. Cantava Guccini: «Realtà capovolta, mondo di uguali perché tutti strani». Signore e signori, questo è il circo. Stefano Mancini Sotto, Paride Orfei e uno dei disabili che si esibirà nel circo travestito da clown