« Veltroni leader? Scelta verticistica » di Cesare Martinetti

« Veltroni leader? Scelta verticistica » Malumori nella Quercia per la staffetta a Botteghe Oscure senza coinvolgere il partito « Veltroni leader? Scelta verticistica » Però non ci sono candidature alternative Altre critiche a Cossiga: disarticola l'Ulivo roma DAL NOSTRO INVIATO Dice Lanfranco Turci dell'ala pragmatica emiliana - e super dalemiana - che «un partito non si guida per simpatia umana, ma su una linea politica». E invece questa staffetta D'Alema-Veltroni al Bottegone assomiglia un po' troppo ad una faccenda che si risolve tra vecchi amici: io vado là, tu vieni qua. E il partito? Quello di cui Veltroni non ricordava nemmeno il nome e di cui diventerà segretario? «E' in sofferenza». Anzi: «Va incontro alla distruzione». Mauro Zani, un altro dalemiano di feiTO, nasconde dietro gli occhiali neri il suo giudizio: «Veltroni segretario? La proposta non è stata fatta. Credo che tocchi al segretario attuale proporla in direzione e che poi se ne debba discutere». Ma il suo sentimento verso l'ipotesi di Walter Veltroni capo dei Democratici di sinistra? «Un buon sentimento». Buono? Ottimo, così tanto che non se ne parla nemmeno. Sotto la pelle del partito che D'Alema ha costruito nel suo laboratorio come un partito sicialdemocratico assemblando pezzi sparsi e dispersi della sinistra, corre qualcosa di sinistro. Questo non vuol dire che ci siano candidature alternative a Veltroni. Persino uno della gauche come Alfiero Grandi dice che Veltroni va bene con un giro di parole lapalissiano: «Meglio una soluzione autorevole che una debole». Ma è il modo in cui avviene la staffetta che non va perché assomiglia un po' troppo a una questione privata tra due leader che si scambiano di ruolo. Il disagio è forte tra i dalemiani che fanno al loro leader la stessa accusa di chi dalemiano non è: verticismo, so- laudine, mancanza di democrazia. Come dice Turci «io sono iscritto a un partito, non a un esercito dove si deve obbedire». Alle 15,30, alle Botteghe Oscure, è andata in scena un'altra di questa rappresentazioni un po' tetre: la direzione del partito (170 persone) riunita per dire sì alle linee programmatiche del primo governo presieduto dal segretario del maggior partito della sinistra. «Linee» che D'Alema aveva già discusso - e approvato per conto suo - con gli altri partiti della coalizione senza che mai la direzione dei Ds sia stata chiamata a discuterne. La direzione ha approvato le «linee». Tutti (ma non si sa quanti perché il conto non è stato comunicato) favorevoli, eccetto 10 astenuti. E cioè tutti e dieci gli esponenti della sinistra presenti. Interventi scarsi e sbrigativi. Quasi tutti critici e intenti ad ascoltare il fragoroso silenzio dei dalemiani. L'unico ad aver espresso entusiasmo militante è stato il segretario regionale dell'Emilia, Matteucci: «Nel partito emiliano c'è adesione a questa sfida, partecipazione intelligente, trepidazione per l'importanza del momento». Ma Salvatore Vozza, napoletano, uno della sinistra, ha dato voce al disagio certamente più esteso della piccola corrente (quindici persone): «Nella soluzione della crisi era proprio necessario spingerci fino all' accordo con Cossiga?». Naturalmente nessuno ha messo in discussione che si debba votare a favore del governo D'Alema, nemmeno la sinistra. Ma, ha detto Vozza, «la direzione non è stata nemmeno riunita, non c'è stata nemmeno una discussione sul tipo di maggioranza». E Famiano Crucianelli: «Siamo qui a ratificare, il dado è già stato tratto, in questo partito è impossibile discutere». Si tirava su Cossiga, per denunciare il rovesciamento di linea che questo governo rappresenta avendo Cossiga come suo obbiettivo dichiarato la «disarticolazione» dell'Ulivo. E in fondo la discussione anticipava e celava sottotraccia quella che potrebbe esserci per il cambio di segreteria. Una mimica così evidente che Gavino Angius, fedelissimo di D'Alema, s'è sentito in dovere a un certo punto di attaccare un «certo ulivismo» come «malattia infantile della politica italiana». A chi si riferiva? Il punto di vista degli ulivisti lo ha recitato Claudio Petruccioli: «Nell'impossibilità di imboccare la via delle elezioni, la costituzione di un governo guidato dal leader del partito di maggioranza relativa corrisponde a uno "stato di necessità"». Detto questo, Petruccioli è andato giù duro: «L'Udr pone problemi seri», questa soluzione della crisi «apre varchi al potere partitico», per la seconda volta ci sarà un governo sostenuto da una maggioranza «difforme dal risultato elettora¬ le». Il disegno di Cossiga era spaccare l'Ulivo, «Prodi era l'ostacolo» a questo disegno. Eliminato. A «chi sarà scelto» per la guida del partito, toccherà rilanciare l'Ulivo e le ragioni di quel progetto. Che è proprio il contrario del presupposto politico che ha portato D'Alema a Palazzo Chigi. Walter Veltroni ha assistito silenzioso alla cerimonia della sbrigativa riunione della direzione. Poi, hanno fatto sapere i suoi, è andato al ministero dei Beni Culturali dove gli è arrivato un messaggio da Renzo Piano e una telefonata da Bernardo Bertolucci dall'identico significato: «Resta al governo». D'Alema, invece, non s'è nemmeno visto in direzione. Verrà tra un paio di settimane, da presidente del Consiglio in carica, a suggerire al suo partito il nome del suo successore: Walter Veltroni. Che ha già proposto a Pietro Folena, un dalemiano, di fargli da braccio destro. Cesare Martinetti Il futuro segretario avrebbe già proposto al dalemiano Pietro Folena di fargli da braccio destro Ma la sinistra del partito si è astenuta sul via libera al programma del governo Il vice presidente del Consiglio uscente e candidato alla segreteria del pds Walter Veltroni con Giovanna Melandri

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