E alla fine Wojtyla fece gli auguri a D'Alema

E alla fine Wojtyla fece gli auguri a D'Alema E alla fine Wojtyla fece gli auguri a D'Alema Lm ROMA m AVVENIMENTO era in fondo una semplice visita di Stato, ma si è trasformato in una straordinaria vetrina politica, un inatteso bestiario nel quale si sono visti i nobili in auge (Clemente Mastella che accompagnava Massimo D'Alema come Beniamino Franklyn faceva con George Washington) e nobili decaduti dell'Ancien Regime, come Arnaldo Forlani, che Di Pietro volle giustiziare di persona a Milano. E poi le rosse cappelle cardinalizie, la curia, i prelati, il fotografo personale del Papa che scorrazzava con macchina e baffetti, fra inchini, densi brusii di politici riuniti sotto un'unica volta, compunti, cerimoniosi e mentalmente e telefonicamente immersi nel cruciverba delle loro menti: l'organigramma del governone del centro-sinistra di centro-destra aperto all'ultrasinistra. Sullo sfondo, Sua Santità. Serafico e, nella sua pompa di vesti dorate, laicissimo. Accanto a lui un presidente Scalfaro che si sforza di sorridere malgrado lo scherzo di Cossutta, ferocemente replicato in televisione da Striscia. Scalfaro che è supercattolico, che venera la Madonna ad ogni passo, ma che ieri era anche lui laicissimo, un peroratore della libertà dello Stato nelle sue decisioni, in totale armonia e stato di reciproco rispetto con Santa Madre Chiesa. Fuori, piove. Dentro, i corazzieri in grisaglia e cravatta con l'auricolare sembrano angeli maneschi e rispondono ad una radio-autorità superiore, irreale. Il Pontefice aveva davanti a sé l'intero parterre della politica italiana, la parte vincente, arrivata al giro di boa, non si sa se di bolina o di giardinetto. E quindi i discorsi ufficiali, formali, in cui devi badare al sodo per non perderti nei salamelecchi e nei ghirigori. Che cosa hanno detto? Il Presidente della Repubblica, sfronda sfronda, ha detto: caro Papa, qui Stato e Chiesa sono cose diverse e se noi facciamo un governo con D'Alema, primo, puoi fidarti; secondo: sono fatti nostri. E il Papa, sfronda sfronda, ha replicato: caro Presidente, fate un po' come vi pare perché se voi siete laici in casa vostra, io non lo sono di meno. Ma se volete andare d'accordo con noi cattolici dovete dare alla scuola privata pari dignità di quella pubblica. Altro momento storico quando tutti i dignitari, in fila indiana e per ordine d'altezza di nomenklatura, vanno a dare o baciare la mano al Papa. Ci tengono più o meno tutti a farsi vedere a colloquio con lui. Così Cossiga mostra la sua consuetudine (e il vecchio polacco annui- sce, sorride). Così fa Violante. E così fa Massimo D'Alema, il primo ministro, ancora crisalide, che gli ha parlato. Un inchino, un sorriso, Giovanni Paolo n ha detto grazie, D'Alema ha aggiunto qualcosa, il Papa ha mosso appena la bocca. Si è poi saputo che Giovanni Paolo n ha fatto gli auguri a D'Alema dicendogli: le auguro un buon lavoro per il proseguimento della sua fatica. Questo l'incontro tanto atteso. Poche parole. Ricordava quello del Barone Cosimo di Rondò nel romanzo di Calvino, quando Napoleone va sotto il palo della libertà dove il barone rampante si era appollaiato, e tutti si aspettano grandi discorsi e invece tutto si riduce a poche parole. La storia va così. Altre notazioni storiche: Francesco Cossiga è entrato ed è andato diritto sparato a salutare per primo Massimo D'Alema e i due si sono stretti le mani, scambiati sorrisi e altri segni di pace, sicché si è verificata l'auto-profezia del Picconatore quando un angelo sardo gli disse: Un giorno tu sarai il padre e la guida del segretario di Botteghe Oscure. E lo porterai al governo. E sarai riconosciuto e adorato da scribi, farisei, filistei, neo-comunisti, popolari, diniani, repubblicani, avanzi di socialisti e democratici di sinistra e di loro tutti farai un solo po¬ polo. Mentre il Pontefice camminava tremando col bastone alla volta del Presidente della Repubblica, tutti, giornalisti e politici, a sussurrare nei telefonini organigrammi di governo, tanto che la sala della Regina sembrava la sala corse. Il Papa chiedeva leggi giuste per garantire la libertà, limitare gli aborti e scongiurare l'eutanasia, e il tuo vicino sbraitava a bassa voce: «La Bonino al governo e Prodi a Bruxelles?». Poi un autorevole giornalista d'agenzia illustra l'ultima leggenda biblica sul ruolo di Cossiga: l'ex Picconatore avrebbe un piano astutissimo, che sembra uscire dai manuali dell'organizzazione «Stay Behind»: entrare nella terra degli infedeli per poi «esfiltrare», cioè far evadere e ricondurre a casa, tutti i cattolici confluiti a sinistra e riportarseli via di notte coperti di pelli di pecora. Il Papa intanto varia il discorso ufficiale e ricorda con tenerezza la sua gioventù, quando passava tre volte al gi imo per via del Quirinale. Ma intorno a lui si condensa nei sussurri la profezia corretta, contrordine compagni, Cossiga in realtà non vuole affatto far fuggire i cattolici dalla coalizione di sinistra, ma al contrario: provocare l'esodo in senso inverso e fare arrivare cattolici a pioggia, come gli ebrei in Israele, e una volta infiltrati, zac, togliere la sedia sotto D'Alema che però non è uno sprovveduto e prende le sue contromisure convocando tutte le anime comuniste e post comuniste sotto un unico vessillo, e così via, sogni, chiacchiere, organigrammi e complotti a volontà, a ruota libera, nelle ore in cui si fa e si disfa il governo che ancora non c'è. Dev'essere stata davvero ima giornata piovosamente storica, con i suoi dragoni, i suoi lancieri, gli avieri, i marmai, ì giornalisti, i popolari, i post comunisti, i cardinali, il presidente della Corte Costituzionale, gli immortali, i quasi estinti, i nascenti. Il Papa ha fischiettato gli inni, distrattamente, come uno scolaro. La sua intelligenza risaltava dal gioco delle mani sulla sua faccia, dall'ironia talvolta sonnolenta di chi ci sta perché ci deve stare, mentre coire voce che il patto sarebbe nientemeno che a tre: Cossiga, D'Alema e Berlusconi. Ma va', dice uno. Ma sì, fa l'altro: i primi due governano e garantiscono il terzo dai giudici. Riprende a piovere, dopo imo squarcio di sole, e i giornalisti, creature accidiose, quando piove sono costretti a bagnarsi. Ai servi della cronaca il cerimoniale riservava un recinto per pecore all'aperto. Poi tutti concentrati sulle scale per un quarto d'ora come in un film catastrofico; quindi esiliati in t'ondo alla sala affinché rigorosamente non vedessero nulla. Chi stava a casa, e guardava la televisione, ne sapeva di più. All'una tutti vanno a casa, chi a Roma, chi nello Stato amico e limitrofo oltre Tevere. La truppa manovra sulla piazza e i corazzieri vengono come sempre applauditi da un centinaio di curiosi inumiditi. Le macchine escono e si vede Visco aggrondato, Prodi come un impresario di pompe funebri, Cossiga felice, D'Alema organizzando pensieri e nomi, le guardie salutano, si sente qualche tacco sbattuto, molti spariscono dietro vetri azzurrati. Il Papa se ne va con quella sua aria da papa polacco, un po' divertito e un po' perplesso, l'aria di chi non ha capito o di chi ha capito troppo. Paolo frizzanti

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