Gli sberleffi di Beardsley

Gli sberleffi di Beardsley Londra, una spettacolare mostra ricorda il centenario del più sovversivo disegnatore dell'epoca vittoriana Gli sberleffi di Beardsley Scandalose figure in bianco e nero MLONDRA ICA per niente gli hippy del 1967 trasformarono Aubrey Beardsley nel loro gu ru, responsabile degli svolazzanti jabot al collo dei Rolling Stones: dopotutto, le visioni in bianco e nero dell'artista avevano ben seminato la sovversione nella Londra di fine Ottocento. Le sue donne-pavone (vamp che fluttuavano a mezz'aria inturbantate e imparruccate oppure camminavano di notte da sole a testa alta), i maschi ambigui, i fiori pericolosamente sinuosi, gli dèi mitologici lascivi come i tiranni biblici, erano tutte creature d'inchiostro nate per schiaffeggiare i borghesi con la loro perversa opulenza. Il Victoria and Albert Museum, che lanciò la moda ispirata a Beardsley con una sensazionale retrospettiva nel 1966, oggi riprova a lasciare il segno sul costume con un'altra spettacolare mostra (che prosegue fino al 10 gennaio) per ricordare i cento anni dalla morte. Allora, trentadue anni fa, la Beardsley-mania aveva reso sommamente desiderabili gli uomini femminei alla Brian Jones che, pace all'anima sua, sembrava uscito pari pari da Under The Hill; cioè Sotto il monte, o la storia di Venere e Tannhauser, l'unico libro erotico di cui Beardsley realizzò sia il testo letterario sia le illustrazioni, uscito postumo in Inghilterra, sottoposto a molte censure. In Italia fu pubblicato da De Donato nel 1970. Quella mostra del '66 intanto aveva contribuito ad allungare i ricci sulle nuche di ambo i sessi e a ricoprire i torsi della generazione del baby boom con giacche di velluto, colli settecenteschi, cappe e trine. Si può dire che Beardsley abbia dato esteticamente ima mano alla rivoluzione sessuale, benché lui stesso la abbia più prefigurata con la penna che vissuta in vera promiscuità. H profilo provocatoriamente adunco di Beardsley, morto a 25 anni nel 1898, fustiga da cent'anni i benpensanti. Quel naso insolente era quasi un'arma dell'artista, come le sue ossute mani di tisico dalle quali uscivano linee pure, figure talmente fantastiche e gratuite da far venire il nervoso persino a Oscar Wilde che avrebbe preferito disegni più direttamente ispirati al testo della sua Salomé. Beardsley ha avuto una parabola artistica degna di una rock star, a cui si addice morire prima dei trent'anni e famigerati: dopo aver scandalizzato la robusta virginalità dei suoi ex mentori preraffaelliti, ha finito i suoi giorni lavorando per l'esteta e pornografo Léonard Smithers. Non era solo lo stile di Beardsley a inquietare i suoi contemporanei. Erano i contenuti: grotteschi, parodici, sexy. Il suo dono dello sberleffo blasé gli costò l'amicizia di Edward Burne-Jones, il decano dei preraffaelliti che aveva preso sotto la sua ala protettiva il diciottenne Aubrey dal giorno in cui si era presentato a casa sua con l'inseparabile sorella Mabel e un fascio di disegni sotto il braccio. Ma l'integro Burne-Jones non era preparato né a lasciare che Beardsley restasse un disegnatore in bianco e nero (avrebbe voluto che traducesse tutto in dipinti), né al senso di irridente depravazione che cominciò a trasudare dalle illustrazioni ancora prima che il ragazzo avesse finito la sua prima commissione, La Morte d'Arthur. Questo era un vero e proprio testo sacro per i preraffaelliti vecchio stampo come Burne-Jones e William Morris. Beardsley aveva cominciato a disegnare con l'accanimento di un giovane deciso a sfondare e si era ritrovato con uno stile che cambiava a vista d'occhio sulla carta, per diventare via via più cinico e sessualmente ambiguo. Le stampe giapponesi, specie quelle erotiche di Utamaro che Aubrey si divertiva ad appendere in camera da letto per far arrossire i suoi ospiti, diventavano sempre più cruciali nel suo sviluppo. La cipria e i merletti del Settecento europeo si fusero in lui con l'ambiguità e la stilizzazione del Giappone. Beardsley mordeva il freno. In pochissimo tempo, passò dal preraffaellismo fiammeggiante del Sigfrido (che Burne-Jones, con l'orgoglio di un padre, teneva in bella vista nel suo studio) alle illustrazioni per Salomé, così perversamente belle da metter paura. Il suo ritratto della principessa adolescente che con voluttà mostruosa fa tagliare la testa del Battista soltanto per baciarla è sconvolgente oggi come lo era allora. Non per niente oggi molti fumettisti, abituati a rappresentare la violenza in modo molto più grafico e rivoltante, considerano Beardsley un maestro capace di prenderti alla gola con la bellezza. Le famose «donne di Beardsley» diventavano nel contempo sempre più fatali: The Black Cape, l'eccentrica mantella nera, The Peacock Skirt, la gonna di pavone, e la copertina del pericoloso Yellow Book raffigurante ima signora guantata e incappellata che compera libri in piena notte, capovolsero attiva- mente i ruoli sessuali. Il Yellow Book, pubblicato nel 1895, consolidò la controversa reputazione di Beardsley, ma la condanna di Oscar Wilde la tramutò in infamia nello spazio di una notte. Improvvisamente, due degli autori più ((rispettabili» della casa editrice Bodley Head, di cui Beardsley era ora anche un curatore, chiesero la sua testa di «decadente». Licenziato in tronco e caduto in disgrazia, Aubrey si ritrovò sempre più malato e senza soldi. Fu così che rispose all'offerta dell'editore «proibito» Léonard Smithers, una curiosa figura di dotto semiclandestino. Per lui produsse la serie oscena di Lisi- strata, i cinque soggetti tratti da Giovenale e Luciano e Volpone, cioè «lo splendido peccatore» che a suo dire, con la sua bellezza e furbizia, rappresenterebbe le «nazioni latine». I mesi finali della vita di Beardsley rivelano la sua più grossa contraddizione. Stretto fra i due amici (e finanziatori) Marc-André Raffalovich, un facoltoso ebreo russo convertitosi al cattolicesimo che voleva la sua «salvezza spirituale», e il gaudente Smithers, Aubrey trovò il modo di tenersi in bilico. Finché la conversione e l'agonia della morte non lo spinsero a inviare un'estrema let¬ tera a Smithers per implorarlo di «distruggere tutti i disegni osceni». C'è chi vi ha visto la mano della mamma, tesa a preservare la reputazione postuma di Aubrey; c'è chi invece non riesce a conciliare quest'ultima invocazione con il suo celebre detto: «Mio caro, nelle mie condizioni la castità può diventare un'abitudine, ma mai un gusto acquisito». Anche in questa battuta, certo, Beardsley aveva più stile degli hippy dell'«estate dell'amore». Il suo bianco e nero abbaglia persino i colori della psichedelia. Maria Chiara Bonazzi La cipria e i merletti del Settecento europeo si fusero in lui con l'ambiguità e la stilizzazione del Giappone \ Autoritratto di Beardsley; a destra un'illustrazione da «Salomé»

Luoghi citati: Giappone, Inghilterra, Italia, Londra