Troppi miliardi con il Superenalotto. Il Viagra uccide la fantasia

Troppi miliardi con il Superenalotto. Il Viagra uccide la fantasia AL GIORNALE Troppi miliardi con il Superenalotto. Il Viagra uccide la fantasia E lo Stato dispensa fortune Sono esterrefatto all'idea che a una sola persona, seppur bisognosa, vadano decine di miliardi messi in palio dal Superenalotto. Cosa se ne farà, ad esempio, di oltre venticinque miliardi, si comprerà venticinque case? Avrà la capacità di amministrarli per bene? Non basterebbero molti di meno? Lo Stato dovrebbe abbandonare le vesti di ottuso dispensatore di fortune ed emanare una legge che stabilisca che in qualsiasi lotteria non si possano vincere più di tot miliardi e che il resto vada automaticamente utilizzato ad esempio nell'istituzione di borse di studio, nell'assistenza ai profughi, nell'assistenza alle popolazioni povere dell'Africa, nell'aiuto alle associazioni che si occupano dei drogati. Anche se dalle lotterie lo Stato ha già il suo tornaconto e dichiara di destinare i miliardi del lotto per le opere d'arte. Sembra che proprio nessuno si ponga questo problema: i media sono tutti intenti alla caccia al vincitore, a dichiarare fortunata una data regione piuttosto che un'altra, senza chiedersi se per caso non si stiano sprecando montagne di soldi. Aureliano Dughera Torino dughera@tin.it Quella pìllola crea nuove angosce Grazie all'ultima pillola, che dà fiducia in se stessi (La Stampa del 5 ottobre), forse i timidi dimenticheranno le loro angosce, ma c'è da temere che tanti altri comincino a soffrire. Infatti, anche se è vero che di solito gli imbecilli sono già supersicuri per natura (e, come disse qualcuno, a differenza dei malvagi, non riposano mai), se decidessero anch'essi di usare quella pasticca, chi ci salverà da loro? Lele Bonariba, Tortona Un tempo erano ostriche e champagne E' arrivato ufficialmente anche in Italia il Viagra. Ci attendono periodi di sesso forte e continuo. Condizionati da tecniche fortemente innovative che ci privano di sogni e di fantasia. Un tempo erano ostriche e champagne, tartufi bianchi d'Alba e piatti raffinati, corteggiamenti discreti e omaggi di fiori, profumi e atmosfere... Quanto abbiamo perso in libertà e improvvisazione! Massimo Martinelli La Morra (Cuneo) Cassa obbligatoria per gli infermieri Sono un'infermiera professionale lavoratrice dipendente. Come tutti i miei colleghi italiani ho ricevuto nei giorni scorsi una serie di moduli dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza IPASVI, recentemente istituita in base al Decreto Legislativo n. 103 del 10 febbraio 1996. Non ho nulla da eccepire sulla possibilità degli infermieri liberi professionisti di iscriversi ad una cassa previdenziale autonoma, sennonché risulta essere obbligatoria l'iscrizione a questa cassa e non c'è possibilità di scegliere, in pratica finito il monopolio statale, ora abbiamo un monopolio privato. Inoltre la stessa legge impone agli infermieri che non sono obbligati ad iscriversi (cioè i lavoratori dipendenti come me), di restituire un atto notorio in cui dichiarano" di non esercitare la libera professione, pena l'iscrizione d'ufficio alla cassa con relativo onere di versamento di svariati milioni all'anno. Come sempre, in Italia, il cittadino viene trattato come un essere non pensante che deve dimostrare «di non». Non dovrebbe essere che se io ho l'obbligo legale di fare una cosa mi devo attivare e in caso contrari non devo fare nulla? Se non mi attivo nonostante l'obbligo, allora dovrebbe scattare la «punizione». Chiaramente, considerato che è una legge dello stato, restituirò l'atto notorio e lo farò con lettera raccomandata A.R. (con la spesa e la perdita di tempo che comporta), in modo da essere sicura che sia ricevu- ta dall'Ente di Diritto Privato di cui sopra, sperando che non si perda tra le oltre 300.000 dichiarazioni che riceveranno, tanti sono gli infermieri professionali in Italia. Però ritengo per l'ennesima volta di essere non già un cittadino di un paese civile, ma un suddito che deve continua¬ mente stare all'erta per non subire fregature dal proprio sire e mi dispiace constatare che con il governo di centro-sinistra le cose non sono cambiate. Orietta Basso Mondovì (Cuneo) orietta.basso@email.isiline.it Tempo e denaro per fiumi e boschi Come cacciatore e pescatore, desidero rispondere alle osservazioni del sig. Francesco Dell'Andrea che contesta l'ormai consueta abitudine, da parte dei pescatori, di rilasciare la maggior parte dei pesci pescati e, con il tipico estremismo degli «ambientalisti» della domenica, sostiene che tanto varrebbe somministrare al pesce la «classica bastonata sulla testa» o, in alternativa, chiudere la pesca. Tale tecnica consente di salvaguardare una percentuale enorme del nostro patrimonio ittico (i pesci trattenuti sono soltanto i più grossi o comunque quelli che non rischiano l'estinzione, come il luccio). Recandosi in Paesi come la Scozia, il sig. Dell'Andrea si renderebbe conto del fatto che tale comportamento produce effetti benefici anche dove la caccia e la pesca sono molto più radicati che in Italia. Provi poi a verificare chi sono coloro che spendono tempo e denaro per la pulizia dei fiumi e dei boschi e per la protezione della fauna in difficoltà. Sarà sorpreso nello scoprire che la maggioranza sono cacciatori e pescatori, mentre i «protezionisti» si limitano a lanciare invettive o, al più, ripuliscono dalle siringhe il parco cittadino. Enrico Garelli, Torino Tutti hanno diritto a essere curati bene La lettera del dr. Riccardo Ponzone pubblicata il 16 ottobre ricorda l'egoistica menta¬ lità ottocentesca dei medici anglosassoni che si battevano per l'assoluta privatizzazione della loro attività, senza pensare che anche i meno abbienti hanno il diritto di essere curati. Questo diritto è stato recepito dall'articolo 32 della nostra Costituzione; una sanità pubblica di buona qualità e a costi accessibili è pertanto un diritto del cittadino e non una concorrenza sleale nei confronti dei medici libero-professionisti che devono scegliere se lavorare per lo Stato o in proprio. Si preferirebbe un sistema del tutto privatizzato com'è quello degli Stati Uniti, dove praticamente il diritto alle prestazioni mediche spetta solo a chi è in grado di pagarsi un'assicurazione onerosa? Del resto anche da noi nessuno vieta ai medici di lavorare nelle cliniche private o l'attività di libero professionista, se reputa che lo stipendio pubblico sia inadeguato, purché l'attività privata non costituisca un secondo lavoro. Certo è molto comodo aggiornarsi a spese degli ospedali pubblici (e quindi della collettività) e poi far pagare privatamente le proprie conoscenze. Se poi il medico sceglie di esercitare anche l'attività privata all'interno dell'ospedale mi pare logico che paghi l'uso dei locali che gli vengono messi a disposizione. Forse che l'uso dello studio privato gli viene concesso gratuitamente? Umberto Mezzetti u.mezzetti@areacom.it Le lettere Hyanno inviate <: LA STAMPA | y Via Morenco 32,10126 TORINO\J fax 011 -6568924 ^| e-mail lettere@lastampa.it 1

Persone citate: Aureliano Dughera, Enrico Garelli, Lele Bonariba, Massimo Martinelli, Orietta Basso Mondovì, Riccardo Ponzone, Tortona, Umberto Mezzetti