La sua anglofilia da sogno a incubo di Fabio Galvano

La sua anglofilia da sogno a incubo La sua anglofilia da sogno a incubo LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il tè a casa di Lady Thatcher, questa volta, non l'ha preso. Forse Augusto Pinochet non s'è accorto che a Londra è cambiato qualcosa, che ai conservatori della «signora di ferro» così disposti a chiudere più di un occhio sulle sue frequenti visite si è sostituito un partito laborista i cui maggiori esponenti sono cresciuti politicamente proprio negli anni in cui - per le sinistre - lui era anatema. Quello dell'ex dittatore cileno, in definitiva, è un caso - uno dei più clamorosi - di mal riposta anglofilia. Anzi anglomania, stando alla sua ultima intervista - quella del mese scorso al «New Yorker» - in cui definiva l'Inghilterra «il posto ideale in cui vivere». Il volto di Pinochet era piuttosto conosciuto nella Londra del turismo di lusso. Ci veniva quasi ogni anno: talora per acquistare armi (nel 1995 fu ospite per una settimana della British Aerospace), altre volte per controlli medici (l'anglomania si esprime anche nell'ingiustificata convinzione che medici e ospedali di queste isole siano i migliori al mondo, e difatti per la sua ernia del disco si è fatto ricoverare alla London Clinic), più sovente come puro e semplice turista (con o senza la moglie Lucia). Dicono anzi che Pinochet s'inorgoglisse ogni volta che un commesso lo riconosceva, come pare sia accaduto nei giorni scorsi da Burberry's, dove sempre acquistava vestiti. Da sempre Pinochet cura la sua anglomania, a cominciare dal sacro rito del tè. Ogni volta che viene a Londra manda fiori o cioccolatini alla Thatcher; che qualche volta, il tè, lo invita a prenderlo nel salotto della sua casa in Chester Square. E anche se questa volta la signora di ferro ha fatto finta di nulla evitan¬ do di entrare nella polemica, il suo legame con Pinochet ha salde radici: lui fu infatti, nel 1982, uno dei pochi leader dell'America Latina a stare dalla sua parte in occasione della guerra delle Falkland. I piloti inglesi che facevano attcrraggi di fortuna in Cile venivano rimpatriati e non internati, le Sas addirittura avevano in Cile installazioni da cui spiare l'Argentina. Anni dopo era la Thatcher a mandare studiosi in Cile, per studiare il miracolo economico di quella «tigre». Ecco allora Pinochet - sempre in un hotel di lusso dietro Park Lane - turista felice in questa sua seconda patria: a comperare le cravatte da Harrod's e le primizie alimentari da Fortnum & Mason, dove anche i turisti italiani si lasciano affascinare dai commessi in marsina. E poi a cena al River Cafe di Hammersmith, da qualche tempo il più rinomato ristorante all'italiana della capitale, dove Ruth Rogers - una delle due proprietarie - decise una volta di mandare le 500 sterline del salato conto a Amnesty International perché li spendesse in Cile. Né mancavano le puntate al museo delle statue di cera di Madame Tussaud's; oppure - da buon generale - al National Army Museum. E' stato anche visto fare la fila fra i turisti per visitare il castello di Windsor. Frequentava anche le migliori librerie. E prima di entrare alla London Clinic, questa volta, è stato da Hatchards a PiccadiÙy per acquistare una biografia di Napoleone, che è forse 2 mito di tutti i generali. Nella convalescenza dopo l'operazione stava proprio leggendo quel libro quando la polizia ha battuto alla sua porta. La storia dirà se l'anglomania di Pinochet è morta in quel momento. Fabio Galvano La clinica di Londra dove il generale Pinochet è agli arresti Ieri il paziente ha dovuto ricorrere a sedativi