Il Crepuscolo d'ogni violenza

Il Crepuscolo d'ogni violenza Si è conclusa al Lingotto la Tetralogia della stagione Rai Il Crepuscolo d'ogni violenza l'ebreo Inbal coglie il messaggio wagneriano TORINO. Eliahu Inbal ha concluso all'Auditorium del Lingotto l'esecuzione in forma di concerto della «Tetralogia» che ha costellato, negli ultimi tre anni, le stagioni sinfoniche della Rai. Ne serberemo a lungo il ricordo. Basti pensare agli ultimi due atti del «Crepuscolo», ascoltati l'altra sera: Inbal ha dato il meglio di sé, portando l'orchestra e il coro della Radio Cèca ad una tensione e ad un'incandescenza davvero trascinanti. Lui, ebreo, che serba in sé la memoria storica di quello che è successo, non può che comprendere e condividere, come tutti i grandi direttori ebrei interpreti di Wagner, la straordinaria condanna della violenza come fatto ripugnante e tenebroso, terribile e distruttivo che il musicista ha consegnato ai tre atti del «Crepuscolo». La paurosa rappresentazione della rovina causata dalla bramosia di potere, che travolge in un unico crollo i carnefici e le vittime, si impregna qui di umori decadentistici. I diciassette anni che dividono il «Crepuscolo» dai primi due atti del «Sigfrido» sono un salto ulteriore nella modernità. Per la rap¬ presentazione de! Male i tempi erano maturi, e ciò che succede nel secondo atto, Inbal l'ha tirato fuori con evidenza palmare: le macerazioni timbriche di un'orchestra terribilmente oscura, le armonie eccezionalmente dissonanti, le catastrofi degli ottoni e della percussione, le grida belluine del «protonazista» Hagen, che ha nel Pizzarro di Beethoven un precedente illustre, i cori barbaiici dei Ghibicunghi hanno percorso l'altra sera i grandi spazi del Lingotto, lasciando gli ascoltatori stupefatti e ammirati. Per contrasto, hanno ricevuto luce e bellezza le parti soavi come le melodie delle ondine, oppure l'innocenza solare di Sigfrido che, prima di essere assassinato, rievoca il canto dell'uccellino; Sigfrido che non è il braccio armato di un potere tirannico e ingannatore, come la sistematica frode nazista ai danni del patrimonio spirituale di Wagner voleva far credere, ma l'eroe puro, dismteressato e soprattutto libero, che i malvagi uccidono per poterlo derubare dell'Anello, magico e maledetto. Nulla di razzista, sia chiaro, è mai filtrato nei capolavori dell'artista som¬ mo: le sue teorie antisemite, cui si dà oggi un'eccessiva importanza, non sono che scorie, sottoprodotti escrementizi generati dalla crescita e dalla vita del più colossale tra i progetti del teatro occidentale, i cui eredi diretti furono due ebrei: Mahler e Schoenberg, sufficientemente accorti per capire che ciò che interessa in Wagner è l'artista, non il pensatore, mediocre, contraddittorio e dilettantesco. Quanto a Sigfrido ho l'impressione che il suo interprete, il tenore Stig Andersen, sia un po' pigro: nel primo atto, infatti, aveva cantato stancamente ma l'altra sera ha tirato fuori grinta e incisività, scolpendo un protagonista del tutto attendibile. Oltre alle tre brave ondine, l'unica novità del cast, dominato dal mirabile Kurt Rydl (Hagen), era la Brunilde di Lisbeth Balsley, che purtroppo è arrivata stremata al grande appuntamento con il finale, privandoci, dolorosamente, di ciò che l'elecuzione precedente ci aveva promesso. Il successo, comunque, è stato calorosissimo. Paolo Gallarati

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