«Medio Oriente, l' accordo è vicino» di Andrea Di Robilant

«Medio Oriente, l' accordo è vicino» etanahu e Arafat: ok al ritiro dal tredici er cento del territorio. Ma non c'è intesa sul dopo l «Medio Oriente, l' accordo è vicino» Voci dal vertice, si tratta con Clinton WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE A un passo dall'accordo? Dalla quiete della Wye River Plantation è trapelato pochissime dall'inizio del colloqui giovedì scorso, ma nelle ultime 24 ore il rivolo delle indiscrezioni si è fatto incoraggiante. E la Casa Bianca spera ancora di poter fare un annuncio formale oggi. Ieri mattina il Presidente Clinton è arrivato in elicottero nell'elegante centro congressi dell'Aspen Institute in Maryland per guidare di persona la fase finale del negoziato. Ha avuto un incontro-chiave con il nuovo ministro degli Esteri israeliano Ariel Sharon e il ministro della Difesa Yitzhak Mordechai e poi una colazione di lavoro con il premier Benjamin Netanyahu. Nel pomeriggio (tarda sera in Italia), il Presidente si è chiuso in uno studio per un faccia a faccia conclusivo con Yasser Arafat. Fonti diplomatiche assicurano che le due parti hanno ormai raggiunto un accordo ad interim sul piano americano che prevede il ritiro israeliano da un altro 13 per cento della Cisgiordania in cambio di un preciso impegno palestinese contro il terrorismo (i dettagli sono stati elaborati assieme al capo della Cia, George Tenet). Questo accordo metterebbe fine a 19 mesi di stallo nel processo di pace spianando la strada all'ultima fase dei negoziati prevista dagli Accordi di Oslo che sarà anche la più delicata poiché riguarderà Gerusalemme e i confini del futuro stato palestinese. Ma sia gli israeliani che i palestinesi vogliono ottenere specifiche garanzie su quella fase cruciale dei negoziati prima di sottoscrivere l'accordo ad interim. E' su quelle garanzie, ha fatto capire ieri il portavoce del dipartimento di Stato James Rubin, che «decisioni importanti» ancora non erano state prese. E sulle quali il Presidente ha dovuto concentrare il suo lavoro di mediazione ieri per evitare che i progressi fatti fino a quel punto venissero vanificati. Uno dei punti-chiave rimane l'entità dell'ultimo e definitivo ritiro israeliano dalla Cisgiordania. Gli israeliani dicono che si sono già ritirati abbastanza (tanto più che hanno accettato un ulteriore ritiro dal 13 per cento del territorio). I palestinesi spingono per un altro 40 per cento. E toccherà agli americani trovare un compromesso. In più, gli israeliani non vogliono rinunciare per iscritto ad altri «gesti unilaterali», un eufemismo per nuovi insediamenti. I palestinesi, da parte loro, non rinunciano alla prerogativa di proclamare unilateralemente lo Stato della Palestina il 4 maggio prossimo - quando scade il periodo negoziale previsto dagli Accordi di Oslo. Gli americani dispongono di due strumenti principali per spingere in avanti la trattativa: armi e soldi. Gli israeliani contano di ottenere più aiuti militari per compensare le loro rinunce nel settore della sicurezza. I palestinesi sperano di ottenere un cospicuo pacchetto di aiuti economici e finanziari che assicuri la sopravvivenza economica del futuro stato. Persone che hanno partecipato ai colloqui hanno riferito che il clima informale alla Wye River Plantation ha prodotto momenti importanti, come il lungo colloquio a tu per tu tra Netanyahu e Arafat venerdì, che ha dato un impeto importante al negoziato. Ma in alcune occasioni l'informalità è degenerata in vere e proprie sfuriate. Pare che gli stracci siano volati almeno due volte tra i due leader. E che il momento più teso sia venuto quando il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha attaccato Netanyahu, il quale continuava a parla - re di «Giudea e Samaria» in riferimento alla Cisgiordania invece di usare il termine «West Bank», usato negli Accordi di Oslo. E come gli americani temevano, la presenza della moglie di Netanyahu, Sara, alla Wye River Plantation, ha finito per essere una distrazione che ha tenuto molto occupati i media isrealiani. Andrea di Robilant