Il Barbaro e l'aquilotto di Giovanni Cerruti
Il Barbaro e l'aquilotto Lo stato dei rapporti fra il Senatur e il premier incaricato Il Barbaro e l'aquilotto Mi Il BarASSIMO D'Alema, forse con una punta d'inconfessabile simpatia, lo chiama «il Barbaro». Bossi, dipende dai momenti e dagli umori, ha risposto con uno storpiato «Dàlema», un elegiaco «l'unico vero segretario di partito, (assieme a me)», un cinematografico «la Morte Nera», oppure con frasi da zoologia applicata alla politica: «D'Alema è un aquilotto, Prodi e Veltroni due gallinelle spelacchiate». Impossibile prevedere come si saluteranno questa mattina, cosa si diranno nelle due ore di incontro a Montecitorio. E se Bossi, come per il ribaltone del '94, come in quella cena delle beffe (per Berlusconi) tirasse fuori una scatoletta di sardine? «Quella volta ho capito che Bossi è uno del popolo», racconterà D'Alema. «E da quel giorno - ricambierà Bossi - ho capito che l'Aquilotto ci sa fare ed è leale». Non che sia travolgente amore, ma almeno non si disprezzano. Da sempre, veri e rari animali della politica, si fiutano. 1994, Bossi sta per vincere le elezioni con il Polo dell'alleato «Berluskaiser». Sa che corre il rischio di ritrovarsi al governo. Manca una settimana al voto e all'Hotel Savoia di Trieste, Gianfranco Fini che dorme su al secondo piano, si lascia andare: «Se al posto di Occhetto ci fosse stato un altro segretario ci saremmo messi d'accordo e le elezioni le avremmo vinte assieme». L'«altro» è appunto D'Alema, che due giorni dopo il voto e la sconfitta, intervistato da «l'Unità», detta: «Non bisogna lasciare solo Bos- si». Il Barbaro leggo e vola a Roma. «Vediamo se è possibile combinar qualcosa». Vuole vedere Occhetto e D'Alema, ma quando arriva a Roma legge una dichiarazione di Claudio Petruccioli che parla in nome di Occhetto. Niente da fare, per Bossi giù la saracinesca. «Aspettiamo che "l'altro" diventi segretario...», si rassegna Bossi. Lo aspetta nove mesi. A dicembre ecco il ribaltone, a gennaio '95 il governo Dini. «Come tutti i cavalli di razza Bossi ha i suoi scarti e le sue bizze - lo celebrò D'Alema -, ma bisogna riconoscere che ha corso per la democrazia di questo Paese». Come premio un invito a cena a casa D'Alema, moglie e figli volevano conoscere il Barbaro. Merito dell'autista Graziano, Bossi è protagonista di un figurone: arriva a mani vuote, ma dopo un'ora suona al citofono il gentile Graziano con un mazzo di rose rosse per la signora. «Sarà che mi sono messo a giocare con i bambini, sarà che forse si ilotto aspettavano davvero un "Barbaro", però ci siamo trovati bene». Secondo premio: un invito così, a casa D'Alema, l'aveva avuto solo Roberto Benigni. Il terzo premio, il più ambito, non arriverà mai: «Avevamo dato il sostegno al governo Dini e cercavo di convincere D'Alema sulla strada dell'Assemblea Costituente. Ma lui si è lasciato ingabbiare nell'Ulivo, con le due gallinelle e tutti quei pretoni... Che errore!». E se l'Aquilotto e il Barbaro ripartissero proprio dall'Assemblea Costituente? Per trovare un'intesa di materia ne avrebbero, e pure nei desideri di riforma elettorale. Un'astensione leghista per il governo D'Alema? Difficile, ma non impossibile. A meno che arrivino gli «effetti speciali» subito invocati da Maroni e dal titolone de «La Padania»: «Ma D'Alema sorprenderà?». Per stupire Bossi, abituato agli sfottò del governo Prodi, D'Alema potrebbe cominciare riconoscendo l'esistenza di una «questione settentrionale», del ruolo e dei vecchi meriti del Barbaro. Poi ci potrebbe essere un ministero per la Riforma dello Stato in senso federale. E poi, onorevole Bossi? «Gli dovrò dire che alla fine di questa settimana c'è il congresso della Lega, fino a domenica non posso prendere impegni». Non è detto che l'Aquilotto voglia aspettare. Ma da oggi, magari, scoprirà che il Barbaro può essere amico. Giovanni Cerruti Dalla scatoletta di sardine alla cena in casa del leader della Quercia
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