«E' l'Europa l'àncora della stabilità»

«E' l'Europa l'àncora della stabilità» «Italia e Germania hanno potuto cambiare governo evitando turbolenze monetarie» «E' l'Europa l'àncora della stabilità» Padoa Schioppa: proseguire nel risanamento dei bilanci POLITICA E FINANZA FRANCOFORTE DAL NOSTRO INVIATO «In un mondo in cui il cambiamento accelera, sia in Europa sia fuori e sia sul terreno finanziario sia su quello politico, l'Euro e la Banca centrale europea (Bce) costituiscono un punto fermo e un fattore di stabilità. Questo vale per l'Italia o per la Germania, che sono nel mezzo di un cambiamento di governo, ma vale senz'altro anche per quello che sta succedendo sui mercati mondiali». In queste ore, in cui ha ripreso a dibattersi nella ricerca di un'identità istituzionale ancor prima che politica, l'Italia può già fare affidamento su un punto d'appoggio stabile che è riuscito a tenerla al riparo dalle turbolenze economiche e valutarie che in passato invece avevano sempre accompagnato le crisi politiche. Di questa formidabile novità nel quadro anche istituzionale europeo è testimone privilegiato Tommaso Padoa Schioppa, uno dei sei banchieri centrali chiamati dai capi di Stato degli 11 Paesi a dirigere la Banca in qualità di membri del Direttorio. Dalla sede della Bce a Francoforte, Padoa Schioppa indica le linee di evoluzione sia della cooperazione mondiale di cui l'Italia fa parte attraverso Eurolandia, sia della stessa Europa in cui l'azione dei governi, di qualunque governo, trova forma nell'ambito di un processo che si spinge inevitabilmente verso l'unione politica. Di queste coerenze, che Padoa Schioppa individua sia nella necessità attuale di consolidamento dei bilanci, sia in una futura e inedita possibilità di politiche fiscali attive comuni agli 1 ì Paesi, ogni nuovo governo, italiano o tedesco, dovrà tenere conto. L'Euro non esiste ancora, la Bce non ha ancora pieno potere sulla politica della moneta comune, eppure già rappresentano un' àncora tra crisi politiche nazionali e crisi globali. Come può essere? «La Banca Centrale è in un certo senso il punto d'arrivo di un'evoluzione che ha creato strumenti di governo sovrannazionale già dall'inizio degli Anni 60. Alle recenti riunioni di Washington nella sede del Fondo monetario internazionale (Fini) è diventato quasi un luogo comune dire che se non c'è un governo mondiale non ci può essere un mercato mondiale e le crisi degli ultimi 15 mesi sono la prova di questa proposizione fondamentale. Bisogna che si pensi una nuova architettura del sistema monetario internazionale e che si ridefiniscano ruolo del Fmi e regole globali di trasparenza e di vigilanza bancaria. In un momento in cui queste osservazioni, un tempo eterodosse, sono diventate comuni, la gente si accorge che in Europa questo dibattito è già diventato realtà. Se ne accorgono anche i mercati, che non hanno minimamente investito le relazioni intraeuropee della tensione che invece percorre i mercati finanziari mondiali». Anche le opinioni pubbliche stanno prendendo atto della nuova situazione? «Le stesse opinioni pubbliche che opponevano maggiore resistenza all'idea dell'Euro, come quella tedesca, hanno potuto rendersi conto in queste settimane che quella stabilità che temevano che l'Euro avrebbe disperso, proprio dall'Euro è stata garantita. Quanto all'Italia, ha sempre svolto un ruolo centrale in Europa, molto più di quanto gli italiani stessi sappiano. La straordinaria performance che ci ha portati neh' Euro ci permette oggi di svolgere un ruolo di primo piano nell'interesse nostro e dell'Europa». Come si è manifestata la nuova realtà europea nelle discussioni di Washington? «Mi ha colpito il fatto che, per e e o me improvvisamente, parlino Usa, Giappone ed "Europa": non c'è interesse particolare a sapere cosa succede nei singoli Paesi, c'è interesse a sapere qual è la posizione dell'Europa. Dal '99 si avrà un portavoce ufficiale dell'Euro, ma l'ingresso della Bce in tutte le sedi della cooperazione monetaria e finanziaria internazionale si è già verificato. Il presidente Duisenberg era presente al G7, al G10, al cosiddetto G22, all'interim Committee e naturalmente alla sessione del Fondo Monetario. L'acquisizione di questo status si è materializzata a Washington. Questo non significa che parlino solo Duisenberg o Padoa Schioppa, ma è evidente che si parla di Europa più che dei singoli Paesi, si parla lo stesso linguaggio e si dicono le stesse cose». Si è colta diversità nella posizione europea rispetto a quella americana? «Si è vista una notevole diversità di percezione della situazione finanziaria mondiale, con una preoccupazione di crisi molto acuta da parte americana e un'analisi diversa da parte degli europei che sicuramente non consideravano il momento molto facile, ma non avevano neppure una sensazione di crisacutissima. Questo vale non solo per i rappresentanti istituzionali, ma anche per gli operatori, i mercati e i banchieri. Glincontri di Washington non W hanno annullato le differenze, ma le hanno ridotte». Ci sono ragioni strutturali che distinguono l'Europa in questa crisi globale? «Nei mercati di lingua inglese c'è un'enorme importanza del mercato azionario e un notevole ruolo di intermediari finanziari come glhedgefunds non controllati direttamente, c'è un risparmio privato basso o addirittura nullo negli Usa. Ciò rende ansiosmercati, famiglie e impreseperché se la Borsa crolla in un Paese in cui il risparmio dellfamiglie è zero, improvvisamente crea una crisi finanziaria per le stesse famiglie. Il sistema finanziario dell'Europcontinentale è condizionato imodo più indiretto da variazioni di mercato, le famiglie sonmeno indebitate e hanno un risparmio più alto». L'Europa in questi mesi sè vista come un'oasi stabile. «L'Europa ha ancora una mentalità da periferia, mentre l'America è il centro. Siccoml'Europa si sente periferia e l sua condizione economica non è negativa, perché anzi ha la migliore combinazione di crescita e stabilità dei prezzi degli ultimi 30 anni, c'è il rischio che, anche se il mondo si sente male, l'Europa creda di sentirsi bene. C'è ancora una notevole differenza tra i due lati dell'Atlantico nel modo in cui viene avvertita la responsabilità globale». Si fa appello anche alla responsabilità italiana quando si discute della convergenza mancante dei tassi d'interesse europei verso un livello comune entro gennaio? «Negli ultimi giorni di dicembre sarà decisa la prima operazione di politica monetaria della Bce. Da quel momento il tas- so della Banca centrale in Europa sarà uno solo. Oggi ce ne sono 11 e tra questi si distinguono quelli dei Paesi che da più tempo hanno bassa inflazione da quelli di recente convergenza: Spagna, Portogallo, Italia e Irlanda. Più passa il tempo e più la convergenza si impone per ragioni tecniche piuttosto che di politica monetaria. Ma sarebbe sbagliato desumere che il futuro tasso unico sarà quello dei Paesi di più antica convergenza. Quale sarà il tasso unico non lo può dire nessuno. L'ipotesi implicita che i tassi tedeschi di oggi siano i tassi europei di gennaio non è corretta». Ritiene che l'Italia possa convergere l'ultimo giorno? «E' possibile, ma è tecnicamente sconsigliabile». L'attesa per la mancante convergenza italiana lega le mani agli altri Paesi? «No. Non è un vincolo per la politica monetaria di nessuno». Nei governi europei ci sono spostamenti di accento dalla stabilità alla cresci- ta. «Un banchiere centrale pensa che senza moneta stabile non ci sia crescita duratura. Secondo me non c'è contraddizione». Bundesbank poteva far leva sul sostegno dell'opinione pubblica. Come farà la Bce? «Quel sostegno è fondamentale. La Bce deve ispirare fiducia alle famiglie sul fatto di garantire stabilità, facendo leva sull'eredità delle banche centrali nazionali. Sono convinto che in tali condizioni il sostegno dell'opinione pubblica ci sarà». Non si sentono già pressioni di governi che sollecitano mosse di politica monetaria? «Bisogna distinguere tra pressioni e opinioni, anche divergenti. Tanto più la Banca centrale è indipendente e tanto più deve accettare il diritto di critica e di commento. Non avverto una situazione pericolosa o istituzionalmente non corretta». Non è difficile pensare che l'Euro sia il punto di arrivo in un processo di integrazione che sta trasformando le politiche nazionali? «La moneta unica è punto di arrivo e punto di partenza. Punto di arrivo perche senza moneta unica un mercato unico come quello europeo non è davvero tale. La politica monetaria comune è la chiave di volta che dà stabilità all'arco. Con l'Euro inoltre per la prima volta nella storia della costruzione europea si raggiunge, in un campo fondamentale del potere, il punto terminale dell'evoluzione. Non è un punto di arrivo invece nel senso che la stessa costruzione economica non è completa. Il Patto di stabilità non dà in alcuni casi la possibilità di l'are politiche concertate. Una volta si credeva che l'attivismo fiscale fosse necessario sempre, oggi si crede che lo sia solo in casi molto particolari. L'attivismo fiscale di cui oggi c'è bisogno in Europa è ancora nel segno del consolidamento di bilancio e da questo punto di vista il Patto è adeguato, perché dà strumenti sufficienti. Ma vedendo le cose più da lontano, considerando le condizioni economiche che possono presentarsi in futuro, il Patto non consente di attuare in maniera efficace orientamenti di bilancio comuni, se non quelli rivolti a conseguire il famoso deficit dell'1% o il pareggio di bilancio». Bisogna dunque intensificare l'integrazione delle politiche economiche na- zionali? «Sì, anche se il più è fatto. Se si guarda al complesso delle politiche economiche, cioè a politiche di bilancio, monetarie, del mercato e del lavoro, si osserva che in questo quartetto la parte incompleta è proprio la politica di bilancio. C'è inoltre un senso di incompletezza di natura istituzionale, perché un'unione monetaria alla lunga ha bisogno dell'unione politica». Come bisognerà avanzare nell'integrazione europea? «Ci sono problemi di competenze e di istituzioni. Mentre le competenze economiche ci sono quasi tutte, altri campi sono estremamente carenti: è ovvio citare politica estera e politica della sicurezza, sia interna sia esterna. In questi campi l'Ue non ha le competenze che anche il minimo degli Stati federali normalmente ha». E nelle istituzioni? «Se guardiamo ai principi fondamentali che reggono il costituzionalismo dell'Occidente e ogni sistema statuale, ciò che più colpisce è che alcuni dei principi fondamentali non sono contemplati dal sistema costituzionale europeo. Le cito il principio maggioritario: le decisioni devono essere prese a maggioranza, perché se ciò non avviene non si riesce a decidere e si è legati alla dittatura della minoranza. Un altro principio è quello di legare sia la nomina dell'esecutivo sia le scelte legislative fondamentali al voto popolare. Ancora oggi una parte notevole della legislazione europea può essere adottata contro il parere del Parlamento europeo. Ancora oggi inoltre la scelta dell'esecutivo, la Commissione europea e il suo presidente, ha un legame molto debole col voto popolare che si esprime nell'elezione del Parlamento europeo. Se queste carenze fossero colmate almeno nell'economia, si sarebbe raggiunto il punto terminale dell'evoluzione in un campo e questo, secondo me, trascinerebbe il discorso delle competenze non economiche, perché dare oggi competenze non economiche a un'istituzione che viola i canoni del costituzionalismo occidentale è quasi impossibile». Quali conseguenze avrà la dura competizione in atto tra piazze finanziarie europee? «Per la Bce la pluralità delle piazze non è un rischio di perdita di efficacia della politica monetaria comune. L'unità di attuazione della politica monetaria sarà molto maggiore di quanto si creda, perché si realizzerà attraverso un tasso di finanziamento "repo" su base europea, nella forma di un'asta unica per gli 11 Paesi. Dal punto di vista del mercato finanziario ci sarà un processo molto rapido di unificazione che non porterà alla scomparsa di piazze finanziarie, ma alla creazione di reti. L'avvio di una collaborazione tra Londra e Francoforte è in questa linea. Restare indietro comporta costi notevoli. L'industria finanziaria ha alto valore aggiunto, se non ci sarà una localizzazione dei mercati si sposteranno operatori, intelligenze e know-how» Da ex presidente Consob come vede i ritardi italiani? «Il rischio di restare indietro è per l'Italia particolarmente forte. L'Italia è ancora molto indietro nell'unificazione del mercato nazionale. L'avvio del Comitato per la piazza finanziaria, che la Consob aveva promosso, è avvenuto, ma mi sembra che i tempi siano troppo lenti per la rapidità con la quale la ristrutturazione dei mercati europei sta avvenendo. In Italia ci sono ancora molti problemi irrisolti nell'unificazione delle diverse strutture di mercato. Per questo l'Italia non è oggi in grado di parlare come interlocutore unico ed interessante coi mercati degli altri Paesi. L'Italia sta rischiando moltissimo». Carlo Bastasin 66 L'Euro è sicurezza Lo sanno i tedeschi (prima diffidenti) Ne è consapevole pure il Fondo Monetario J p 66 La cooperazione internazionale imponà scelte economiche che porteranno all'unione politica 66 Va inventata una nuova architettura del sistema monetario con trasparenza e vigilanza H 66 Se non c'è un governo mondiale non ci potrà essere mercato globale i| J fi fi Identità sfumate Nessuno potrà più proporsi come unico interlocutore■■ e W idd l

Persone citate: Carlo Bastasin, Duisenberg, Padoa Schioppa, Tommaso Padoa Schioppa