Seconda modernità, salvezza d'Europa

Seconda modernità, salvezza d'Europa l'intervista. Il futuro del continente: parla Hilmar Hoffmann, presidente dei Goethe Institut Seconda modernità, salvezza d'Europa Coniuga lo sviluppo con l'uso parsimonioso delle risorse Da lunedì si riuniranno a Torino i direttori dei Goethe Institut d'Italia. Abbiamo incontrato Hilmar Hoffmann, presidente dei Goethe Institut e «ambasciatore» della cultura tedesca nel mondo. H~ ILMAR Hoffmann, 72 anni ottimamente portati, è dal 1993 il presidente di quella straordinaria isti I tuzione tedesca che sono i Goethe-Institut sparsi in tutto il mondo. Non sono semplicemente sedi di diffusione della lingua e della cultura tedesca, ma luoghi di scambio culturale e politico di grande qualità. Hoffmann, studioso della comunicazione e grande organizzatore culturale, incarna bene il respiro attivistico, universalistico e insieme europeistico dei Goethe-Institut. Esso segue anche una linea politica molto aperta a nuove idee, a nuovi stimoli, che non a caso negli anni scorsi ha provocato malumori e tensioni negli ambienti governativi più conservatori. Il cambiamento di governo a Bonn imprimerà un'accelerazione alla politica dei Goethe? Anche in dimensione europea? «Il nuovo governo è ben consapevole dell'importanza del dialogo culturale. Sa anche che l'autonomia dei mediatori e degli operatori di questo dialogo, nella politica verso l'esterno, è una parte insostituibile di un qualunque dialogo culturale. Nella situazione politica mondiale, l'Europa ha buone chance di sviluppare una sua inconfondibile identità politico-culturale. Vedo alcuni tratti di questa identità nell'accentuarsi in Europa di un orientamento che vorrei sinteticamente caratterizzare con le parole-chiave di una globalizzazione sostenibile dal punto di vista socio-culturale e di una pluralità culturale viva nella sua unità. In sintesi, una cultura della "seconda modernità" intesa come una società civile capace di autolimitarsi». Si tratta di parole-chiave non facilmente decifrabili in modo immediato. Quali sono i riferimenti culturali e politici che possono aiutare a capire queste tesi? «Mi riferisco alle tesi della "seconda modernità" di Ulrich Beck che sono state capaci di ispirare una politica concreta in Inghilterra, attraverso Anthony Giddens e fatte proprie da Tony Blair. E' una sorta di cambiamento di paradigma che può motivare ad agire, grazie ad un certo suo pathos ottimistico, e a tenere insieme intenzioni diverse. Questa impostazione si adatta magnificamente alla tradizione europea. «In piena crisi della modernità, infatti, l'idea della "seconda modernità" o della "modernità riflessiva" si preoccupa di correggere le contraddizioni interne del progresso e trasformarle in un programma per il futuro. Noi siamo nel cuore di questo processo. Gli stili di vita postmoderni tentano di mantenere in sintonia con la persistenza dello sviluppo le nuove tecnologie dell'energia e dell'uso parsimonioso delle risorse. Gli sforzi dei Comuni europei di dare vita all'Agenda di Rio e la messa in atto di nuove tecnologie dell'energia sono dei buoni esempi, anche economicamente redditizi». L'ottica in cui lei si muove è quella di una mondializzazione, pressante e irreversibile, che mette a confronto diretto, immediato, le grandi regioni del globo. In particolare, in tema di sfida economica ed ecologica, lei guarda con particolare preoccupazione l'area asiatica. In questo processo e confronto globale non c'è una specificità europea che in qualche modo va salvaguardata? «Come l'esperienza ci insegna, gli asiatici imparano velocemente e a fondo, e se l'Europa non fa con determinazione il suo salto nella "se¬ conda modernità", può trovarsi presto perdente. Una delle sfide specifiche e centrali per la politica europea consiste nell'addomesticamento umano e culturale della globalizzazione. Un modo specifico europeo per realizzarla è quella di adattare il capitalismo ad un ordine sociopolitico al servizio di valori umani superiori. Da questo punto di vista un'Europa della disoccupazione fallisce completamente il suo compito». Nel suo discorso si sente una forte convergenza con i valori della sinistra tedesca. A questo proposito, qual è la sua opinione circa il ruolo di intervento attivo - al limite anche militare - cui l'Europa è sollecitata di questi tempi per risolvere i conflitti, spesso di natura etno-nazionalista? «Forse l'Europa quale proprio segno caratterizzante può mettere al primo posto la moderazione del peace-keeping e intensificare tutte le possibilità di influenza, al di sotto del livello dell'esercizio della forza. Al di sopra di questo livello infatti l'intervento è sempre il più costoso. Perché l'Europa non dovrebbe prestare particolare attenzione a forme e modelli di soluzione civile dei conflitti con forme di intervento non armato di brigate internazionali di pace, in una rete di organizzazioni internazionali non .statali?». Quest'ultima osservazione, ri¬ propone un punto cruciale, delicato e controverso per la sinistra anche nella prospettiva della «seconda modernità»: il rapporto tra cittadini e Stato o statualità. «Tra le risorse della statualità c'è la disponibilità dei cittadini ad intervenire anche "in offensiva" a l'avo3 della comunità, per le sue qualità umane. Gli standard avanzati del sociale, diventati per molti irrinunciabili, non possono trasformarsi in impedimento per un futuro comune. L'Europa deve essere un territorio della pluralità accettata e positivamente valorizzata, e deve mostrare agli altri che la diversità serve al benessere di tutti. Il molto citato articolo 128 del trattato di Maastricht, al paragrafo 1, dice: "La comunità fornisce un contributo allo sviluppo delle culture degli Stati membri, con la garanzia delle loro differenze nazionali e regionali, ma insieme con la sottolineatura della loro comune eredità culturale". La comunità realizza questo obiettivo tramite "misure di promozione che includono l'armonizzazione delle norme del diritto e dell'amministrazione degli Stali membri". Tutto questo non è un comodo compromesso né una formula vuota, bensì un impegno politico. Questa è la chance per il futuro dell'Europa». Gian Enrico Rusconi «La "globalizzazione sostenibile" è la scommessa da affrontare» I progetti del timoniere della cultura tedesca no a Toriethe Insti incontrann, presi Institut e la cultura «La "globalizzazione sostenibile" è la scommessa da affrontare» nn, 72 portati, dente di ria istie sono i tutto il ropei Esso olitica dee, a a caso vocato I progetti del timoniere della cultura tedesca 1111= Sotto a sinistra Hilmar Hoffmann, presidente dei Goethe Institut, ambasciatore della cultura tedesca si preoccupa di correggere le contraddizioni interne del progresso e trasformarle in un programma per il futuro. Noi siamo nel cuore di questo processo Gli stili di ita conda modernità", può trovarsi presto perdente. Una delle sfide specifiche e centrali per la politica europea consiste nell'addomesticamento umano e culturale della globalizzazione. Un modo specifico europeo per realizzarla è quella di adattare il capitalismo ad un ordine sociopolitico al servizio di alri umani propone un punto cruciale, delicato e controverso per la sinistra anche nella prospettiva della «seconda modernità»: il rapporto tra cittadini e Stato o statualità. «Tra le risorse della statualità c'è la disponibilità dei cittadini ad internire anche "in offensiva" l'avo Sotto a sinistra Hilmar Hoffmann, presidente dei Goethe Institut, ambasciatore della cultura tedesca