Per la fede la ragione è debole di Gianni Vattimo

Per la fede la ragione è debole DISCUSSIONE. La nuova enciclica di Giovanni Paolo II al vaglio del filosofo Gianni Vattimo Per la fede la ragione è debole Credere è una scommessa anche per Pascal SHl farebbe un torto al Papa se si pretendesse di commentare la sua enciclica, Fides et Ratio, J pubblicata ieri, dopo una lettura frettolosa come quella che ci è stata possibile nel giro di poche ore. Siccome però anelli: i documenti pontifici si presentano oggi al pubblico con tutte le tecniche «massmediatiche» che governano la nostra vita quotidiana, e non farebbe piacere nemmeno al Pontefice che dell'enciclica si parlasse solo fra mesi, eccoci qua. Ci fonderemo sulla prima impressione, aiutata anche dai sunti e brevi commenti ufficiosi delle fonti di stampa vicine alla Santa Sede; pronti a correggerci se avremo sbagliato visto che anche in questo campo non siamo partigiani di verità assolute e immutabili. Una autorevole, utile guida alla lettura del documento, del resto, è stata pubblicata simultaneamente alla diffusione del testo, riprodotto e spiegato in un volume edito da Piemme (pag. 168, lire 12.000) con introduzione del cardinal Dionigi Tettamanzi e commento di monsignor Rino Fisichella. Chi scrive non è riuscito a stabilire se il testo papale nomini esplicitamente il «pensiero debole», il che sarebbe ovviamente un altissimo onore per gli autori (pochi, in verità) che si ritengono vicini a questa corrente filosofica. Le numerose allusioni al nichilismo, allo spirito post-moderno frammentato e scisso in una molteplicità di prospettive, alla ragione che «dispera» di poter conoscere la verità, giustificano tuttavia la scelta di molti giornali, anche del giornale della Conferenza Episcopale Italiana, che hanno visto nell'enciclica una messa in guardia contro questa filosofia. Non cederò però alla tentazione di contrapporre il pensiero debole all'insegnamento del Papa. Mi sforzerò, nei limiti della prima lettura del testo, di capire le preoccupazioni che lo muovono e di proporre qualche osservazione sulle soluzioni che offre. Le preoccupazioni del Papa sono largamente condivise: l'esperienza tardomoderna è caratterizzata da una sorta di frammentazione della vita individuale e collettiva, da una Babele di linguaggi e di punti di vista diversi. Di qui una sensazione di confusione, di sradicamento e disorientamento. La filosofia, dice il Papa, dovrebbe aiutare a superare questa condizione di disagio, che però trova il suo rimedio definitivo solo nella fede cristiana, nell'ascolto della parola di Gesti. Ora, la filosofia moderna, nella sua massima parte, non pensa più di poter conoscere e insegnare verità ultime e definitive, come ad esempio le famose prove dell'esistenza di Dio formulate da San Tommaso. Neanche grandi credenti come Pascal, pochi secoli dopo Tommaso, accettavano più questo tipo di prove. Pascal pensava alla fede come una scommessa, non irragionevole, certo, ma non fondata su evidenze assolute. Da allora a oggi la filosofia ha proceduto a una vera e propria dissoluzione della metafisica - cioè del sapere sui principi ultimi. Gran parte dei filosofi oggi non pensano più di poter raggiungere quelle verità definitive assolute che nella prospettiva tradizionale cattolica, qui ripresa dal Papa, dovrebbero servire di base alla fede (sia per aprirsi ad essa, sia per viverla più completamente). Di qui il richiamo dell'enciclica ai filosofi, perché ritornino alla metafisica, alla ricerca di certezze sicure e assolutamente fondate. C'è davvero bisogno di verità razionali ultime? E' davvero così pericoloso il nichilismo della ragione post-moderna? Il Papa ritiene che non credere più alla metafisica sia un modo di abbandonarsi alla debolezza della ragione. Ma la rinuncia alla metafisica non è stato uno scacco, è stata una vittoria della ragione moderna. La scienza sperimentale progredisce solo, come ha insegnato Popper, sulla base della permanente falsificabilità delle sue proposizioni. E la convivenza civile è diventata democratica proprio quando si è cominciato a pensare che, anche sul piano della vita collettiva, non ci sono verità ultime indiscutibili, che tutto dev'essere sottoposto all'esame e al consenso ragionevole tra persone le quali, essendo diverse, possono anche professare fedi differenti. Il pluralismo culturale a cui con fatica cerchiamo di innalzarci è frutto anche della fine dell'imperialismo e dell'eurocentrismo, di cui per tanti secoli anche la Chiesa è stata alleata, affiancando le missioni alle conquieste coloniali. Pensando a questo, e pensando a come, ancora oggi, la morale cattolica ufficiale pretende di imporre agli Stati il dovere di legiferare secondo una «legge di natura» che per altro solo la ragione illuminata dalla fede riconosce, è legittimo sospettare che la preoccupazione per una verità razionale ultima sia in fondo una preoccupazione autoritaria. 1 credenti non hanno bisogno delle verità razionali ultime per vivere la loro fede, che è fondata nella rivelazione di Gesù; sia loro, sia i non credenti e i mezzo-credenti, poi, vivono di certo molto meglio in una società dove a ciascuno sia lasciata la più ampia libertà di ricerca e di fede, senza che ciò appaia come una dolorosa rinuncia, un triste abbandono nichilistico, da sostituire appena si può, anche sul piano politico, con una rassi¬ curante ortodossia e con una morale imposta per legge. Pluralismo, libertà di coscienza, amore del prossimo che non cede ad alcun preteso amore per la verità (in nome della quale si potrebbe uccidere, o anche solo bandire, o chiudere nella porcilaia, o scacciare dall'insegnamento, chi persevera nell'errore): tutti questi valori sono eredità autenticamente cristiane nella coscienza moderna e anche nella «nichilistica» filosofia di oggi. E' proprio questo, ci pare, ciò che la ratio deve alla fìdes e che certo troppo spesso la filosofia moderna non ha riconosciuto nelle sue radici bibliche e cristiane. Non sappiamo se la lettera .dell'enciclica papale autorizzi questa interpretazione del suo titolo; ma vorremmo sperare che non sia lontana dal suo spirito e dalle sue più profonde intenzioni. Gannì Vattimo Pluralismo, libertà di coscienza, amore del prossimo sono valori autenticamente cristiani anche nella «nichilistica» filosofia di oggi La rinuncia alla metafisica è una vittoria della razionalità moderna. La convivenza civile è diventata democratica iniziando a pensare che non ci sono verità indiscutibili Sopra Giovanni Paolo II la cui enciclica è stata pubblicata oggi dalla Piemme; a destra il filosofo Gianni Vattimo

Persone citate: Dionigi Tettamanzi, Gianni Vattimo, Giovanni Paolo Ii, Pascal Shl, Popper, Rino Fisichella, Vattimo