«Un Cristo figlio di Masaccio»

«Un Cristo figlio di Masaccio» «Un Cristo figlio di Masaccio» Così Federico Zeri descrisse il dipinto Pubblichiano il testo del video registrato da Federico Zeri pochi gioni prima della morte. Il grarice critico descrive all'osservaure il quadro del Beato Anjelico. Il video viene proiettate in galleria, ma è anche in verdita con il catalogo. N ON mi t mai capitato di dover conrmentare un quadro italiano di dimensioni così piccole e così potente di espressone. E' un dipinto su tavola alto a)pena 21 centimetri e mezzo e largol 2; è dipinto a tempera con alcunipiccoli brani metallici d'oro nei nmbi delle tre figure ed è bene consirvato. Ma guardiamo bene il sojgetto, cosa rappresenta? Rappreenta un altare sul quale si innalz; un grande crocefisso che poi è il (risto in carne ed ossa e sul davani sono inginocchiati due celebri saiti domenicani; a sinistra san Piero da Verona, detto anche san Piero martire, riconoscibile per la ferita nella schiena e per la ferita in testa e a destra abbiamo il grande teologo dell'ordine domenicano san Tommaso d'Aquino e che qui ò riconoscibile per la scritta «Bene scripsisti de me, Thoma». Più difficile invece è capire la scritta che accompagna san Pietro da Verona e che anch'essa scende dall'alto; non si riesce a interpretarla bene, si legge soltanto «Petre et ego», o Pietro anche io. Potrebbe essere: anche io sono stato martirizzato, anche io ho sofferto. Ma nonostante le più accurate ricerche nell'agiografia relativa a Pietro da Verona, questo episodio non è stato individuato; è ben noto il rapporto strettissimo tra il pittore che come vedremo è il Beato Angelico e il convento domenicano di San Marco che era uno dei poli, forse il più importante dei poli religiosi della città di Firenze tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del secolo XVI, del Cinquecento. Quindi il dipinto dev'essere stato sicuramente eseguito per un patrono di questo convento. Ma dirò di più, che se si osserva bene la figura di san Pietro da Verona vista di profilo si ha la netta impressione, anzi la certezza, che non si tratta di una fisionomia di repertorio, bensì di un vero e proprio ritratto; è probabilmente il ritratto del committente. Io sono assolutamente certo che quest'opera è nata come oggetto a sé stante, cioè come oggetto devozionale ad uso del committente, con ogni probabilità colui che si è fatto ritrarre sotto le spoglie di san Pietro da Verona, san Pietro martire. Perché dico questo? Innanzi tutto per le esigue dimensioni dell'opera e per la sua straordinaria minuzia esecutiva; in secondo luogo per le scritte che, se il dipinto fosse stato posto in alto, ad esempio come cuspide, non sarebbero state leggibili; e poi, in terzo luogo, anche per il significato stesso dell'opera, la quale difficilmente potrebbe accompagnarsi ad altri soggetti sacri. Qui abbiamo a che fare con l'apparizione di Cristo il quale si incarna da crocifisso inerte su un altare in un personaggio vivente, un Cristo vivente, parlando ai due santi dell'ordine domenicano. Passiamo adesso ad un altro l'atto. Perché Beato Angelico e perché non un altro pittore? Innanzi tutto quello che conta è la qualità, qualità che in questo dipinto è altissima, direi superlativa; non esiste particolare di questo quadro che sia slato eseguito non dico con l'intervento di allievi, che sarebbe ridicolo, perché un quadro così piccolo generalmente non veniva affidato agli allievi, ma che non sia sostenuto dalla stessa cura estrema del particolare. Poi, quello che è impressionante, è l'inquadratura dell'opera, che presenta l'altare con il crocifisso serrato ai lai i da due pilastri che hanno il colore della pietra serena (...). Notiamo il Cristo che si innalza sull'altare. Dietro di esso, dietro la figura, dietro le braccia, appare come una grande macchia nera che potrebbe essere sia un drappo sia un'allusione al colore dell'abito dei domenicani. Ma in secondo luogo quello che è straordinario è che a prima vista sfugge un particolare che conferisce all'insieme il suo grande valore prospettico, e sono i tre scalini in primo piano, anch'essi di una pietra grigia che rappresenta la pietra serena; questi tre scalini introducono in uno spazio prospettico razionali; perfettamente articolato. Beato Angelico, non dimentichiamolo, è il solo pittori; fiorentino il quale agli inizi abbia a lungo studiato e meditato sulle opere di Masaccio. E, in effetti, in questo piccolo quadro la figura del crocefisso viene direttamente dalla Trinità di Masaccio nella chiesa di Santa Maria Novella; non è un caso perché noi abbiamo moltissimi esempi nel catalogo del Beato Angelico giovanile, che dimostrano come il pittore studiasse, amasse e comprendesse Masaccio. In un quadro come questo che stiamo esaminando abbiamo anche un'altra cosa che per me è eccezionale: l'economia cromatica del quadro: quadro che è affidato al grigio dei pilastri e degli scalini in primo piano, al nero degli abiti, a quel nero che compare dietro il crocifisso e all'azzurro e rosso dell'altare; oltre che a quel tono marrone unifonne che compare nel fondo. Ma è una gamma cromatica estremamente limitata, estremamente parca, estremamente - possiamo dire stringata in modo da conferire il massimo dell'espressività a quello che è il soggetto del quadro. Io credo che questo sia un capolavoro giovanile del Beato Angelico e lo daterei alla l'ine degli Anni 1420 o agli inizi del decennio successivo: comunque è uno dei più antichi quadri nei quali il Beato Angelico si esprime nei modi che poi gli saran- . no consueti, anche se con una intensità di derivazione masaccesca che più tardi sarà stemperata. 11 : quadro purtroppo non ha per ora una storia, vieni: da una collezione fiorentina ma io sono convinto che una ricerca negli archivi delle raccolte fiorentine potrà provare la sua antica origine da una grande collezione. Quello che e cello è che, alla nascita, doveva trovarsi nel convento ili San Marco a Firenze. Federico Zeri

Persone citate: Beato Angelico, Federico Zeri, Thoma, Tommaso D'aquino

Luoghi citati: Firenze, Verona