Ecco il primo leader «scomunista» di Amintore Fanfani

Ecco il primo leader «scomunista» Ha cambiato la sua immagine pubblica adottando simboli borghesi, come la barca e Tattico Ecco il primo leader «scomunista» NEl 1995, durante un viaggio in Inghilterra, il leader della sinistra italiana rifiutò di indossare lo smoking, come le delegazioni del Pcus. E tuttavia, in quello stesso 1995, al congresso della Quercia è intervenuto con tutti gli onori del caso un dirigente della Goldman Sach's, come dire un vescovo del grande capitalismo finanziario. Così come, su un piano necessariamente più personalizzato, risulta che il segretario dei Ds sia ospite del salotto non proprio progressista di Maria Angiolillo. E' questo, dunque, il «post-comunismo»? Perciò, in mancanza di parametri certi, viene da chiedersi se Berlinguer e Togliatti sarebbero lieti che uno dei loro supposti «eredi», e in particolare questo «figlio del partito» che coltiva il Tao, si fa pubblicare i libri da Berlusconi e addirittura sponsorizzare come velista dall'azienda Navionics, sta per diventare il capo del governo. Curiosità vana. Per cui, tra indispensabile modernizzazione e residui di comunismo, fra scatti d'orgoglio («Sono fiero di appartenere...») e sconsolati mugugni («Sono sicuro - detto ai giornalisti in America - che ritirerete fuori la storia del piccolo pioniere...»), fra citazioni da West Side Story e da quel poema pedagogico di Makarenko con cui venivano allevati i figli delle Botteghe Oscure, pare di cogliere un personaggio più complesso. Un D'Alema più intimamente «scomunista», semmai, che genericamente e politicamente post-comunista. La provvisoria definizione - oltretutto di ardita e anacronistica assonanza con la scomunica - vorrebbe dimostrare come nel presidente incaricato il ripudio del comunismo sia visibile prima di tutto nelle strategie di comunicazione, negli stili di vita, nelle abitudini familiari, nelle frequentazioni televisive, nell'approccio tecnologico, nel modo di apparire, nei gusti. E' qui, più che nello stesso linguaggio, che il taglio del cordone ombelicale con l'eredità comunista si manifesta con maggiore evidenza. L'ha spiegato bene Bruno Vespa un paio d'anni fa: «Ho capito che il muro di Berlino era definitivamente crollato quando al momento di entrare in studio mi sono sentito dire da D'Alema: "Sai che a te starebbe bene un finto tre bottoni?". Quindi, indicandomi le sue bellissime scarpe, mi ha consigliato di farmene fare un paio anch'io». Sembra una frivolezza. Eppure, oltre a passare attraverso risotti cucinati di fronte a milioni di telespettatori, il processo di modificazione dell'immagine dalemiana è stato qualcosa di molto complesso. Sin dall'inizio il leader ha dovuto infatti combattere con il proprio passato; sin dall'inizio ha dovuto vedersela con questa specie di peccato originale che ne faceva una specie di Togliatti riveduto e corretto, un comunista del Duemila. E non era un semplice fatto di grisaglie grigio-ferro stile Polit-Bureau, giacche «color cane» (come diceva Melba Ruffo) o scarpe da tranviere bulgaro. Nell'autunno del 1996 Gianni Agnelli volle conoscere questo D'Alema. E' probabile che lui e il suo staff abbiano riflet- tuto sul giudizio reso dall'Avvocato dopo quell'incontro: «E' una persona acuta, molto intelligente. Forse un po' all'antica, tradizionale nel modo di pensare». Ora, l'Avvocato diceva anche che ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che D'Alema potesse «assumere lui stesso la guida del governo». Ma al momento era soprattutto sull'aggettivo «antico» che per l'orza di cose si concentrò un lavoro che comportava pure un certo grado di duole ripeterlo - «scomunistizzazione». I media ne colsero prima i sintomi, poi gli effetti. L'ingresso di professionisti (iella pubblicità (Anna- I inaria Testa) e divi della tv (CoI stanzo) a Botteghe Oscure; e poi gli ! abiti del sarto napoletano, le camiI eie con le cifre «MdA», certi occhia| lini a mezzaluna, e perfino quella che Giulianone Ferrara definì «un'abbronzatura caraibica, frutto di un sapiente trucco» per riuscire bene in tv. Come fa Berlusconi, del resto, del quale D'Alema «nel suo intimo invidia la presenza scenica», come aggiunse il direttori; del Foglio con la dovuta malizia. Vennero così le lezioni d'inglese, le confidenze sul film e sul libro preferito, le foto estive in costume da bagno, le vacanze a Eurodisney, gli auguri e le inteiviste civettuole a Emilio Fede, la visita a Soros, il videotape dei giovani industriali per identificare chi l'aveva fischiato, il trasloco in una bella casa con terrazzo, e forse la Jacuzzi, la Bicamerale, le partite di beneficenza. «Chissà - sospirava lui con un'aria tra l'aristocratico e lo scettico forse sono i prezzi che si debbono pagare a una concezione nuova della politica». Tra questi prezzi da pagare, però, quello più caro consisteva forse nel trovare un posto a quel passato sicuramente generoso, eppure divenuto pesantissimo. «Quando si cambia - era la frase di Tony Blair che Claudio Velardi, il regista della trasformazione mediatica dalemiana ripeteva spesso c'è sempre qualcuno che grida al tradimento». E infatti: uSunt certi deniquefines...» si potè leggere su Liberazione, ci sono dei limiti saldi al di là dei quali non può esserci il giusto. Ma nemmeno l'invettiva in lingua classica fermò quella metamorfosi che il professor Mannheimer giudico "autentica, nonostante sia stata decisa deliberatamente e strategicamente» Al posto di quel comunismo appreso insieme con il latte parve che il leader assumesse valori e gusti borghesi, maggioritari nella società italiana, con puntate ivi sogno americano. Qualcosa che paradossalmente rischia di lare di D'Alema, proveniente dal partito della «diversità» berlingueriana, un tecnico del potere: evoluto ma senz'anima. Uno di quegli eredi eh Togliatti che «a poco a poco - nella vivida descrizione di Pietro Citati - si sono lasciati trasformare dalla società nella quale hanno vissuto, e hanno rinunciato a combattere». L'aero-laxi, dunque, il fotografo personale, la crostata a casa Letta, la Ferrari, la tribuna Vip dell'Olimpico, l'oligarchia gastronomica di Vissani, il cane Lcibrador che fa agility, i trofei velistici, i paragoni con personaggi storici, si badi bene, tutti rigorosamente non comunisti, da Cavour (Sergio Romano) a Fanfani (Pintor e Veneziani). L'incarico a formare il governo, infine. Ma forse è solo l'inizio per Massimo D'Alema, primo leader «scomunista». Filippo Ceccarelli La definizione «classica» di post-comunista ora gli va stretta Così ha cancellato il peccato originale che rischiava di farne una specie di Togliatti del Duemila Vespa: ho capito che era cambiato quando mi consigliò una giacca diversa A sinistra Massimo D'Alema in barca A destra il conduttore tv Bruno Vespa Sotto l'ex presidente del Consiglio Amintore Fanfani

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