La tela di ragno di D'Alema di Ettore Bernabei

La tela di ragno di D'Alema FRA PASSATO E FUTURO Un'ascesa costante costruita anche con i contatti al di fuori della sinistra: da Bernabei ai salotti La tela di ragno di D'Alema Lo strano partito trasversale del segretario QROMA UELL'INGONTRO Massimo D'Alema lo aveva atteso a lungo. Alla fine - era una mattina di aprile - le porte del Laterano si schiusero anche grazie ai sapienti (e discretissimi) uffici di un personaggio che per anni era stato la bestia nera della sinistra. Quando il cardinale Camillo Ruini, sei mesi fa, ha ricevuto in Vicariato Massimo D'Alema, al fianco del leader ds c'era Ettore Bernabei, uno dei più poderosi manager della Prima Repubblica, l'amico dell'Opus Dei, l'uomo che Le Monde definì «l'imperatore della Rai». Quel varcare la soglia del Vaticano a fianco di Bernabei - piuttosto che sospinto dalla diplomazia antica di Alceste Santini, vaticanista dell' Unità - è un indizio di come in questi anni Massimo D'Alema abbia coltivato i rapporti con gli ambienti che contano. Selettivo e poco mondano, da quando D'Alema è diventato, (con il governo Dini) segretario del più forte partito di governo, una certa Roma si è stretta attorno a lui e lui, senza sposarla, si è fatto conoscere, ha cercato di farsi apprezzare e allargare potere, influenza e credibilità di una sinistra che era fuori dal governo dal 1947. E lui che salottiero non è, ha iniziato la sua ascesa trasversale proprio nei salotti: quello liberal di Sandra Verusio, ma soprattutto quello compassato di Maria Angiolillo. Era il novembre del 1995, il governo Dini era in affanno e D'Alema varcò per la prima volta la soglia del villino Giulia a Trinità dei Monti, in quella casa dove da tanti anni si incontravano banchieri, imprenditori, politici democristiani e socialisti. Davanti ad una terrine de esturgeon fumé, D'Alema chiacchierò con Gianni Letta, da allora suo interlocutore ininter- rotto, con il patron della Pirelli Marco Tronchetti Provera, con Antonio Maccanico. E se il Pei era stato il partito degli intellettuali organici, dei «pifferai» di Vittorini; se la svolta di Occhetto era stata accompagnata da lancinanti polemiche nell'intellighentia, D'Alema ha drasticamente sfrondato la corte degli intellettuali organici: «Io ritengo inutile circondarmi di scrittori, mi basta leggere qualche libro...», ha detto il leader alla presentazione di un libro di Asor Rosa. Tra i maitre-à-penser è rimasto il vecchio amico-pu¬ gliese Beppe Vacca, ma per D'Alema nella costruzione del consenso sono più importanti gli uomini che sanno maneggiare la tv. E così, ecco Carlo Freccerò, il consulente per la comunicazione che ha organizzato il meeting di Pontignano e che in quel medievale convento ebbe a dire: «Basta con Delors! E' molto meglio D'Alema!». Ed ecco il rapporto speciale con Maurizio Costanzo che tre giorni fa gli ha organizzato mia puntata su misura: anziché «Uno contro tutti» sembrava un «Tutti per uno», con i compagni di scuola dalla prima elementare alla terzo liceo che omaggiavano Massimo, che sin da allora aveva sempre ragione e metteva a posto i prof. Più che di intellettuali alla Scola o alla Gregoretti, D'Alema preferisce ascoltare i consigli di economisti come Nicola Rossi, un pugliese eh 46 anni uscito dalla London School of Economics o come Pier Carlo Padoan, docente della Sapienza. Ma oltre ai consigli, conta il potere economico e tra gli amici acquisiti di D'Alema c'è anche Franco Tato, uno dei migliori manager di Berlusconi. I due si erano conosciuti quando Tato, allora alla Mondadori, aveva corteggiato il segretario del Pds («11 suo libro lo pubblichi con noi...»). Alla fine D'Alema aveva «ceduto», ma nella primavera 1996, il leader Pds ha offerto a Tatòla guida dell'Enel. Tato - che ha l'atto conoscere a D'Alema Pierluigi Celli - mantiene un buon rapporto con D'Alema e non ha mancato di spendere una buona parola con Mediobanca: diversi mesi fa, qualcuno assicurava di aver visto Enrico Cuccia uscire dalla «Feltrinelli» di via Manzoni a Milano con sotto braccio una copia dell'inferno tional Herald Tribune e una de «La sinistra nell'Italia che cambia». E non sarà una caso, se un anno e mezzo fa, il primo a fare il nome di D'Alema come successore di Prodi sia stato Tronchetti Provera. Nella sua lunga marcia nelle istituzioni, D'Alema non ha trascurato i grandi manager di Stato o di parastato come il ragioniere generale Andrea Monorchio e il presidente dell'Inps Gianni Billia e neanche quella con i militari, culminata un anno fa nel curioso pranzo con gli stati maggiori dei carabinieri in un ristorante romano. Buono il rapporto personale tra D'Alema e il capo dei Sei-vizi Vittorio Stelo. Ma quando è il momento delle decisioni importanti, D'Alema si chiude nello studio con il suo staff, quelli che lui chiama i suoi «naziskin» per via delle teste rasate: il portavoce Fabrizio Rondolino, 37 anni, una vena letteraria soddisfatta da Rizzoli; il calabrese Marco Minniti, l'uomo delle missioni segrete: il napoletano Claudio Velardi, l'uomo che un bel giorno convocò d'urgenza una camiciaia e un saito (napoletani) e li incaricò di rifare il look del segretario. Fabio Martini Il trio del Bottegone Rondolino, Minniti e Velardi: i «naziskin» Sfrondata la corte degli intellettuali organici: mi basta leggere qualche libro Il rapporto privilegiato con gli economisti da Nicola Rossi a Padoan al «berlusconiano» Tato A sinistra Marco Minniti A destra Carlo Freccerò Sotto Sandra Verusio A sinistra Fabrizio Rondolino, sopra il capo del Sisde Vittorio Stelo e, alla sua destra, l'ex direttore generale della Rai Ettore Bernabei

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